Come neve

Lo spettacolo teatrale Come neve. La Resistenza a Montesacro è andato in scena il 20 e il 21 maggio presso il Teatro Euclide di Roma. L'opera è stata intepretata dagli studenti del Laboratorio teatrale dell'istituto diretti dal regista Gabriele Linari.

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Lo studente Tommaso Casertano intepreta l'ultima scena dello spettacolo Come neve

C'era casa di paglia. Fredda ma accogliente. I tre porcellini cantavano ogni giorno per sentirsi felici. Ma quel canto passava attraverso la paglia. Tutti potevano facilmente sentirlo. Ma successe che il canto venne proibito. E sarebbe bastato soffiare sulla casa di paglia per farla volare via, assieme al canto. Allora i tre amci si trasferirono in una casa di legno. Più nascosta. E cantarano sommessamente. Ma anche quella casa lasciava passare ogni sussurro e il legno si sa, può prendere fuoco in un attimo. Non restarono che i mattoni, per i tre piccoli amci. Vi si chiusero dentro. Restarono al buio. E non cantarono più Perché nessun soffio e nessun fuoco potesse stanarli. Le canzoni suonavano nelle loro teste, nei loro pensieri. Erano lì con loro. Ma avvenne che si proibissero persino i pensieri. Ma per quelli no, i tre amici non trovarono mura sufficienti. E in breve fuorono i loro pensieri ad abbattere i muri, bruciare la legna, soffiare su ogni pagliaio, in ogni orecchio di ogni animale fino ad allora indistinguibile da tutti gli altri. E così senza più muri, senza salvezza, fu finalmente chiaro chi e dove fossero i lupi.

Buio.

Alla luce una scena muta sotto le note di “San Lorenzo” di De Gregori.

Buio.

Alla luce troviamo Lallo, cappotto, sciarpa lasciata cadere sul collo. Ha un taccuino e scrive. Entrano altri personaggi.


ENRICA – Ancora a scrivere? Fuori c'è il delirio. Per una ciriola ho dovuto fare letteralmente a pugni con una mamma, sarà stata alta quattro metri!


LALLO – Si dice: “le sferze del vento”?


MARCO – A un certo punto ho pensato ci avrebbe tirato i bambini...


LALLO – Un po' cacofonico...


ALESSANDRA – Metti tutto di là, più all'asciutto possibile...


LALLO - “Le sferzate del vento”...


MARCO – Come se ci fosse un punto asciutto in questo troiaio...


ALESSANDRA – Esprimiti bene!


LALLO – Ci sto provando!


ENRICA – Ma Franca che fine ha fatto?


MARCO – (da fuori scena) Ha fatto il giro lungo!


LALLO - “Lo sferzare”?

ENRICA – Ah, già.

LALLO - “Perché?”...

ENRICA – Per sicurezza, no? Ma dove vivi?

LALLO – No, dico: “Perché lo sferzare del vento non mi parla più?”... Funziona? ENRICA – Ma che cazzo ne so?

MARCO – (sempre da fuori) Linguaggio!

ENRICA – Ma che vuol dire?

LALLO – Niente, cerco la forma giusta...

ENRICA – Ma a chi scrivi?

LALLO – No... a nessuno... per me...

MARCO – (rientrando) A Marcellina...

LALLO – Per me!

MARCO – Sì, come no.

ALESSANDRA – Lallo, guarda che quella ha altro per la testa. LALLO – E chi lo dice?

TUTTI – Tutti!

LALLO – Vabbè comunque scrivo, per me... Idee...

ALESSANDRA – Idee.

LALLO – Sì. E poi qualcosa dovrò fare, mi lasciate qui, io sono uomo d'azione. ALESSANDRA – Oh Signore, ricomincia....

LALLO – Io devo stare in strada, devo fare, se sto fermo divento matto... ENRICA – La prossima volta vai tu a fare a botte con la mamma gigante!

LALLO – Certo!

ENRICA – Certo.

Pausa.

MARCO – Scopetta?

LALLO – Vai...


Iniziano a giocare. C'è una sospensione. Le ragazze fanno qualcosa, poi si siedono.

ALESSANDRA – Insomma quel vecchio romano sale sul monte e attacca a parlare... E te lo immagini? Tutti zitti che ascoltano la favoletta...

ENRICA – Beh, però una bella storia...

ALESSANDRA – Mah... Che poi nessuno sa nemmeno se era qui a Monte Sacro o all'Aventino... ENRICA – Vabbè, è uguale...

MARCO – (facendo un punto) Sferzata!

ALESSANDRA – Che poi forse non c'era nemmeno Menenio Agrippa...

ENRICA – Ma dai? E allora?

ALESSANDRA – La storia la scrive chi vince...

ENRICA – Vabbè è uguale...

ALESSANDRA – Come “uguale”?

ENRICA – Sì, insomma, la storiella funziona, manda un bel messaggio...

ALESSANDRA – Sì, come no...

ENRICA – Perchè?

MARCO – (c.s.) Sferzata!

ALESSANDRA – Ma dai, che favola è? Quello sale lassù e non fa altro che allargare il suo consenso... Era un uomo di potere, punto e basta...

ENRICA – Ma ha creato la pace...

MARCO – (dopo che Lallo ha fatto punto) Sferzato!

LALLO – La finisci?

ALESSANDRA – Non lo so... Non lo so se si può creare la pace... Insomma, senza fare comunque la guerra...

Entra franca.

MARCO – Eccola, va! Che notizie ci porti?

FRANCA – (un po' affannata) La signora Vanelli si vede col figlio del fruttivendolo, l'ho visti che si prendevano per mano vicino al Bar Bonelli a Corso Sempione. Invece il figlio dei Russo continua a non voler mangiare e le ha prese di brutto, si sentivano le urla dal lavatoio. Ma quello deve essere un osso duro, mica lo stancano. Ah, Signorini si è fatto la bici nuova, dove l'ha trovata di questi tempi non lo so, ci sta qualcosa sotto. Invece Santini secondo me ha perso la testa, girava per via Monte Argentario guardando la corteccia di tutti gli alberi... Quella a mollarlo gli ha fuso il cervello, ve lo dico io...

MARCO – Ma di che parli?

FRANCA – Dei fatti degli altri. Perché?

MARCO – Che notizie ci porti della situazione.

FRANCA – Ah... Niente di che. Tutto tace.

ALESSANDRA – Brutto segno.

FRANCA – Andrea s'è visto?

ENRICA – Macché.

FRANCA – Sarà successo qualcosa?

LALLO – Sì, che è passato dall'altra parte.

Gli altri sovrappongono le voci, opponendosi seccati a questa ipotesi.

LALLO – Sì lamentatevi quanto vi pare ma quello non mi piace!

MARCO – Ma perché?

LALLO – È ambiguo...

MARCO – Ma non è vero...

LALLO – Sì, è perverso, secondo me...

ENRICA – Esagerato...

LALLO – E troppo pigro... I tipi pigri non mi convincono... Io sono uomo d'azione... TUTTI – Oh, Signore, ricomincia...

LALLO – Io sto sul campo, sgattaiolo, m'insinuo, guardo, ascolto, sto sempre con le antenne tirate...

FRANCA – E lui no?

LALLO – Lui no. Lui gira per il quartiere, si prende i caffè, sparisce per ore, per giorni! E quando torna tutti lo accolgono come un eroe!

ALESSANDRA – Ma non è vero!

LALLO – Sì che è vero! Varca la soglia della porta e sembra sia arrivato il Salvatore! Ma guardate le sue mani! Sono sporche? No. Pulite, come un damerino.

ALESSANDRA – Nessuno di noi lo accoglie mai come un eroe.

LALLO – Sempre.

FRANCA – Andrea è un bravo ragazzo, come noi...

LALLO – Andrea è subdolo, pigro e bugiardo.

ANDREA – (entrando a sorpresa) Che sono io?

FRANCA – Andrea!

Tutti gli vanno incontro accogliendolo – effettivamente – come un eroe.

ANDREA – Che bello rivedervi, ragazzi!

FRANCA – Mi sembra una vita che manchi!

ANDREA – Ho dovuto fare dei giri improbabili per tornare qui. A Monterotondo è tutto un fermento. Me la sono fatta a piedi per i campi e ho dormito due notti in un casale di certi tipi. Antifascisti contadini. Gente simpatica. Lei fa una zuppa di fagioli che te la sogni.

LALLO – Almeno hai mangiato bene.

ANDREA – Un pasto. Uno solo in tre giorni. Poi stamattina all'alba sono sgattaiolato via, strisciando per i campi, mi si è pure strappata la giacca. Ma non ci tengo.

FRANCA – E siediti che c'avrai fame!

ANDREA – Un po'... Poi ho preso il caffè da Bonelli e m'ha fatto peggio.

Lallo fa un cenno come a dire “Che vi avevo detto?”. Franca gli prepara un piatto. Andrea fa per mangiare.

LALLO – E mica vorrai mangiare così?

ANDREA – Perché no? Che devo dire la preghiera?

LALLO – Beh, con tutto quello strisciare avrai le mani piene di fango...

ANDREA – Sì... giusto... (esce per lavarsi le mani)

FRANCA – E quanto sei scortese....

LALLO – È subdolo!

ANDREA – (rientrando) Ah, stasera c'è il cineforum, chi viene?

LALLO – Ma che sei matto? Mettiamoci pure a fare le proiezioni pubbliche così mettono tutti su un treno merci e ti saluto!

ANDREA – Macché proiezioni pubbliche! Ci vediamo a casa mia e parliamo di quello che abbiamo visto... Dove l'abbiamo visto, quanta gente c'era... Cose così!

FRANCA – Che bella idea!

LALLO – Come no...

FRANCA – Io ci vengo!

