L’illusione di sapere (quinta parte)
“La differenza tra le memorie false e quelle vere è la stessa che per i gioielli: sono sempre quelli falsi che sembrano i più veri, i più brillanti.”
Salvador Dalí
Una delle conseguenze più preoccupanti delle notizie false (le cosiddette “fake news”) è indurre falsi ricordi che a loro volta possono generare false credenze, cioè stereotipi, miti, pregiudizi.
Racconta Jean Piaget, uno dei fondatori della neuropsichiatria infantile, a proposito di uno dei suoi primi ricordi, risalente a quando aveva circa due anni:
“Riesco ancora a vedere, con estrema chiarezza, la scena seguente ... Ero seduto nel mio carrozzino, che la mia bambinaia spingeva negli Champs Elysées, quando un uomo tentò di rapirmi. Io ero tenuto dalla cintura attorno a me, cosa che intralciò il rapitore, mentre la bambinaia tentava coraggiosamente di frapporsi fra me e lui. Essa subì diversi graffi ed io riesco ancora a vedere vagamente quelli sul suo viso. Poi si riunì una folla, accorse un poliziotto con un mantello corto ed uno sfollagente bianco e l’uomo se la dette a gambe. Io riesco ancora a vedere l’intera scena e posso addirittura localizzarla nei pressi di una stazione della metropolitana…”
E poi aggiunge:
“ Quando avevo circa quindici anni, i miei genitori ricevettero una lettera dalla mia bambinaia di un tempo la quale diceva che, essendosi convertita all’Esercito della Salvezza, voleva confessare le sue colpe passate e in particolare voleva restituire l’orologio che le era stato donato in quell’occasione come ricompensa. Si era inventata l’intera storia…”
Piaget sottolinea ripetutamente che il suo ricordo visivo era estremamente dettagliato “riesco a vedere l’intera scena” … “Accorse un poliziotto con un mantello corto ed uno sfollagente bianco” …
E’ un esempio di un falso ricordo, il ricordo di un evento che in realtà non è mai accaduto; Piaget aveva udito il racconto di quella vicenda e l’aveva ricostruita nella sua immaginazione trasformandola in un ricordo visivo, di cui era assolutamente certo.
L’episodio fa comprendere che i nostri ricordi non sono riproduzioni fedeli, come si è a lungo ritenuto; non sono cioè equivalenti ad una fotografia o ad un registratore e non vengono recuperati come un file da un computer; al contrario, sono il risultato finale di un processo che inserisce l’evento in un racconto; ciò che ricordiamo non corrisponde all’evento ma al suo racconto.
In pratica, per la memoria non c’è differenza tra un dettaglio percepito, uno immaginato, uno raccontato…
Secondo quanto suggerito da Ulrich Neisser, ciò che fa la memoria somiglia al lavoro di un paleontologo che cerca di ricostruire un dinosauro partendo dai resti fossili che ha a disposizione:
“In entrambi i casi, abbiamo a disposizione pochi elementi vestigiali:
dei fossili per ricostruire il dinosauro e, nel caso della memoria, ciò che resta di un evento, i frammenti di informazione che sono stati trattenuti. Il dinosauro ricostituito tuttavia è molto più dei resti fossili di partenza … analogamente, ciò che resta di un evento non è identico al ricordo che si ha di tale evento. Il ricordo viene ricostruito a partire dai resti “fossili” che raccogliamo, a cui aggiungiamo tutte le conoscenze generali sul modo in cui le cose possono o devono essere andate, oltre che i nostri pregiudizi, i nostri desideri e quant’altro.
… e’ un errore pensare che i ricordi siano identici a ciò che abbiamo tenuto archiviato nel nostro cervello.“
In altre parole, il funzionamento della memoria può essere compreso meglio considerando il ricordo come il risultato finale di un processo di tipo ricostruttivo, una perpetua ricombinazione e rielaborazione di informazioni provenienti dalle fonti più disparate.
I falsi ricordi non sono quindi esperienza rara (ne abbiamo discusso anche a proposito del cosiddetto “effetto Mandela”) e la diffusione delle notizie false trova nel modo di funzionare della memoria un terreno estremamente fertile.
Una volta inserita nel processo di ricostruzione mnesico, una falsa notizia ne diviene parte (anche quando si scopre che si tratta di una notizia falsa) e ne distorce il contenuto.
In quanto dinamico e fortemente suscettibile ad essere modificato da parte di una serie numerosissima di interferenze, il processo mnesico può condurre a falsificare la realtà.
Tra gli esempi delle possibili conseguenze negative delle false notizie si può ricordare la risonanza mediatica ricevuta da terapie per la cura di patologie che non offrono al paziente alcuna possibilità di trattamento efficace. Tristemente famose sono ad esempio la Cura Di Bella e il Metodo Stamina, la prima rivolta al trattamento dei tumori e la seconda alla terapia delle malattie degenerative, condizioni ambedue per cui la scienza non ha rimedi. Sebbene prive di validità scientifica e pur in assenza di studi pubblicati sull’efficacia, sulla sicurezza e sui metodi utilizzati, la diffusione tramite i mezzi di comunicazione di ipotetiche notizie sui benefici ottenuti grazie a queste cure è stata sufficiente a convincere i pazienti e i loro familiari a organizzare imponenti manifestazioni pubbliche e ad ottenere da giudici e politici il rimborso per il loro acquisto e dal Ministero della Salute lo stanziamento di fondi e risorse per validarne l’uso, rivelatosi poi del tutto inutile.
Nei casi Di Bella e Stamina, di cui si sono occupati i ricercatori di tutto il mondo, le false notizie diffuse dai media hanno prodotto false credenze generando opinioni e comportamenti conseguenti.
Ma la certezza delle nostre convinzioni non è sufficiente a dimostrane la validità: siamo soggetti ripetutamente a false credenze.
Non è la certezza che ne abbiamo che conferisce veridicità a ciò che ricordiamo.