VILLAR DORA
VILLAR DORA
Giardino Memoriale della Resistenza e della Lotta di Liberazione (1943-1945) dedicato al Comandante Partigiano "Vittorio" Blandino (1924-2009)
S.Tenente Comandante
Prima Banda Autonoma della Valmessa
Tenente Comandante
2° Battaglione 113ª Brigata Garibaldi
Capitano Comandante 17ª Brigata Garibaldi
(Colle del Lys)
Grande Invalido della Guerra di Liberazione
Colle del Lys
Monumento a perennne ricordo dei 2024 Caduti delle Valli di Susa, Lanzo, Sangone e Chisone
Indirizzo: Via Calliero 2 - 10040 Villar Dora (To)
Coordinate GPS sulla mappa: 45°07'06.0"N 7°22'51.0"E
180
Il 25 aprile 2013 l'Amministrazione Comunale di Villar Dora inaugurò il Giardino Memoriale dedicato a "Vittorio" BLANDINO e posò sul sito accanto alla Piazza del Rio una doppia composizione lignea e grafica dedicata a lui e a tutti i partigiani locali, uomini e donne, combattenti, collaboratori, staffette, patrioti e benemeriti della lotta di Liberazione che agirono con valore e coraggio nelle fila delle brigate Garibaldi operanti nella bassa e media Valle di Susa.
Il giardino memoriale è stato arricchito progressivamente con alberature e fiori consoni alla destinazione del sito: un luogo della memoria e del ricordo di ciò che di terribile ha rappresentato la guerra, dei sacrifici disumani di quanti, con grave rischio personale, hanno speso di se stessi ogni forza disponibile per la liberazione e il riscatto dell'Italia dal devastante flagello delle dittature nazifasciste che procurarono la morte di oltre 55 milioni di uomini, donne, bambini in Europa, in Asia e nel Pacifico.
Vittorio Blandino nacque a Drubiaglio nel 1924 da Natale e Maria Maritano. La famiglia viveva di agricoltura e allevamento, e il padre era un attivo sostenitore dell’ideale socialista, che non si piegò ai diktat fascisti.
Il giovane Vittorio frequentò a Torino un corso di specializzazione in meccanica e iniziò a lavorare all’Arsenale. Lavorava 10 ore al giorno, partendo da casa ogni mattina all’alba per raggiungere Torino in bicicletta. Successivamente arrivò la guerra e Vittorio prestò servizio militare come carabiniere a Torino. Con la caduta del fascismo e la l'armistizio dell’8 settembre, seguendo le orme del padre, scelse di schierarsi contro il fascismo. Incominciò quindi a darsi alla macchia, rifugiandosi con pochi compagni poco lontano da casa, tra Rivera e Milanere.
Fu protagonista di azioni memorabili e audaci colpi di mano, come il sabotaggio al ponte dell’Arnodera nella notte del 29 dicembre 1943. La Val di Susa era infatti utilizzata dai tedeschi per il transito di treni merci diretti in Francia, carichi di deportati, macchinari, bestiame e di tutto ciò che riuscivano a razziare nell’Italia occupata. Per impedire al nemico l’uso della linea ferroviaria erano già state fatte altre azioni di sabotaggio, come quella nella galleria del Frejus, che rimase bloccata per oltre 22 giorni, interrompendo le comunicazioni ferroviarie.
Successivamente i partigiani tentarono di far saltare il ponte dell’Aquila, a metà strada fra Exilles e Salbertrand, ma l’azione non fu portata a termine perché le micce, inumidite, non esplosero, con ripercussioni negative sul morale dei partigiani.
Ai primi di dicembre del 1943 Blandino, insieme ai compagni Alessio Maffiodo, Remo Brugnone, l’ingegner Segio Bellone, Don Foglia, Cristoforo Giorda, Bruno Carli, Livio Richetto e Giuseppe Giorda, decise di far saltare il ponte ferroviario della Perosa, situato tra Rosta e Alpignano.
Tuttavia, dopo 15 giorni, i tedeschi ripristinarono il ponte. Dopo ulteriori sopralluoghi, scelsero di minare il viadotto dell’Arnodera, costruito su un profondo torrente all’uscita di una galleria, poco a monte di Meana. Il ponte, lungo circa 80 metri, aveva cinque arcate poggiate su quattro pilastri.
L’esplosivo necessario fu trasportato da Villar Dora verso Monpantero per ben tre volte da diversi partigiani, ma la presenza di colonne tedesche e di spie locali li costrinse a desistere le prime due volte. Vittorio Blandino decise allora di caricare gli 8 quintali di dinamite in una botte ovale, di quelle destinate al trasporto dei liquami, trainata da un mulo. Durante il tragitto, incontrò numerosi ostacoli: a Caprie trovò una colonia di autoblindo tedeschi, a Borgone il carro venne bloccato e circondato da otto soldati armati e a Bruzolo finì giù per una scarpata, mentre alcuni colpi di mitraglia colpirono la botte piena di esplosivo, rischiando di farla saltare in aria.