ANDREA – Bene... (si pulisce frettolosamente la bocca e si alza)

FRANCA – Già te ne vai?

ANDREA – Devo vedermi con certi tizi, hanno informazioni su un deposito armi verso la Nomentana, ci prendiamo un caffè e mi raccontano...

LALLO – E ti pareva?

ANDREA – Come dici?

FRANCA – Ma niente, niente... Piuttosto stai attento che non è un'ora buona per andarsene in giro...

ANDREA – Ma sì... Passo da Via Monte Argentario e il resto lo faccio per campi... Non vi preoccupate per me!

LALLO – Certo hai mangiato poco...

ANDREA – Prego?

LALLO – Per essere uno che non mangia da un bel po' di ore, dico... Hai lasciato tutto lì... ANDREA – Ma che gli prende?

MARCO – Il caffè... Lo rende nervoso...

ANDREA – Vabbè... Vi saluto!

Esce.

MARCO – (a Lallo) Gli hai dato una bella SFERZATA!

LALLO – E piantala!

MARCO – Dai, facciamo uno spaghetto che stiamo messi tutti male!

Canticchiano. Buio.


CORO I

Noi siamo il vento che viene da lontano

che attraversa i giorni e gli anni

che accarezza le coscienze

che vibra tra gli alberi del Viale Adriatico

Salendo su per monti e isole che danno un nome a queste strade di foglie e di storie.

Il sole è la lama su cui camminiamo,

che spacca in due Piazza Sempione, quand'è mattino, che arroventa i palazzi di Val Melaina e dei dintorni.

Tra quelle mura, in quel concerto di cortili, dentro le finestre che formano una schiera, apparentemente quiete e sonnolente,

serpeggia il sibilo, la scossa

che sempre ci sospinge a resistere,

sempre e nonostante.

Nonostante le ronde notturne e gli urli delle bombe Nonostante i passi pesanti dei neri corvi Nonostante gli adii mancati

le sparizioni

le promesse

gli occhi

il sangue

le mani

e nonostante il sole.

Quel sole su cui camminiamo,

prudenti ma veloci.

Quel sole che non ci nasconde.

Quel sole che ogni giorno ci promette

che verrà il giorno

che queste strade

potremo nuovamente chiamarle “casa”.

Siamo la lunga attesa che qualcosa arrivi. La noia che ti piglia ad aspettare

la morte o la vittoria,

l'amore o la rinuncia.

Giochiamo a vivere, frattanto,

che di giocare nessuno può impedirci.

Noi siamo qui, in queste strade, vento che s'alza a vivere due vite contemporaneamente:

organizzare la Libertà per tutti

e fingere, comunque, di averne una da godere.

Buio.

Alla luce troviamo tre ragazzi in proscenio.

UNO – Che si fa, si va?

DUE – Secondo me è fredda...

TRE – Che t'importa, è estate!

DUE – Sì ma ho appena mangiato!

TRE – Un'ora fa!

DUE – Dice che servono tre ore...

TRE – Ma chi lo dice?

DUE – Si dice...

UNO – Basta chiacchiere... Buttiamoci!

TRE – Sì, buttiamoci!

UNO – Insomma, abbiamo un fiume, l'estate, il sole... TRE – Tre fisici invidiabili...

DUE – Ho un po' di mal di pancia...

UNO – Passa qualcuna e magari ci vede, ci nota... DUE - ...e un sacco di cose da fare...

TRE – Facciamoci vedere coraggiosi...

DUE – Poi secondo me sta cambiando il tempo... UNO – Chi si butta per primo?

DUE – Non contate su di me...

TRE – Io non mi fido... Poi se mi butto voi mi lasciate da solo... UNO – Ma scherzi? Io muoio dalla voglia di buttarmi! DUE – Allora vai tu per primo!

Pausa

UNO – Contiamo?

TRE – Io ci sto... Conti tu?

UNO – Va bene. Per te va bene?

DUE – Ma sì, ma sì...

UNO – Allora vado, eh! Uno... Due...

DUE – Aspetta, aspetta!

TRE – Che c'è?

DUE – Al tre o al via?

UNO – Non ho capito.

DUE – Fai “uno-due-tre” e ci buttiamo?

UNO – Eh.

DUE – O “uno-due-tre-via”?

TRE – Ma che ti cambia?

DUE – Poi sennò uno si butta prima, uno dopo... Viene sciatto. TRE – Sciatto?

DUE – Eh.

TRE – Tu non sei mica tutto sano.

DUE – Eh che ho mangiato troppo.

UNO – Vabbè, non perdiamo tempo: al via.

DUE – Al via?

TRE – Sì! Uno-due-tre-via!

DUE – Va bene, va bene...

UNO – Uno... Due...

TRE – Aò, fermo! Arriva Fiorella!


Passa una ragazza. Tutti e tre si fermano in pose da “macho”, in apnea totale. La ragazza li vede, rallenta, poi si ferma e li fissa.

FIORELLA – Ciao!

I tre fanno finta di non capire da dove viene la voce, poi si voltano e improvvisano un goffo saluto in coro: “Oh, cia! Stavamo, sia... L'acqua, il fiume... Non ti avevo vista... Un tuffo, con questo sole”, ecc. Su loro che parlano:

FIORELLA – Vabbè, vabbè, vado di corsa! Ciao!

TUTTI – Ciao!

La continuano a fissare mentre esce. Poi si sgonfiano.

UNO – Allora uno... Due... Tre... Via!

DUE – L'acqua è fredda, davvero. Ma sulla pelle scivola che è una meraviglia. UNO – È come se il caldo ci avesse vestiti per affrontare quest'acqua ghiacciata.

TRE – Le braccia vanno da sole, si nuota, come dei bambini, si gioca, ci si schizza, si ural, come s enessuno potesse vederci.

UNO – E pensiamo subito alla parola Libertà!

DUE – Che bella parola!

UNO – Che ci sembra si adatti benissimo a tutto, in questo momento!

TRE – Al sole, ai colori, alle piante!

DUE – Che sensazione meravigliosa!

TRE – Essere liberi di nuotare!

UNO – L'Aniene è tutto per noi, in questo giorno di agosto!

TRE – Le strade sono mute, deserte, nella calura estiva!

DUE – Che bella parola: calura!

UNO – È un momento brevissimo ma ce lo godiamo come se fossero ore!

TRE – In un attimo siamo arrivati alla sponda opposta.

UNO – Il Ponte Vecchio ci guarda.

TRE – LO salutiamo...

DUE – Non pensiamo più alla pancia, al mangiare... Pensiamo solo a esserci! TRE – Essere qui e ora, essere vivi per un attimo lunghissimo!

UNO – Non pensiamo al tempo, non crediamo nemmeno di poter invecchiare! Mai! TRE – Restreremo per sempre qui, in quest'attimo!

DUE – Giovani, zuppi e felici!

TRE – Ma in un attimo siamo arrivati alla sponda opposta.

UNO – In due, perché il terzo è rimasto nell'acqua e ancora combatte con la corrente... TRE – Ti riacchiappiamo più in là!

UNO – Speriamo che il tuo sacrificio porti a una dignitosa digestione! DUE – (trascinato dalla corrente) Vaffanculo!


Buio.

Luce. Interno di una casa. Due ragazze.

PINA – Sguardo in alto.

ELENA – (esegue)

PINA – Braccia conserte.

ELENA – (esegue)

PINA – Fischietta

ELENA – (esegue, ma non riesce)

PINA – Vabbè, canticchia.

ELENA – (esegue)

PINA – Ora cammina...

ELENA – (esegue)

PINA – Più lentamente...

ELENA – (esegue)

PINA – Devi sembare stanca...

ELENA – (esegue)


PINA – Non troppo!

ELENA – (esegue)

PINA – Ecco così. Ora fai per allacciarti la scarpa.

ELENA – (esegue)

PINA – Ma non tenere la testa bassa! Guardati sempre intorno!

ELENA – (esegue)

PINA – Non così! Non troppo! Si vede da un chilometro che sei circospetta! Rilassati! ELENA – (esegue)

PINA – Di più!

ELENA – (esegue)

PINA – Di più!

ELENA – (si sdraia a pancia in giù)

PINA – Vabbè, ci rinuncio...

ELENA – (rimanendo sdraiata) Io non ho capito perché dobbiamo fare tutta queste cose...

PINA – Se ti lascio andare lì fuori così come sei ti prendono e ti ficcano dentro un vagone in men che non si dica... Se ti va di lusso...

ELENA – (c.s.) Ma non posso semplicemente “far finta di niente” così come mi viene? PINA – Certo che puoi... Ma ti viene male.

ELENA – (c.s.) Male?

PINA – Malissimo.

ELENA – Va bene. (Pausa) Mi posso alzare?

PINA – Lo vedi?

ELENA – No, ho la faccia a terra.

PINA – NO, dico: lo vedi che da sola non sai prendere nemmeno le iniziative più semplici? ELENA – Ma me l'hai detto tu: “Fai solo quello che dico”!

PINA – Sì ma ogni tanto devi metterci del tuo... Guarda che là fuori l'improvvisazione è tutto, eh! ELENA – Va bene. (Pausa) Mi posso alzare?

PINA – (sbuffando) Sì. Puoi.

ELENA – Che poi io ho trascorsi teatrali, sai?

PINA – Ma non mi dire!

ELENA – Sì. Da bambini facevamo finta che i genitori fossero il pubblico, organizzavamo degli spettacolini nel cortile, una cosa carinissima...

PINA – Un amore... E che mettevate in scena?

ELENA – Mah, piccole cose, eh... Quello che era successo il giorno prima... O la mattina... PINA – Immagino che testi pieni di tensione...

ELENA – Macché, piccole cose...

PINA – Sì, eh...

