Memorie


“Li avete uccisi ma non vi siete accorti che erano semi”

23 maggio 1992. Autostrada A29, svincolo di Capaci. All’improvviso l’inferno. Alle ore 17:58 un boato terribile causato da 500 chili di tritolo scaraventò in aria e poi inghiottì in una voragine cinque automobili corazzate. Il tragico bilancio fu di cinque vittime: il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta. Come loro sono stati barbaramente uccisi anche il giudice Borsellino e la sua scorta, parroci, giornalisti, gente comune, tutti eroi con l'unico obiettivo di consegnare ai propri figli e a noi un'Italia libera dai tentacoli della mafia. Questa organizzazione criminale purtroppo continua ad essere una piaga del nostro Paese, difficile da debellare perché intreccia relazioni e affari proprio con le persone che dovrebbero combatterla, con la politica, le istituzioni e l’economia. Ha contaminato tutto il territorio. Al Sud è tangibile e i fatti di cronaca riempiono i quotidiani: i suoi obbedienti affiliati sono violenti e sfrontati, come un’esercito di occupazione. Nel Nord Est sono invisibili “colletti bianchi”, che non usano violenza, rendendo quindi più difficile da individuare il loro operato ed un problema meno importante per l’opinione pubblica: eppure, travestiti da imprenditori dalla faccia pulita, investono abilmente i soldi guadagnati dal traffico di droga e dalla prostituzione. La mafia sfrutta le debolezze di un territorio, paralizza la società e la rende schiava di un sistema fuori dalla legalità. La condizione di insicurezza, il precariato, il conflitto sociale, l’emarginazione sono alcuni degli strumenti e il terreno fertile di cui si servono i mafiosi per soffocare le aree meno sviluppate e le periferie delle nostre città. Scampia e le sue Vele, casermoni spettrali che pullulano di vita, sono il simbolo del degrado di cui si fa forza la mafia, come tristemente raccontato nella serie televisiva Gomorra. Le persone che non riescono a trovare occupazione si prestano a vivere all’ombra della legalità pur di guadagnare il minimo indispensabile per la sopravvivenza, conducendo però un’esistenza nella continua condizione di dover chiedere aiuto alla criminalità. Per tagliare le gambe alla mafia è dunque necessario fare “prevenzione” sconfiggendo la povertà, la disoccupazione e l’insicurezza, permettendo l’inclusione delle fasce più deboli, tra cui gli immigrati. Molto si è fatto negli ultimi anni dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio, dovuto ad una nuova sensibilità dell’opinione pubblica su questo fenomeno. Per la prima volta il popolo italiano era unito, sgomento e annichilito davanti a questi episodi di violenza. Il lutto per i nostri eroi ha creato una rete di solidarietà intorno le famiglie che hanno perso i loro cari, una nuova coscienza collettiva e la volontà di riscatto. Come dimenticare la folla inferocita ai funerali di Borsellino che al grido “fuori la mafia dalla Stato” chiedeva giustizia ed uno Stato che garantisse diritti e protezione, non connivenza con la criminalità. La mafia per la prima volta ha sbagliato. Seppellendo gli uomini e le donne che si sono intromessi nei loro affari, che li ha sfidati, offesi e disonorati, invece di zittirli per sempre li ha resi semi di speranza, testimonianza di esempio e aiuto. Si sono moltiplicate le iniziative e le associazioni, tra le quali Libera, fondata da don Ciotti con l’obiettivo di responsabilizzare ed informare la società sulla criminalità organizzata con progetti e percorsi di legalità, nonché fornire punti di ascolto locali per chi ne avesse bisogno. Cosa possiamo fare noi ragazzi? Il nostro dovere è cercare di diventare cittadini responsabili e ciò è possibile informandoci, non solo il 21 maggio, giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie, e favorendo nel nostro piccolo l’inclusione e la solidarietà, alla base di una comunità più forte, meno permeabile alla illegalità.

Francesco A. (classe terza)

A sinistra Giovanni Falcone e Paolo Borsellino; a destra Francesca Morvillo e Giovanni Falcone

Immagini tratte da https://it.wikipedia.org/

Alla ricerca del rapporto fra Storia, Memoria e Verità

Ricordare è soggettivo, fare Memoria è oggettivo, cercare la Verità è un obbiettivo.

Nel mondo odierno ricordare ci rende cittadini e persone migliori. Sono infinite le situazioni che dovremmo ricordare, perché gli esseri umani hanno commesso molti errori. Errori che non dovrebbero mai più ripetersi! Bisogna però saper distinguere fra Memoria e Storia. La Memoria/Ricordo è soggettiva, ognuno ricorda un avvenimento in modo diverso secondo la sua esperienza. La Storia è un punto di vista oggettivo, che cerca la Verità attraverso le fonti. Purtroppo non sempre ciò che ricordiamo non si ripete, perché l’odio fa parte di noi, è nelle nostre radici e c’è chi lo coltiva fino a farlo esplodere. Il mondo al giorno d’oggi è ancora pieno di odio. Esso piano piano può essere alimentato in noi attraverso i mezzi di comunicazione. Epidemie, incendi, omicidi, violazioni: occupano le cronache e forse sono tutto ciò che conosciamo. Per fortuna però, non ci sono solo notizie negative, ma esistono anche quelle positive. Notizie di cui non si parla, notizie che fanno meno audience. Questo è un dato, che se analizzato potrebbe mostrarci la situazione attuale. L’essere umano, visto che ha sempre, soprattutto in questo ultimo periodo, assaporato solo brutte notizie, finisce per rimanerne intrappolato e per questo finisce per avere una visione mondiale negativa e pessimistica. Come salvarsi da tutto questo? Solo studiando si può coltivare un pensiero e quindi verificare tutto ciò che ci viene raccontato. Se ci fosse lo stesso equilibrio fra Ricordo, Storia e Verità il mondo sarebbe sicuramente un posto migliore. Raggiungere questo equilibrio, dovrebbe essere il nostro principale obbiettivo.

Clementina A. (classe terza)