Nonostante le difficoltà, riuscirono ad arrivare fino a Mompantero, dove altri partigiani attendevano Vittorio. La sera successiva i partigiani iniziarono a scavare sette profonde camere nella muratura del ponte per deporre le cariche di dinamite. All'una del 29 dicembre 1943 tutte le micce esplosero, distruggendo il ponte per oltre 62 metri e polverizzando il pilastro centrale. Il sabotaggio fu così efficace che il comando tedesco di Torino lo definì un’opera d’arte riconoscendolo come il più importante sabotaggio ferroviario compiuto dai partigiani in Europa fino a quel momento. A causa di ciò, per circa tre mesi tutto il traffico ferroviario tedesco sulla linea Torino-Modane fu interrotto, impedendo il trasporto di soldati, carri armati e mezzi pesanti.
Nel gennaio 1944 Vittorio venne catturato mentre si trovava in ricognizione a Venaria. Intercettato dai fascisti, fu portato in caserma e interrogato prima a Venaria, poi a Torino nella famigerata caserma di via Asti. Qui subì ogni genere di violenza e ripetuti interrogatori. Venne percosso ai polmoni con il calcio del fucile, gli furono strappate tutte le unghie delle mani e dei piedi e le ferite vennero cosparse di sale. Successivamente fu trasferito alle Carceri Nuove, dove subì due finte fucilazioni e altre torture. Grazie alle pressioni di alcuni comandanti dei carabinieri in contatto con la Resistenza, fu liberato e consegnato all’Arma. Due giorni dopo fece ritorno alla montagna di Almese e alla sua banda partigiana.
Nella primavera del 1944, dall’unificazione delle bande di Mocchie, Rivera, Milanere, Almese e Val della Torre, venne creata la 17ª Brigata d'Assalto Garibaldi, della quale Vittorio divenne vicecomandante. Il 2 luglio 1944 32 partigiani furono uccisi in seguito a un micidiale rastrellamento nazifascista al Col del Lys: nove caddero in combattimento, mentre 23, fatti prigionieri, furono torturati e trucidati a colpi di bastone e baionetta, per poi essere fucilati.
Gli atti di sabotaggio continuarono anche nel 1944. Il comando della 3ª Divisione Garibaldi, venuto a conoscenza del dislocamento dei depositi di munizioni del presidio nazifascista stanziato all’aeronautica di Collegno, ordinò di impossessarsi del maggior numero possibile di armi, munizioni, carburante e automezzi. Vittorio Blandino, diventato nel frattempo il comandante della 17ª Brigata, studiò un piano dettagliato. L’operazione durò tre ore e fu un successo totale: senza subire perdite né feriti, i partigiani disarmarono le sentinelle, caricarono tre autocarri con 240 mitragliatrici, 100.000 proiettili e altro materiale bellico e sabotarono gli aerei fascisti. A quest’azione parteciparono circa 170 partigiani, la maggior parte apparteneva alla 17° brigata di cui 35 erano georgiani aggregati.
Nel novembre 1944 la 17ª Brigata si frazionò, dando vita alla 113ª Brigata d’Assalto Garibaldi, il cui secondo battaglione, che operò nel vallone del Messa, fu comandato da Vittorio Blandino.
Partecipò alla liberazione di Torino, ma il 27 aprile 1945, nella zona di Mirafiori, mentre difendeva gli impianti della FIAT, fu ferito al ginocchio da una bomba a mano durante uno scontro a fuoco con i fascisti. Rischiando il dissanguamento, fu portato all’ospedale militare dove fu salvato per miracolo e partecipò comunque alla sfilata del 6 maggio in via Roma, sorretto da due compagni, poiché non era in grado di reggersi in piedi.
Nel dopoguerra lavorò prima alla FIAT, poi all’acquedotto municipale di Torino fino alla pensione nel 1976. Nel 1949 sposò Maria Grisa, con cui ebbe cinque figli. Continuò sempre a tramandare la memoria della Resistenza, partecipando a incontri nelle scuole e a rievocazioni storiche.
Durante gli anni della Resistenza fu ferito otto volte, di cui tre gravemente e fu riconosciuto grande invalido della guerra di Liberazione di prima categoria, con diritto ad accompagnatore militare a vita, beneficio a cui rinunciò sempre. Fu insignito di due croci al valore per la guerra di Liberazione e dell’onorificenza di Cavaliere della Repubblica nel 1998 dal presidente Oscar Luigi Scalfaro. A partire dagli anni Ottanta, col fisico debilitato dalle ferite e dalle malattie, si ammalò di Alzheimer, che lo portò progressivamente a perdere lucidità fino alla sua morte, avvenuta il 2 marzo 2009 all’età di 84 anni.
M.E. Borgis, La Resistenza in Valle di Susa, Edizioni del Graffio, Borgone di Susa, 2011 [I edizione 1974], pp. 44, 88
S. Bellone, Testimonianze (1933-45), Tipolito Melli, Borgone di Susa 1995, pp. 31-52
Ore 1, notte del 29 dicembre 1943, salta il ponte dell’Arnodera, «Patria indipendente», 30 maggio 2010, 5, pp. 19-22
Il partigiano diventato leggenda: suo l’attentato al ponte Arnodera, «Luna nuova», 25 luglio 2023, p. 3
I dati provengono da I partigiani d'Italia. Lo schedario delle commissioni per il riconoscimento degli uomini e delle donne della Resistenza (www.partigianiditalia.cultura.gov.it)
Si ringrazia la famiglia Blandino per il suo contributo nel prestarci i materiali utili alla realizzazione di questa scheda.