ELENA – Però era carino... Anche un modo per confrontarci su cosa si poteva o non si poteva fare... Scoprivi che l'amica del cuore non poteva mettere i calzoncini corti, che un altro non poteva uscire dopo il pranzo... Un modo per dire ai nostri genitori: “Guarda che a me questo non sta mica bene”... Un modo per... (si zittisce e si fa seria)

PINA – Beh?

ELENA – Cosa?

PINA – Un modo per?

ELENA – Un modo per condividere... Poterne parlare ci alleggeriva... Stavamo all'aria aperta... Il “nemico” davanti ci capiva... A volte si arrabbiavano... Ma almeno capivano... E se non capivano loro, capivano quelli che recitavano...

PINA – Che capivano?

ELENA – Che non si può subire sempre. Che quando subisci sei solo. Che più sei solo più sei facile da sottomettere. Che la paura è una spia che ti porti dietro... E loro lo sanno... E diffondono la paura fingendo di proteggerti... E invece ti stanno accerchiando... L'avevamo capito così bene... Ma ce lo siamo dimenticato.

Pausa. Pina è molto colpita. Non sa bene come consolarla. Allora cerca di cambiare discorso. PINA – Vebbè ma adesso mica siamo in cortile, no?

ELENA – No...

PINA – E non sei più manco una bambina, giusto? ELENA – Giusto.

PINA – Allora ripassiamo...

ELENA – Di nuovo?

PINA – È per il tuo bene!

ELENA – Va bene...

PINA – Allora tu esci di casa alle 14... ELENA – Esco di casa alle 14

PINA – Attraversi piazzale Adriatico

ELENA – Attraverso piazzale Adriatico PINA – Scendi per Via Monte Rosa...

ELENA – Scendo per via Monte Rosa... PINA – Lì c'è Andrea

ELENA – Lì c'è Andrea

PINA – Che t'aspetta

ELENA – Che t'aspetta

PINA – No, aspetta TE!

ELENA – Aspetta ME!

PINA – Ti da la busta

ELENA – Prendo la busta

PINA – Torni indietro

ELENA – Vado a Val Melaina

PINA – All'incrocio con la via grande

ELENA – C'è un albero tutto attorcigliato PINA – Lì ti fermi

ELENA – E faccio la vaga (esegue il siparietto con cui si è aperta la scena, ridicolo anche stavolta) Pina la osserva spazientita, poi scatta verso di lei e la afferra violentemente per il collo da dietro. ELENA – Ma che fai?

PINA – Sono una guardia, un poliziotto, un corvo, un infame, chi ti pare!

ELENA – Mi fai male!

PINA – Ti ho vista aggirarti circospetta e mi sono insospettito!

ELENA – Lasciami!

PINA – Adesso ho capito che hai un appuntamento, rispondi!

ELENA – Non è vero!

PINA – Più forte!

ELENA – Non è vero!

PINA – Secondo me invece è vero! E ti spezzo il collo!

ELENA – Smettila!

PINA – Anche solo per divertirmi!

ELENA – Mi fai male!

PINA – Perché sono tedesco, frustrato, incazzato nero!

ELENA – Mi stai spezzando il collo!

PINA – Ti ammazzo e ti lascio in mezzo alla strada perché tutti lo vedano!

ELENA – No!

PINA – Perché sia di lezione!

ELENA – Lasciami!

PINA – ( La morsa diventa un abbraccio, Elena singhiozza) La paura non è sempre e solo una spia, a volte è un angelo custode! A volte ti accerchia, altre ti protegge... Se ti fai ammazzare a me non rimane più nessuno, lo capisci?

ELENA – Sì...

PINA – Se rimango sola non c'è teatrino che mi possa salvare!

ELENA – Ho capito...

PINA – Io non ci voglio rimanere senza di te... Dimmi che non ti farai ammazzare! ELENA – Prometto...

PINA – Non mi va di vivere anche senza di te...

ELENA – Ho capito!

PINA – Dillo forte...

ELENA – Non mi farò ammazzare!

PINA – Più forte!

ELENA – Non mi farò ammazzare!

PINA – Più forte!

ELENA – Non mi farò ammazzare!

PINA – Più forte!

ELENA – Non mi farò ammazzare!

Buio.

Platea.

Noi siamo qui, abbi conforto.

Siamo qui, con te,

sentiti sicuro.

Noi siamo il nero, vestiamo di scuro.

Siamo la notte, il buio, lo sguardo cieco.

Siamo la resa.

Usciamo dalle fogne come i topi.

Di notte come i ladri.

Siamo caldi come amanti, però,

lasciaci entrare.

Fermati.

Non ti muovere.

Se tutto resta

tutto passa.

Se tutto passa

tutto si dimentica.

Fermati.

Dimentica.

Togliti un pezzo per volta.

Privati del caffè a metà mattinata.

Togli il giornale.

Togli il parco all'imbunire.

Togli.

Non uscire.

Togli lo sguardo all'estraneo passante, che ti faceva sognare un incontro, poco importava se fosse possibile, guardavi e sognavi.

No: toglilo. Non guardare.

Smetti di sognare. Smetti di passeggiare

È alle cose concrete che devi pensare. Non sognare.

La paura ti scalda. Ti protegge.

La libertà è la coperta corta degli stolti.

Tu no. Tu sei furbo. Tu hai paura. E ti salverai.

Temi tutto, non tralasciare niente.

E quando non temi, odia! Disprezza.

E un pezzo per volta potrai sparire.

E una volta scomparso chi ti può toccare?

Pensaci.

Scappa.

Non ti voltare.

Alla luce troviamo le donne partigiane ferme. Si guardano un po' intorno. Senso di immobilità generale. Le prime che parleranno faranno ognuna il suo movimento. Da allora lo accenneranno ogni volta che devono intervenire nella conversazione. Sul finale ripeteranno il gesto in loop.

UNO – (come ricordandosi qualcosa) I volantini!

DUE – Presi.

UNO – E dove...

TRE – Secondo cassetto dell'armadio di là.

UNO – Ah.

Silenzio. Quattro si alza.

DUE – Dove vai?

QUATTRO – Il pane...

DUE – Che pane?

QUATTRO – Le ciriole... Vanno comprate...

TRE – Sportello a destra della cucina. Prese ieri. Già dure ma buone.

QUATTRO – Ah.

Silenzio. Cinque si alza e fa una mossa strana, batte i piedi, un po' frenetica ma sempre assente. DUE – Che fai?

CINQUE – Mi sgranchisco. A star seduta mi si addrmenta pure il cervello.

DUE – Ah.

Silenzio. Sei scivola lentamente dalla sedia.

DUE – Che ti prende?

SEI – Speravo non mi vedessi.

DUE – Impossibile.

SEI – Ah. (Silenzio) Certo che è assurdo. Dobbiamo stare qui senza far niente. TRE – Abbiamo fatto già tutto. Dobbiamo solo aspettare.

SEI – Beh, io lo trovo assurdo.

QUATTRO – Per quanto assurdo che possiamo fare?

UNO – (come prima) Potremmo andare a distribuire i volantini!

TRE – E se poi tornano e non trovano nessuno? Se qualcuno è rimasto ferito? CINQUE – Ma perché era prevista qualche azione particolare?

DUE – Non credo...

CINQUE – Ora non ci avvertono nemmeno più?

DUE – Non penso...

CINQUE – Ci lasciano qui senza dirci niente e vanno fuori a farsi ammazzare e non sappiamo dove sono, cosa fanno, se assaltano, se sono assaltati! E se sono inseguiti? Se portano qui le guardie tedesche mentre ce ne stiamo senza far niente...

DUE – Calmati! Non è prevista nessuna azione. Sono andati a capire la situazione. TRE – Come sempre.

DUE – Come sempre.

Silenzio.

SEI – È che comunque noi, qui, ci sentiamo come ci sentiamo...

TRE – E come ci sentiamo?

SEI – È la stessa sensazione di quando sei piccolo e sai che andrai... Non so... Una gita fuori porta... Il pranzo al sacco che ingombra la macchina di un parente fino a quel momento lontano e poi...

TRE – E poi il cuore diventa piccolo piccolo e ti batte forte e pensi ora arriviamo... E magari non sei neanche partita, non ti sei nemmeno ancora vestita e pensi a cosa metterti...

QUATTRO - Anche se sai bene che hai solo un vestito, per queste occasioni, sempre lo stesso da sempre...

CINQUE - Che ora ti va pure corto, per forza ma non importa tanto sei in famiglia e allora vada per il vestito corto... E i capelli raccolti in una coda...

UNO - O in una treccia, più laboriosa, così inganni il tempo facendo qualcosa mentre di là caricano le ceste e le sacche di pane, burro...

TRE - Una teglia di lasagne ancora fumanti che non arriveranno mai sane e sporcheranno tutto il resto e qualcuno si arrabbierà per forza ma gli altri rideranno...

UNO - E non si accorgeranno nemmeno di aver iniziato a mangiare...

SEI - Di più! DI essere già quasi alla fine del pasto!

TRE - E poi tutti giù, sul prato! I bambini che giocano a qualcosa che nemmeno loro sanno! QUATTRO - Pur di correre e urlare!

CINQUE - E i genitori che una volta tanto lasciano fare!

UNO - Poi il sole inizia a calare e allora...

SEI - Bambini! Bambini si torna!

UNO - Si raccoglie tutto ed è il lavoro più lungo

TRE - Perché è appesantito dall'idea di tornare...

QUATTRO - Tornare a non poter correre o urlare...


SEI - Tornare a non fare nulla.

Silenzio.

DUE – Noi facciamo. Facciamo eccome. Noi aspettiamo perché qualcuno deve aspettare. Assistere. Conservare. Anche star ferme è un'azione, sapete? E nemmeno delle più facili.

TRE – Giusto.

QUATTRO – Giusto.

