25 aprile



a cura di Annamaria Longhin

L’ altro volto della guerra

Nel corso dell'ultima guerra mondiale migliaia furono i partigiani che parteciparono attivamente alla guerra di liberazione dell'Italia dal fascismo e dall'occupazione nazista. Migliaia furono i caduti in combattimento, le vittime delle rappresaglie e delle stragi; i feriti, i mutilati, i torturati, gli arrestati, i deportati nei Lager nazisti. Migliaia furono le donne che a titolo diverso combatterono nella Resistenza italiana dimostrando abnegazione e coraggio, svolgendo nella clandestinità un ruolo attivo all’interno di una società ferita e opprimente: combattenti, staffette, madri e figlie segnate da violenze e lutti lottarono per un Paese libero dall’autoritarismo fascista. Arrestate, torturate, condannate, fucilate, impiccate, deportate, le donne resistettero allo strenuo. E al momento della Liberazione, vennero escluse dalle sfilate partigiane nelle città liberate. Solo molti anni dopo la fine della guerra vi fu un riconoscimento collettivo alla loro partecipazione, a cui contribuì sicuramente il documentario Le donne nella Resistenza della regista Liliana Cavani che, nel 1965, per la prima volta, diede voce alla presenza femminile nella Resistenza italiana. Progressivamente, il cosiddetto fenomeno della Resistenza taciuta – quel silenzio prolungato sul ruolo rivestito da migliaia di donne ignorate dalla storiografia – venne superato dal proliferare di testimonianze e storie di donne di ogni ceto sociale, professione e provenienza, antifasciste per scelta, che a un certo punto abbracciarono la lotta partigiana.


Nella ricorrenza dell’attuale 25 aprile, segnato dalle ferite di una lunga e complessa pandemia, vogliamo ricordare due volti di donne che si sono rese protagoniste della nostra storia: Tina Anselmi e Tina Merlin. L a prima, nata a Castelfranco Veneto (TV) nel 1927, è un esempio di impegno civile a difesa dei valori democratici e Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale nel terzo governo Andreotti, 1976: la prima donna Ministro in Italia; la seconda, bellunese del 1926, si distinguerà sempre per quei valori di pace, giustizia e dignità nello Stato che l’avevano portata ad entrare nella Resistenza. Corrispondente dell’Unità, sarà la penna giornalistica che denuncerà le ingiustizie sociali e la catastrofe annunciata del Vajont.

Due donne, due volti uniti da uno stesso impegno civile e che all’età di diciassette anni rivestirono il ruolo di staffette partigiane, accompagnando brigate e comandi per strade sicure, reperendo informazioni sul nemico, trasportando armi e munizioni e macinando chilometri su chilometri.

Il 28 aprile del 1945 in località Selve, nei pressi dell'Abbazia di Praglia, 14 persone sono uccise dai tedeschi in ritirata.

L'analisi della testimonianza di un superstite di quel terribile eccidio, induce a riflettere sul significato storico della Resistenza, sui partigiani e il "mito" di essa, sulle dinamiche in atto in quei giorni, ma anche su come gli italiani hanno rappresentato sé stessi nel conflitto.