CINQUE – Giusto.

SEI – Giusto.

UNO – Giusto.

Silenzio. Parte una musica. Dall'immobilità partono i gesti con cui si sono presentate. Vanno aumentando nella ripetizione in loop.

Buio.

DEPOSITO DELLE ARMI

FUCILE – Siete tutti pronti?

TUTTI – Pronti! Sì! Prontissimi! Sempre Capitano! Agli ordini!

Beretta alza la mano.

FUCILE – Che hai da dire?

BERETTA – Quando arriveranno, Capitano?

FUCILE – La pazienza è la virtù dei forti! Non spetta a noi sapere... A noi spetta aspettare! BERETTA – (ride)

FUCILE – Che hai da ridere?

BERETTA – Pensavo fosse un gioco di parole, Capitano!

FUCILE – Non c'è nessun gioco da queste parti! Dobbiamo aspettare e qualcuno verrà a prenderci! BOMBA – Sento che scoppio se non viene qualcuno!

Tutti, tranne Bomba e Fucile, si buttano a terra.

FUCILE – Calma! Calma! Bombammano parlava in senso figurato! Dobbiamo solo aspettare, 20

ripeto! Verrà di certo qualcuno! Noi siamo le loro armi, diamine! Anche se ci hanno... MOSCHETTO – Abbandonati!

FUCILE – Depositati, moschetto, depositati! Ci hanno depositati in attesa di nuove azioni, di nuovi assalti! Alcuni di noi sono qui da tanto, forse da troppo... Ma nonostante questo qualcuno si fa sempre vivo!

Una pausa.

MORTAIO – Ehi... Pssst... Ehi...

THOMPSON – Dici a me?

MORTAIO – Sì, a te... Come ti chiami?

THOMPSON – Thompson, fucile automaico, letteralmente piovuto dal cielo con un paracadute... MORTAIO – Vieni dall'America! È fantastico...

THOMPSON – Oh, non è poi granché...

MORTAIO – Sicuramente meglio che stare sempre con le staffe nel fango come noi mortai... Appostati, sempre in attesa, anche nel pieno dell'azione...

THOMPSON – Già... Ma anche correre sempre...

FUCILE – Silenzio! Sento dei rumori! È il momento!

Rumore di camionette. Scene di eccitazione generale: chi grida, chi prega, chi fa progetti. Poi tutto si spegne. Il rumore si allontana.

FUCILE – Falso allarme.

MITRA – Sta-ta-ta-volta-ta ci-ci ave-ve-ve-vo creduto-to-to da-da-da-vvero.

FUCILE – Arriveranno, mitra, arriveranno. (Silenzio. Beretta alza la mano) Beretta! Che c'è di nuovo?

BERETTA – E se venisse quello sbagliato?

FUCILE – Che vuol dire “sbagliato”?

BERETTA – Ho sentito di un fucile finito nelle mani di un bambino.

Rumori di indignazione.

MITRA – I ba-ba-bambini non do-do-dovrebbero ma-ma-maneggiare i fu-fu... i fu-fu-fu... I fu-fu... FUCILE – Fucili? Come me? Figuriamoci se potrei mai finire nelle mani di un bambino! Sono

un'arma complessa, che richiede esperienza...

MORTARETTO – A volte mi chiedo quale può essere il senso di tutto questo. THOMPSON – Questo che?

MORTARETTO – Questo. Punto. Aspettare, sparare, caricare, freddarsi, aspettare. Per cosa? THOMPSON – Ti fai troppe domande. Entri nell'azione e vai. Quel che succede succede. MORTARETTO – Ti sei mai inceppato?

THOMPSON – Mai!

MORTARETTO – Che aspettiamo, di preciso?

FUCILE – Bombammano ha sentito delle voci.

BOMBA – Sì! Cioè... Non nella testa, eh! Insomma non sono matta, che diamine! Le voci le sento ma fuori! Voci vere! Checché se ne dica mi so contenere, so distinguere benissimo il vero dal falso! E se qualcuno pensa...

FUCILE – Nessuno pensa niente! Calmati!

BOMBA – Scusate... È un periodo in cui mi eccito per niente... Comunque... Queste voci parlavano dell'alba... Della prossima alba... Che qualcuno dovrebbe venire tra qualche ora a rifornirsi per non ho capito che azione... E allora, insomma, sarà il nostro momento! Beh, per qualcuno di noi, perlomeno...

Beretta bofonchia qualcosa.

FUCILE – Beretta che hai da ridire?

BERETTA – Ma niente... niente...

FUCILE – Non mi piace il tuo atteggiamento, sai? Dì quello che hai da dire o stai in silenzio!

BERETTA – Ma nulla, riflettevo su tutto quanto, sui nostri pensieri, su questa attesa... Nulla, pensieri da mortaretto...

MORTARETTO – Ehi!

BERETTA – Scusa, senza offesa. È he a star fermi... Voglio dire... Sono una pistola piccola ma agile, utile nei momenti di difficoltà... Io mi nascondo in una tasca poi sbuco e bam! È solo che a volte vorrei finire in nuove mani...

MITRA – Non di un ba-ba-bambino spe-pe-pero!

BERETTA – Ma no, ma no... Insomma... Non necessariamente... Delle mani giuste... 22

FUCILE – E quali sarebbero le mani giuste?

BERETTA – Mani che sparano per un motivo valido...

FUCILE – E quale sarebbe un motivo valido per uccidere?

BERETTA – Beh... messa così...

FUCILE – Non c'è mai un motivo davvero valido per morire... Si tratta solo di decidere da che parte stare nei momenti peggiori... E i momenti peggiori... Beh... Sono i nostri migliori... Allora bambino, adulto, giusto, sbagliato... Vanno tutti in malora...

BERETTA – Allora vorrei finire in una mano pura, che spara solo se davvero c'è bisogno... MITRA – Sono pa-pa-pa... Pa-pa-pa...

MORTARETTO – Particolarmente colpito, credo voglia dire...

MITRA – G-grazie.

BERETTA – Già. Sembra tutto un gioco di parole.

Silenzio.

BOMBA – Capitano...

FUCILE – Sì?

BOMBA – Io comincio a sentire molto freddo.

FUCILE – Passerà... Passerà tutto...

Silenzio.

Bombammano starnutisce. Tutti a terra.

FUCILE – Sarà una notte lunghissima.

Buio.

Alla luce tre ragazzi in proscenio.

UNO – Che si fa, si va?

DUE – Secondo me è fredda...

TRE – Tanto è freddo pure fuori, è inverno!

DUE – È freddo pure dentro!

TRE – Che vuol dire?

DUE – Dice che se muori d'inverno rinasci come neve...

TRE – Ma chi lo dice?

DUE – Si dice...

UNO – Basta chiacchiere... Buttiamoci!

TRE – Sì, buttiamoci!

UNO – Insomma, abbiamo un fiume, le armi da riportare, i compagni che ci aspettano... TRE – Tre fisici invidiabili...

DUE – Ho una brutta sensazione...

UNO – Prima ci buttiamo, prima arriviamo dall'altra parte...

DUE - ...e un sacco di cose da fare...

TRE – Siamo coraggiosi...

DUE – Sì coraggiosi...

UNO – Chi si butta per primo?

DUE – Non contate su di me...

TRE – Io non mi fido... Poi se mi butto voi mi lasciate da solo...

UNO – Ma scherzi? Io muoio dalla voglia di buttarmi!

DUE – Allora vai tu per primo!

Pausa

UNO – Contiamo?

TRE – Io ci sto... Conti tu?

UNO – Va bene. Per te va bene?

DUE – Ma sì, ma sì... Al via?

UNO – Come sempre! Uno... Due...

TRE – Aò, fermo! Arriva qualcuno!

Rumore di passi. Di marcia. Si buttano a terra per non farsi vedere. Il rumore di passi si allontana. 24

UNO – Allora uno... Due... Tre... Via!

DUE – L'acqua è fredda, davvero. E sulla pelle scivola che è una meraviglia.

UNO – È come se il freddo dell'inverno, delle tane in cui ci nascondiamo, dei nostri cuori resi gelidi dall'orrore che ci circonda, ci avesse peparati ad affrontare quest'acqua ghiacciata.

TRE – Le braccia vanno da sole, si nuota, come dei soldati. In silenzio. Eppura, nella testa, ognuno di noi gioca, urla, canta come se nessuno potesse davvero vederci, prenderci, ucciderci o torturarci.

UNO – E pensiamo subito alla parola Libertà!

DUE – Che bella parola!

UNO – Che ci sembra più lontana di quanto non paia la sponda, in questo fiume ghiacciato! TRE – Pensiamo al sole, ai colori, alle piante!

DUE – Che sensazione meravigliosa!

TRE – Essere liberi di nuotare!

UNO – L'Aniene è tutto per noi, come in un giorno di agosto!

TRE – Le strade sono mute, deserte, le abitano solo la paura e l'incertezza!

DUE – Che parola terribile: incertezza!

UNO – È un momento brevissimo ma fa tanto freddo che sembrano ore!

TRE – In un attimo siamo arrivati alla sponda opposta dove ci aspetta il deposito di armi da saccheggiare.

UNO – Il Ponte Vecchio ci guarda.

TRE – Gli chiediamo un ultimo aiuto: nasconderci ancora...

DUE – Non pensiamo più alla pancia, al mangiare... Pensiamo solo a esserci! TRE – Essere qui e ora, essere vivi per un attimo lunghissimo!

UNO – Non pensiamo al tempo, altrimenti ci assale il terrore di non poter invecchiare! Mai! TRE – Restreremo per sempre qui, in quest'attimo!

DUE – Giovani, zuppi ed eroici!

TRE – Ma in un attimo siamo arrivati alla sponda opposta.

UNO – In due, perché il terzo è rimasto nell'acqua e ancora combatte con la corrente... 25

TRE – È sparito in un attimo, neanche il tempo di tentergli una mano! DUE – Speriamo che il tuo sacrificio possa servire a qualcosa! UNO – (sconsolato) Vaffanculo...

Buio

Luce cupa sul palco

Noi siamo sempre qui,

non disperare.

Seguitiamo soffiare

nel sole di queste strade

sterrate

ingombre di silenzio

Noi di silenzio viviamo,

non parlare

Hai sentito la paura

avvolgerti e proteggerti?

Hai taciuto

e sei vivo.

Ringrazia

Noi col sole, tra i palazzi

divisi da strade sterrate

giochiamo.

A essere liberi

A essere vivi

Giochiamo a sperare

Gioca con noi.

Nasconditi

e conta fino a dieci.

Non sei che un bambino

di poco cresciuto.

Perché combatti?

Non ti spetterebbe

piuttosto

giocare?

Nasconditi, allora,

e conta.

Ma non uscire.

Conta tutte le volte

che ti sei voltato

e tutto è rimasto immobile.

Tutte le volte che non ti sei mosso

per paura che smuovere l'aria

potesse, d'un tratto, scoprirti

Conta e corri,

decidi

se guardia o ladro

se lupo feroce che soffia

o maiale che fiero prottegge la vita,

di sé come degli altri.

Non uscire, non parlare,

rimani e non respirare,

anche se vedi gli altri partire

Anche se vedi gli altri saltare

in un'aria di fuoco che cuoce

Anche se senti soffiare

Non guardare.

Voltati.

Conta.

Non parlare!

Giochiamo come bambini,

il tempo è ancora nostro.

L'Aniene si gonfia di storia

una storia tutta nuova

che da oggi

porta anche il tuo nome.

Noi siamo qui, in queste strade, vento che s'alza

a giocare i nostri giochi ribelli:

contare libertà distrutte

nascondersi a quelle negate.

Buio.

Luce sul palco.

UNO! Mi sveglio prima del sole. I piedi sul pavimento sentono il freddo della notte. Gli occhi cercano le immagini dell'ultimo sogno ma niente: è sparito. È buio e ho paura di sbattere e il letto mi chiama più forte di ogni pensiero. Nonostante questo mi alzo.

DUE! Pane, un po' duro, un velo di burro, l'ultimo e tanto zucchero. Mi dà la carica sufficiente per lanciarmi sul viso un po' di acqua fredda. Mi vesto di corsa, voglio uscire prima del sole. Una scarpa si infila, l'altra fa storie. La trascino per le scale. Lei si ribella, vuole scappare. Nonostante questo l'allaccio.

TRE! Val Melaina è deserta, il cielo è libero, almeno lui e sta lì. Dove dovrebbe stare? Insomma niente nuvole e un filo di sole si affaccia sul fango che mi inchioda ogni passo. Ma corro. Ho fatto prima di lui.

QUATTRO! Saluto qualcuno, non so chi sia, non vedo bene a quest'ora. Arrivo al portone, è aperto come promesso. Salgo le scale a due a due e do la bussata di rito (la fa con il piedie)

CINQUE! Nella casa la tavola, il letto, il divano, sono ingombri di piatti sporchi da giorni, posate bicchieri e di fogli. Raccolgo quello che serve, i fogli, da portare a chi di dovere.

SEI! Volantini nelle borsa, sole che sale, io corro ancora e trovo dietro all'albero la sacca coi chiodi a quattro punte. Raccolgo. Solo il sole mi ha visto. Fa freddo. Nonostante questo io sudo di già.

SETTE! Giro a destra, la strada è deserta, Ponte Vecchio è tagliato dal sole. Mi guarda. Nonostante questo proseguo lungo un pezzo di Nomentana, fino al punto deciso con gli altri.

OTTO! Aspetto. Come da accordi. Il cuore batte, per la corsa o per altro poco importa. Sento dei passi e mi affaccio, è arrivato il momento di sparpagliare.

NOVE! Sparpagliare i chiodi lungo la strada aspettare la camionetta nazista e BUM! È arrivata pirma. Poco dopo il sole. Dopo di me ma prima degli altri. Accidenti!

Mi giro. Non c'è più nessuno. Non trovo nessuno. Chiamo. Nessuno risponde. Dove sono? Da qualche parte. Io no. Sono io che non ci sono. Non più. Nemmeno il colpo ho sentito. Nemmeno il freddo. A malapena il sole. Che sembra ridere mentre si spegne. Nonostante questo... DIECI!

Vengono avanti, in schiera. Mettono le mani dietro la schiena come per un'esecuzione. Buio.

Alla luce Nicola suona la chitarra. Accenna accordi e poi si ferma. Entra Lallo. LALLO – Dio che tormento!

NIC – Cosa?

LALLO – Li riesci a fare due accordi di fila senza interromperti e ricominciare? NIC – Sto cercando...

LALLO – Eh... Cerca, cerca... Intanto là fuori le cose si complicano...

NIC – Che è successo?

LALLO – Hanno capito il giochino dei fili...

NIC – Che fili?

LALLO – Del telefono! Sveglia! Hanno capito che li tagliamo e li riattacchiamo sfalzati! CI mettono sempre meno a trovare il punto del taglio...

NIC – E come fanno?

LALLO – Passano con un lungo bastone, lo scorrono sul filo passando con la camionetta e appena sentono un'anomalia tac! Riattaccano i fili...

NIC – Vabbè ma sempre tanto ci metteranno...

LALLO – Sempre meno...

Nicola riprende a suonare.

LALLO – Ricominci?

NICOLA – La musica mi aiuta a pensare!

LALLO – Andiamo bene...

NICOLA – Penso che farò il musicista...

LALLO – Le premesse ci sono tutte...

NICOLA – Sul serio... Signore e signori ecco a voi il primo grande concerto italiano di Nicola Rainelli! Una sola chitarra per tante anime musicali! Mi ci vedi?

LALLO – Benissimo...Eppure la musica ci aiuta...

NIC – Eppure la musica ci aiuta...

LALLO – A me no... Io vado... Devo incontrare una persona... Un nuovo compagno... Più siamo meglio è... Tu rimani a sognare...

NICOLA - (si alza) Amico mio, c'è ancora tanto da fare insieme, il mondo va avanti e a volte vorrei rimanessimo solo noi, spensierati e felici, a godere della nostra intimità e desiderare comunque che questa si mostri a tutti, ma ormai non è più possibile. Ci siamo sempre chiesti: “che ne sarà di Roma?”, “e dell’Italia?”...c'è un cammino davanti a noi e ho bisogno di te. Io preferisco stare qui, a scrivere nuove canzoni, adesso del resto serve l’aiuto di tutti e io...noi vogliamo assicurarci che la cultura, la musica, l’arte non muoiano (si rivolge al pianoforte) ogni giorno mi ripeto questa filastrocca, aiuta, ma è davvero così? Stare qui con te mi aiuta a sentirmi utile, a tenermi impegnato, a non pensare. La realtà ci sta chiamando. È come una campana, una piccola campana, e tu ci sei dentro. Appena ti muovi eccola che si muove anche lei, rintoccando in maniera insopportabile. Non riesco a muovermi senza che anche questa si muova. Eccola...sta suonando…mi chiama...non sono ancora pronto, è troppo stretto, è troppo presto, lasciami stare, basta, fermati! Mi ci ha messo qualcuno o mi ci sono messo io da solo? Non lo so, quello che è sicuro è che dovrò rimanere qui per un po', da solo, senza di te. (Si risiede) Sì, io ho paura, e ho bisogno di te.

Accenna qualche accordo poi entrano due attori.

DAVIDE – Un giorno, proprio ner novembre del 1943, ci siamo svegliati. E niente ci pareva più ammissibile. Abbiamo smesso di ammettere, allora, di assecondare...

GIULIA – Quel giorno di novembre del 1943 eravamo nell’Aula Magna. Il Rettore stava parlando, non mi ricordo molto bene manco di che, eravamo distratti, troppi pensieri... O comunque quel giorno nun c'annava molto d'ascoltare..

DAVIDE – Che avevamo smesso pure di ascoltare, giusto quello... Che a sentire sempre le stesse cose ti stufi... che ascolti a fare...

GIULIA – E insomma siamo lì, distratti, quando entrano nell’aula il comandante tedesco Maeltzer co tutti i suoi gendarmi...

DAVIDE – Pareva un sogno! Che a sentire sempre i soliti discorsi capace che t'addormenti, in aula... Dormi e sogni... Pareva un sogno: il neofederale di Roma fa un discorsone sul fatto che dovevamo tutti prendere, partire e smettere di studiare pe anna’ a combattere per la Repubblica di Salò

GIULIA – Che tanto lo studio in guerra non ci serve, che basta sape’ spara’. Alla fine del discorso, dopo ave’ chiesto “chi è il primo?”, nel silenzio generale, uno di noi si alza, un tipo magrissimo, co’ l’impermeabile rialzato, il colletto della camicia che je stava largo e du occhialetti doppi, anzi tripli, noi pensavamo che si volesse arruolare e invece inizia a canta’

DAVIDE – Che tante volte ce lo siamo detto tra di noi: dai ragazzi! Dai! Sveglia! Pure se ti viene sonno, stai sveglio! Che a chiude' l'occhi abbassi la guardia e hai finito! Che magari nun te trovano ma è 'n attimo che chiudi l'occhi e passi dall'altra parte!

GIULIA – Che pure a stare zitti l'hai già fatto un passo de là, da quelli cattivi. Forza ragazzi. Che è 'n attimo!

DAVIDE – E insomma questo s'alza in piedi!

GIULIA – Ma immagina il silenzio che se fa'!

DAVIDE – Pe' tutta l'aula un gelo! Che tutti l'hanno capito che quello mica s'alza pe' dì: ecchime so 'r primo!

GIULIA – Co' quer colletto de camicia e quell'occhiali pareva 'na talpa infagottata DAVIDE – “Forza ragazzi!”, pare vole' dì, “Forza”... E invece attacca a cantà... GIULIA – Così, in mezzo a tutti!

DAVIDE – “Allons enfants de la Patrie”, e tutti dietro a cantare a squarcia gola. A quel punto i tedeschi sò usciti gridando.

GIULIA – E quer tipo tutto infagottato ride e canta a squarciagola! “Allons enfants de la Patrie” DAVIDE – Che tipo, ti dico, era tutta gioia!


GIULIA – Ho saputo che poi gli hanno sparato alle spalle sti vigliacchi.

DAVIDE – Forse se chiamava Massimo Gizzio. Nun ce l’ha fatta.

Buio.

Alla luce una ragazza a centro palco.

Vi siete mai chiesti cosa pensi una campana? Niente, per voi… a voi basta sentirci suonare e il più è fatto: ritmo veloce e toni alti ed è festa. Rintocchi diradati? Toni bassi? Evidentemente un funerale. E i vostri sentimenti sono chiari, ma i nostri? Ve li dico io: una campana aspetta, osserva, sa tutto ma non parla. Ma io sono qui, più in alto di tutti. E ultimamente oltre a scandire il tempo ho una nuova funzione: accogliere, nascondere. Bagnato. E’ arrivato bagnato, tra sudore e lacrime. Il prete lo ha accompagnato fino a qui, dandogli un po’ d’acqua, tutto quello che aveva da offrire, e lui ha accettato; poi lo ha lasciato da solo e lui ha ripreso a piangere, con le gambe piegate verso il petto e i gomiti sulle ginocchia, le mani che tenevano la testa come se fosse troppo pesante quello che stava sopportando da mesi. Il doversi preoccupare sempre di tutto: stai attento per strada, stai attento alle armi, stai attento perché una parola di troppo e ti ritrovi chiuso in una cella così stretta che neanche i tuoi pensieri ci entrano. E lui è stato attento, altrimenti ora non sarebbe qui, dentro una campana, introvabile a tutti perché nessuno penserebbe di cercarci vicino. Il sudore della corsa comincia a freddarsi sulla sua fronte. Lo vedevo spesso lui, era sempre in giro, sempre a fare qualcosa, sempre attivo. Il momento più bello in cui potevo guardarlo era quando giocava qui sotto a pallone, insieme agli amici, gli stessi con cui poi si ritrovava a doversi passare un fucile invece che una palla. Ma quando giocavano sembravano ragazzi normali. La palla la portava sempre lui, una palla vecchia e sgonfia ma che si facevano andare più che bene, alla fine non era tanto il giocare sul serio, era il poter lasciarsi andare per un momento. Poi tornavano verso casa, lui sempre con lo stesso ragazzo, alto e moro, mentre si spintonavano amichevolmente e ridevano. E ora si riesce ad intravedere lì sotto a piazza Sempione un ragazzo che viene portato via con la forza, fatto salire su un camioncino mentre intorno la gente è seduta al bar tranquillamente, a dimostrare quanto fosse abituale vedere qualcosa del genere. Il ragazzo si asciuga le ultime lacrime dal viso e alza la testa, guarda verso la piazza. Si riesce a percepire il senso di smarrimento che prova; chissà se potrà mai tornare a casa sua o se dovrà fuggire dalla città, se rivedrà mai i suoi genitori, i suoi amici, la sua ragazza. Allontana lo sguardo dalla piazza e si sdraia, rannicchiandosi come per proteggersi da qualcosa, dall’aria che entra, dal sole che dà fastidio agli occhi, dai piccioni che si poggiano qui vicino, da tutte queste cose innocue. Ma soprattutto dal male che si respira come fosse ossigeno.

Buio.

Alla luce troviamo tre ragazze sul palco.

MARIO - Ciao mi chiamo Mario. Da qualche tempo ho deciso di vivere dentro una scatola di scarpe. Non è poi così male, se ci fai l’abitudine. E io sono uno che si abitua facilmente. L’aria passa da ogni fessura, per cui posso respirare… Piano piano, certo ma posso. Non so quanto tempo dovrò restare qui dentro. Non mi interessa. Purché io sia al sicuro. Il tempo, del resto, cambia forma di continuo, qui dentro. Perché sono qui?

SCATOLA - Caro Mario, ti scrivo perché da troppo tempo ci frequentiamo senza nemmeno parlarci. Forse la timidezza, forse lo stato delle cose, non so. Fatto sta che non riesco mai a trovare il coraggio per dirti quello che sento davvero. A volte è un solletico, a volte un senso di pesantezza, altre volte addirittura mi sembra che tu non ci sia più. Eppure ci sei, lo so. Una scatola queste cose le sente e io sono la tua scatola… Sì, quella che ti nasconde e ti protegge.

MARIO - Non so bene in che posizione mi trovo. Non più. Vi capita la notte, nel dormiveglia di chiedervi in che posizione effettivamente sia… che so… un braccio? Magari lo credete disteso ma non sentendolo vi ponete la domanda: e se fosse sulla pancia? Provate a sentirlo ma niente… Nel dormiveglia si mischia tutto. e quel braccio, per qualche secondo, non lo trovate più. Ecco: a viver nascosti ci si sente così, di continuo. Mischiati. Senza né capo né coda.

SCATOLA - Ma soprattutto, caro Mario: dov’è “qui”? Perché a una scatola non è richiesto di orientarsi. Noi veniamo spostate, poggiate su mensole, scaffali, dentro angusti sgabuzzini. A noi non importa. A noi interessa contenere. Scarpe, la maggior parte di noi… Io te… Io ho Mario. Che a volte si muove, a volte no.

MARIO - Non c’è molto da fare qui dentro. Da fuori arrivano rumori indistinti di un mondo che fa un po’ paura. E non è che mi piaccia l’idea di vedere cosa sia, oggi, quel fuori.

SCATOLA - Comunque è certo che io sono fuori e tu sei dentro. Per ora mi basta. Anche se non sempre sono sicura di essere un contenitore sufficiente a preservare la tua calma, la tua incolumità. Una scatola è più fragile di quello che sembra. E non sapere dove sono, a volte, mi fa pensare che questo fuori non sia di certo migliore del dentro che posso offrirti.

MARIO - A volte penso: ora esco e vedo cos’era questo botto improvviso, questi passi ritmati, questi urli, questi urti, persino! E sto quasi per dare un calcio al coperchio e uscire! Che vivere nascosti è da codardi, penso! Che là fuori c’è un mondo da silenziare, da cambiare! Che io potrei… Cosa, da solo? E se non fossi solo? Quante altre scatole di scarpe ci sono?

SCATOLA - Vorrei poterti impedire di uscire. Tenerti solo per me, tu che sei arrivato per caso, ignorando che anche le scatole hanno dei sentimenti. E il mio è che questo mondo non è buono per te. Vorrei serrare il coperchio per essere certa di farti uscire in un mondo chiaro, silenzioso, lineare. Sicuro.

MARIO - Fatto sta che a star chiusi in una scatola di scarpe, con le membra che si confondono e gli occhi che vedono solo cartone, cartone, cartono… A star chiusi si impazzisce e non puoi fare niente…

SCATOLA - Vorrei fare qualcosa per cambiare lo stato delle cose… Ma che può fare una scatola di scarpe?

MARIO - Allora non giudicatemi male se rimango nascosto. Non mi sento sicuro. Uscirò, lo prometto. Quando sarà il momento.

SCATOLA - Prima o poi verrai fuori. Chissà se mi riconoscerai… Se sarai mai davvero grato alla tua scatola che ti ha protetto ma non ha potuto fare nulla per migliorare tutto ciò che non fosse il mio “dentro”.

MARIO - Uscirò. E mi mancherà la scatola. E una volta fuori non sarò più in grado di rimpicciolire fino a rientrarvi.

SCATOLA - E quando sarai fuori ricorda soltanto di tutto questo chiasso. E fai di tutto perché non ce ne sia in futuro. La tua scatola ha lavorato per mantenerti salvo… Tu prometti di lavorare per conservare la salvezza di tutti… A presto.

Buio.

ACCECATO – UN DUE TRE STELLA!

Chi va per primo?

Io, come si era detto!

Giusto...

Perfetto, cerchiamo di non fare stupidaggini

Ci siamo tutti?

Cerchiamo di stare vicini...

Abbiamo tutto?

Tutto, certo!

Ho sentito dire che li controllano molto di più...

Che cosa?

I cavi del telefono!

E mica li potranno controllare metro per metro, no?

Facciamo una lavoro pulito e ci metteranno giorni a trovare dove abbiamo tagliato... Facciamo piano!

Sì, ma alla svelta!

Abbiamo tutto?

Ti ho detto di sì!

ACCECATO – UN DUE TRE STELLA!

Siamo sicuri che sia il momento giusto?

Quale altro sennò? Vuoi aspettare domani?

Domani non esiste!

Dico solo che non siamo sicuri che facciano sempre lo stesso giro! Sempre lo stesso, da settimane, ma che ti prende?

Ma niente, niente, t non hai mai pensieri?

Sì ma me li tengo!

Ci siamo quasi, smettetela di bisticciare!

Concentrati, compagni, Concentrati!

I pali sono quelli, la strada è deserta.

Sì ma è enorme, poterebbero arrivare da tutte le parti! ACCECATO

UN DUE TRE STELLA!

Procediamo lenti.

Seguiamo il piano.

Non succederà niente!

Prendi le tenaglie.

Il filo di ferro.

Getta qualche chiodo.

Per sicurezza.

È il momento.

Procedi.

ACCECATO – UN DUE TRE STELLA!

Sento dei rumori stanno arrivando!

Non è possibile!

Non era previsto!

Sbrigati!

Ci sono!

Taglia!

Ci sono!

Li sento arrivare!

Ci sono!

ACCECATO – UN DUE TRE

Arrivano al proscenio e gridano, accavallandosi, guardando nel vuoto, immobilizzati nella posizione di “Stella”.

Attenti sono dappertutto!

Ci stanno addosso, scappiamo!

Ritirata! Ritirata! Ritirata!

Sparano, compagni, da tutte le parti!

Di là, verso il fosso, ce la possiamo fare!

Verso il fosso! È l'unica via! Corriamo!

Corri! perché rallenti?

Sanguino! Sanguino! Andate!

Sono pure lì!

Anche dal fosso, attenti!

ACCECATO – (Porta il dito alla bocca col segno del “silenzio”) Stella.

Buio.

Alla luce stesso appartamento dell'inizio.

LALLO – (entrando) E qui c'è il cuore di tutto, questa è la nostra casa... E sarà anche la tua... ANDREA – E lui chi è?

LALLO – Ah, abbiamo anche l'eroe dei due mondi... Lui è Armando... ANDREA – (avvicinandosi ad Armando) E Armando che fa?

LALLO – Ci dà una mano...

ANDREA – E da quando?

LALLO – Da oggi... Ma che ti prende?

ANDREA – Chi sei?

ARMANDO – Armando... Piacere...

ANDREA – Dove l'hai raccolto?

ARMANDO – Da Bonelli...

ANDREA – Non ho chiesto a te!

LALLO – Ma lo lasci stare? (ad Armando) Non ci fare caso... È geloso perché da Bonelli vorrebbe andarci solo lui...

ARMANDO – Ah... Ma io ci vado poco, eh!

FRANCA – Vieni qui che ti do qualcosa da bere... Che vorresti?

ARMANDO – Beh... Una cedrata volentieri...

FRANCA – Abbiamo solo acqua...

ARMANDO – Ah, beh... Allora acqua...

Escono

LALLO – Si può sapere che c'hai?

ANDREA – E tu si può sapere perché vai raccogliendo la gente nei bar?

LALLO – Guarda che pure a te t'abbiamo raccolto così, sa'?

ANDREA – Non sappiamo chi sia!

LALLO – Non lo sappiamo, no. Ma io non so nemmeno chi sei tu... Tu nemmeno sai chi sono.... ANDREA – Non c'entra...

LALLO – Tu chi sei?

ANDREA – Non ricominciare...

LALLO – Perché te ne vai sempre di bar in bar?

ANDREA – Per fare contatto...

LALLO – Con chi?

ANDREA – Con la gente...

LALLO – Con chi?

ANDREA – Con chi dobbiamo proteggere!

LALLO – Chi sei?

ANDREA – Lo sai benissimo chi sono!

LALLO – Chi sei!

ANDREA – Lo sai benissimo chi sono!

ENRICA – (Entrando) Beh? Che succede?

ANDREA – Chiedilo al poeta, qui... Ha portato un tizio che non mi convince... ENRICA – E chi è?

LALLO – Un tipo a posto, non dargli retta... Magari ha solo paura che gli tolga il ruolo... ANDREA – Quale ruolo?

LALLO – Quello di fare “contatto”...

ANDREA – Sei ancora convinto che sia una spia? Perquisicimi! Cerca! Cerca una traccia, un indizio!

LALLO – Mi basta la tua faccia!

ANDREA – Questa faccia lavora per voi! Perquisicimi!

Lallo lo va a percuisire, ne segue una breve colluttazione

ENRICA – Finitela! Finitela ho detto! Vogliamo fare così, eh? Vogliamo sospettarci, accusarci, perquisirci? Ci vogliamo giustiziare tra di noi, visto che non riescono a farlo loro? È questa libertà che stiamo costruendo? A me non interessa cosa ci sia davvero tra di voi, che gelosia, che dispetti... Io conosco bene tutti e due! Io sono la garanzia! Se non ci fidiamo va tutto all'aria, è chiaro? Lasciate i vostri giochi da maschi per quando tutto sarà finito. Ora Andrea viene con me. Dobbiamo prendere i volantini e organizzare tutto...

ANDREA – Tutto che?

ENRICA – Tutto! Non fare domande! Hai parlato abbastanza! E cerchiamo di lavorare insieme davvero.

Esce. La segue lentamente Andrea. Si ferma sulla soglia.

ANDREA – Non sono una spia. Non sono nemmeno un eroe. Forse non voglio nemmeno esserlo. Faccio poco, magari... Questo è vero... Ma sono una parte... Una parte di un tutto a cui tengo più della mia vita stessa. Stai attento Lallo... Nemmeno tu mi sei simpatico... Ma qui hanno tutti un gran bisogno di te...

Esce. Rientrano Franca e Armando.

FRANCA – Era buona?

ARMANDO – Speciale...

FRANCA – (A Lallo) Che è quella faccia.

LALLO – Pensieri...

FRANCA – Vabbè... Vi lascio... Vado a fare la spesa... Perché vedi, Armando, noi signorine andiamo a fare la spesa... Come se niente fosse cambiato... I signori al lavoro, le signore a casa... Che siccome non stanno per strada a sparare coi giocattoli in mano dicono pure che fanno le spie! Hai mai notato che spia è una parola al femminile?

LALLA – Ma non è vero...

FRANCA – Lo so, lo so... È guerra pure quella per il mangiare... Ma a volte mi piacerebbe avere un giocattolo anch'io e far sbiancare qualche soldatino arrogante che mi perquisice solo per il gusto di farlo... (fa il gesto della pistola su Armando che si spaventa molto) Bum!

LALLO – Fidati, non ti piacerebbe per niente...

FRANCA – Come ti pare... Vado a vedere che riesco a rimediare... Piacere, Armando, quando hai sete sai dove siamo!

Esce.

ARMANDO – Gli altri dove stanno?

LALLO – Gli altri?

ARMANDO – Sì... Insomma... Quelli che non ci sono...

LALLO – Chi a fare volantini, chi a capire che succede...

ARMANDO – Ma poi tornano?

LALLO – In che senso?

ARMANDO – Dico, qui... Poi tornano qui?

LALLO – Perché vuoi saperlo?

ARMANDO – Per... Per vederli in faccia...

LALLO – Per riconoscerli?

ARMANDO – Più per “conoscerli”, direi... Che succede?

LALLO – Chi sei?

ARMANDO – Armando... Ci... Ci siamo conosciuti poco fa... Mi... Mi hai portato a casa tua... Ho bevuto l'acqua...

LALLO – Scusa... Scusa... È un momento difficile... Ci sentiamo accerchiati... ARMANDO – Da chi?

LALLO – Da tutti... A volte persino da noi stessi... Prima sembrava tutto così luminoso... Adesso fa paura... Ci si sente soli...

ARMANDO – Ma non sei solo, giusto? Ci sono gli altri...

LALLO – Sì... Ci sono...

ARMANDO – E dove? Se devo darvi una mano devo pure sapere dove trovarvi...

LALLO – Qui. Siamo tutti qui, sempre. Anche quando non ci siamo. Tra Sempione e Val Melaina, rintanati come topi. A volte usciamo, di gran corsa, non sappiamo nemmeno noi per dove... Ma siamo tutti qui. Un formicaio sempre attivo. Lavoriamo anche nel sonno perché la sognamo questa libertà... La nostra come quella di tutti... Siamo tutti qui, Armando, nessuno ci vede ma ci siamo.

ARMANDO – Che posso fare? Io non sono un eroe ma voglio quello che volete voi. LALLO – Tu passa, ogni tanto... E quello che c'è da fare...

Entra Enrica.

ENRICA – Hanno tagliato i fili telefonici su Via della Bufalotta!

LALLO – (entusiasta) Di nuovo?

ENRICA – Sì! I tedeschi stanno dando di matto!

LALLO – Andiamo! (ad Armando) Fatti vivo!

ARMANDO – Lo spero bene! (rimasto solo si guarda intorno. Poi al pubblico) C'era una volta un mondo. Un mondo chiuso fatto di solo due stanze, piccole ma capaci di contenerci tutti. Solo che le stanze erano buie, tutte e due. Una prché qualcuno aveva spento la luce, l'altra perché perché era nuova ela corrente non ci arrivava. Era una stanza in divenire, dove la luce te la dovevi immaginare. Le stanze contenevano, più che corpi, voci e rumori. Tutte le voci. E tutti i rumori. “E chi sono io” - ti chiedevi lì dentro - “per poter decidere quale sia la stanza più sicura?”. Dovevi orientarti alla cieca. Le stanze così vicine, quella spenda e quella ancora da accendere, i rumori così forti e continui che perdevi l'orientamento. “In che stanza sono?”, ti chiedevi, “Dov'è la stanza che sarà?”. E ti chiedevi: “Dove devo stare per vivere?”. Perché mancava anche l'aria. E ti veniva voglia di respirare, fame di respirare! E con la fame, al buio... non ragioni più. Bastava un passo e ti trovavi nella stanza giusta. Con tutti i rischi del caso. Ma quel passo era tutto, lì nel mondo a due stanze. E nel buio, nel chiasso, ti capitava di fare l'altra di scelta: restare dov'eri e togliere l'aria dalle bocche degli altri. Allora soffiavi e spegnevi le voci. Il silenzio, da allora, è la cosa che mi punisce. Ogni giorno.

Prende le carte dal tavolo ed esce.

Buio.

DIALOGO DOPPIO

DUE: qualche pagnotta

UNO: (scrive) qualche pagnotta

DUE: il formaggio

UNO: (scrive) il formaggio

DUE: E poi... Ah, ecco!

TRE: (mangiando una fetta di pane) Il burro. Non lo vedo da così tanto che ne avevo quasi scordato il nome. È una settimana che ne cerco un pezzo. In questo periodo è diventato introvabile. Quasi tutto è in trovabile ultimamente. Il cibo è talmente poco che ho quasi paura di mangiare a volte, o anche solo di pensare a mangiare, come se la sola idea potesse consumare quel poco che mi rimane.

QUATTRO: stamattina dovevo mettere in tavola la colazione. E più mi sforzavo di pensare a qualcosa che non avessi mangiato la sera prima, o il giorno prima, o quello prima ancora, più notavo solo le stesse TRE cose; il pane…

DUE: Il formaggio e il burro, e anche delle castagne. Me le ha portate mio nonno, dalla montagna. Ha detto che ne hanno molte lì, e che le mangiano tutti i giorni. Ci fanno la farina per fare i ciacci, quando non hanno il pane.

UNO: non hai potuto prendere nient’ altro? Non basterà mai.

DUE: Quello che sono riuscito a rimediare da Stocchi a Val Melaina... stamattina il forno era quasi del tutto svuotato, solo di pane gliene era avanzato in abbondanza, certo forse un po’ secco, ma meglio di nulla.

UNO: Dobbiamo sparire per un po', io e i miei fratelli, dopo quello che è successo ieri sera faranno sicuramente una retata, e mi verranno sicuramente a cercare. A casa sono rimasto il solo che riesce a portare da mangiare, papà lo hanno richiamato e la mamma si affanna a rimediare qualcosa cucendo i vestiti dei vicini e io...

QUATTRO: ...non capisco che gli viene in mente! Leggi qui: ieri sera hanno di nuovo tagliato le linee telefoniche tedesche.

TRE: Se quei ragazzi la smettessero con certe bravate magari riuscirei a dormire tranquilla la notte. Per il loro coraggioso desiderio di salvare il mondo noi…

DUE: ...Rischiamo di morire ammazzati ogni giorno, che senso ha andarsene? UNO: Ma solo per qualche giorno! E poi lo faccio per i miei fratelli... Sono ancora dei bambini, 40

santoddìo, non è giusto che stiano qui a rischiare di essere sopraffatti dalla...

TRE: ..Noia mortale dei soliti discorsi che si leggono ogni giorno su questi giornali... Più insipidi di questo burro spalmato su un pane stantìo...

QUATTRO: Perché, che dice il giornale?

TRE: le solite cose

QUATTRO: Cioè?

TRE: Guerra, Politica, Vittoria...

QUATTRO: Già... Mi sembra che non si sia mai parlato d'altro

TRE: Fino a qualche anno fa si parlava anche di teatro o di musica, qualche volta di cinema, persino qualche articolo divertente ogni tanto...

QUATTRO: magari tornassero ad essere questi gli argomenti di cui discutere. Vorrei solo che fossero questi…

DUE: i problemi vanno risolti da qui! Lo sai cosa ci blocca: la paura di morire! Ma può essere qui come lungo la strada, a un posto di blocco o per la soffiata di qualcUNO...

UNO: questo è un problema mio, non tuo

DUE: e invece è anche mio, come di tutti gli altri. Tutti abbiamo paura di morire o di rimanere soli...

UNO: e non sei stanco?

QUATTRO: Distrutto, direi! Perché tu no?

DUE: Io no! O almeno non ci penso! Penso alla libertà!

TRE: La libertà di comprare qualcosa che mi piaccia...

DUE: La libertà di dire quello che penso, a chiunque...

QUATTRO: La libertà di fare la spesa quando voglio, senza fare la fila...

UNO: La libertà di camminare a viso scoperto, sulla strada, come tutti...

TRE: La libertà di andare al mare...

DUE: La libertà di uscire senza pensare a chi lascio solo in casa...

QUATTRO: La libertà di vestirmi bene per una bella serata...

UNO: (in coro con TRE) La mia libertà.

TRE: (in coro con UNO) La mia libertà

DUE: La libertà di ognUNO. E ogni libertà. Anche la più frivola. Per sempre. Buio.

Ragazza sola sul palco.

CARLOTTA – Allora succede che mi addormento e sogno di realizzare i miei sogni... Ma tutti, eh! Pure quelli che non ho mai fatto. Ma proprio come se si realizzassero così, mentre cammino, mentre prendo il caffè. Si realizza tutto. Mi prendo il diploma e vado al'università. Conosco questo tizio – ecco un sogno che non ho mai avuto, conoscere un tizio, non mi ha mai attirato la cosa, con tutti i pensieri che abbiamo – conosco questo tizio e ci sorridiamo. Così (sorride) e restiamo così fino alla laurea. In medicina . Quella sì che la sogno da sempre. E divento medico. E lui pure, medico... Lui, quello che siamo stati così (sorride) per tutto il corso di laurea. E siamo medici bravi. E poi – altro sogno che davvero non ho mai avuto – una marea di bambini! Oddio, due, che però bastano e avanzano. Perché urlano! Ma così forte che iniziamo a parlare ad altissima voce, io e il tizio che sta ancora così (sorride). Urlano fortissimo! E urlano cose strane!

LALLO – Una retata! Sta arrivando una retata!

CARLOTTA – Ma noi niente ancora così (sorride), nonostante gli urli, come se avessimo i tappi alle orecchie...

VOCI

Com'è possibile?

Qualcuno ha soffiato!

C'era un lupo tra noi, per forza!

LALLO – Di corsa! Di corsa! Avvertite più persone possibile!

Quelli prendono e portano via!

In gabbia o nei campi!

Veloci! Veloci!

CARLOTTA – Poi questi, sempre urlando, crescono. E, in effetti, mica lo so perché urlano ma i sogni sono così, prendere o lasciare. Crescono e urlano. E noi sempre così (sorride). Urlano a scuola, urlano all'università e figurati come urlano quando discutono la tesi!

LALLO – Retata! Retata! Via tutti!

Ormai non c'è più nemmeno un giorno di pace!

La pagheranno prima o poi!

Correre! Correre!

Sono già sulla nomentana! Sento i motori!

CARLOTTA – Urlano e si laureano e noi così (sorride). E in un attimo sono di nuovo bambini... No, no, aspetta! Sono i nipoti! E noi sempre così (sorride), coi capelli bianchi ma così (sorride)...

LALLO – Correre!

CARLOTTA – Con le ossa dolenti, senza più denti ma così (sorride), io al suo capezzale sempre così (sorride)

LALLO – Li vedo! Correte!

MARCO – E tu?

LALLO – Arrivo anch'io!

CARLOTTA – Lui che si spegne ma rimane così (sorride)

MARCO – Sbrigati, sono qui!

LALLO – Un'ultima cosa!

CARLOTTA – E io mi guardo allo specchio e sono sola ma sto così (sorride), non cammino ma sto così (sorride)

ANDREA – Ma quale cosa?

LALLO – UN saluto a Marcellina e arrivo!

CARLOTTA – Poi tutto si ferma. Non urla più nessuno. E io pure posso parlare a un tono normale. Sono libera: di smettere di fingere che tutto vada bene, di smettere di sorridere, di semettere di dormire. Mi sveglio.

LALLO – Cara Marcella quando leggerai questo che sarà l’ultimo mio contatto con te, io sarò nel mondo dove almeno troverò un po’ di pace, se il buon Dio che tutto può lo permette. Dunque Marcellina mia, quando la leggerai non voglio assolutamente che il tuo caro visino venga rigato dalle lacrime solo ti prego di aggiungere alle tue preghiere serali una piccola preghierina per l’anima mia; te lo chiedo perché so che questo non ti costerà nessun sacrificio. Ora vengo a giustificare questo mio scritto: sappi Marcella che ti volevo bene, ma molto bene e da molto tempo... solo ho saputo far tacere il mio cuore perché non ero degno, secondo la mia idea, fino a che non avessi avuto aperta la via di un avvenire sicuro per poter raggiungere il mio ideale... Perciò cara, ora che è impossibile che possa realizzare il mio sogno, ho voluto confidarti il mio segreto.

E mentre sono a un passo dal grande salto, sento quel brivido che affossa lo stomaco prima di un atto che sappiamo essere pericoloso e salvifico al tempo stesso. Salvifico perché so di lasciare per sempre tutti quei mali che ingabbiano le anime di tutti gli uomini e di tutte le donne: la fame, la povertà, i soprusi, la prigionia, gli indugi della legge, le pene dell'amore non corrisposto e lo scherno che il merito paziente riceve dagli indegni. Pericoloso, anche... come sempre è pericoloso

lasciare qualcosa di caro: te, la mia vita, il sole che taglia a metà la campagna attorno a Montesacro; il profumo della primavera che fa fiorire Viale Adriatico e spande la sua dolcezza più giù, oltre la nomentana, fino alla fonte dell'Acqua Sacra e più in là. È il profumo di una forza nuova, che ogni anno promette novità che non sempre siamo in grado di seguire. Un profumo che scorre sotto l'antico Ponte Nomentano, sale su dove Menenio Agrippa sì dice fece quel bellissmo discorso. Pericoloso com'è abbandonare queste strade piene di luce, in cui il tempo ha giurato di conservare per sé la maggior parte. E di fermarsi. In queste strade è doveroso fermarsi, ecco.

Godi di tutto questo, Marcellina mia. E della libertà che sta per arrivare. Per far sì che quel vecchio romano non abbia parlato invano. Che regni la concordia. Che non si accetti mai più che gli uomini vengano costretti, da una voce sola, a mettersi gli uni contro gli altri.

Perdo tutto, Marcellina mia, il bene e il male, la luce e il buio. Ma perdo per una buona ragione. Il passo è fatto. Ti bacio. E salto. Buio.

Lento buio.

FINE