Francesco Vito Abbruzzese - Veronica Fantini - Davide Sarti

Una perla

Queste pagine sono ciò che di più prezioso io abbia. Quando le ho scritte ero una bambina e per anni non ho avuto il coraggio di toccare il mio diario in quel cassetto, anche perché il peso della colpa e della mia incapacità di comprendere mi avevano oppressa. Ho pianto molto, ma voglio trovare la forza di condividere almeno quel poco che possa ricostruire la mia storia. Non sono Shakespeare, cerco solo un modo per espiare la mia complicità in questo delitto e nel non reagire all’accusa che tutt’ora mi viene rivolta di essermi salvata. Vi prego, ascoltatemi …


23 gennaio 1943


Oggi è il mio compleanno e la zia Giuditta mi ha regalato questo quaderno, anche se ancora non so scrivere tanto bene. Oggi faccio 4 anni, una mano senza 1 dito. Mi chiamo Perla. Come la nonna. I miei zii me lo raccontano sempre che sono nata lo stesso giorno della figlia del re e a tutte le bambine gli regalavano il corredo, ma zia Giuditta il mio non lo ha voluto prendere. Però io sono nata lo stesso giorno di una principessa e ho un nome prezioso come una perla. Zia Giuditta è la mia preferita e vive qui a casa con me a via Arenula 16, vicino al ghetto. Ci sono sei stanze, tutte molto grandi e colorate. Ci abitano con me pure la mamma Trieste, papà Cesare, nonna Perla, la zia Giuditta, la zia Ada e zio Ettore. Siamo proprio in tanti! A volte ci incontriamo per i corridoi, altre qualcuno viene a giocare con me nella mia stanza. Siamo tutti gentili tra di noi. La cena stiamo sempre tutti insieme e cucina mamma, che sa fare una carbonara buona da morire. La zia Ada oggi pomeriggio mi ha portato a prendere un gelato al Panteon Pantheon che era fatto con tutte palline regolari. Ma la mia zia preferita è zia Giuditta. Lei fa nascere i bambini. Prima aveva una stanza fatta apposta dove vivevamo, a via Maiella e ci stava pure la scritta fuori dal cancello che dice che lei è un'ostretrica ostetrica. Poi ci siamo trasferiti quando avevo un anno e lei se n’è andata via tanto dispiaciuta e continuava a dire che non era giusto che non poteva più lavorare là solo perché a via Maiella erano cartolici cattolici. La zia sta con un professore che le insegnava le cose, mi dicono di chiamarlo dottor Consoli. E pure lui fa nascere i bambini. Lui gli ha detto alla zia prima che nascevo io di andare in quel quartiere Montesacro, che mica ci stavano tanti lì che facevano nascere i bambini. Ha ragione, qualcuno li deve fare nascere! Io lo so perché la zia vuole stare con quello lì: perché insieme fanno nascere tanti bimbi! Ora vado a giocare, devo spegnere le candeline e mangiare la torta, ciao!


23 ottobre 1943


La mamma piange tanto e papà non sta più a casa. Nessuno mi dice niente. La zia Giuditta, la nonna, zia Ada e zio Ettore non ci sono più. Un po’ di giorni fa, il 16, mi hanno svegliato all’alba. Sentiamo grandi rumori nella strada; ci affacciamo; uno, che vendeva abbacchi, ci urla: «Scappate stanno arrivando i tedeschi, stanno facendo il castellamento rastrellamento!». Zia Giuditta aveva ancora quella cosa strana ictus che non la faceva muovere tanto e la nonna era subito spaventata. Mamma ha aperto la porta perché dovevamo scappare e si è ritrovata davanti un omone alto alto, con un’uni forme scura e con una fascia rossa sul braccio sinistro e ce ne stavano altri e sono entrati in casa mia e hanno preso la zia di forza con tutta la sedia, c’erano la nonna, zia Ada e Zio Ettore. Io tenevo la mano a mamma e papà stava dietro. Poi io non capivo, c’erano tante nuvole e ci hanno portato in un camion. La nonna non si era preoccupata. Siamo scesi e ho letto via della Lungara. Siamo entrati in un palazzo con le stanze grandi grandi. Ci stava tanta gente e tutti parlava no. Erano tutti signori e signore. Alcuni piangevano, altri si dicevano cose all’orecchio. Io li guardavo da sotto e stavano tutti ammassati in quelle camere enormi. Alcuni avevano delle valige, chissà per dove partivano! Ci hanno separati, ma io stavo con mamma e papà. Una signora mi ha sorriso e mi ha dato un biscotto, ma io non capivo tanto. Sentivo la mamma e il papà che parlavano e aspettavano la mia nonna materna che doveva arrivare con quella cosa importante per dimostrare che mamma era gentile. Ma per me già si vede va che era gentile. C’era tanta gente e avevano tutti la stella gialla e arrivavano sempre più persone. Papà diceva alla mamma: «Ma dove andranno a finire ora i miei fratelli? Io ho paura», mentre io stavo seduta a mangiare il biscotto con la marmellata. Poi è arrivata la nonna, ma non nonna Perla, l’altra mia nonna, che teneva in mano un foglio. È entrata urlando: «Fermatevi, fermi tutti, quello è un matrimonio misto». Era andata fino a un tedesco e quasi piangeva e ci indicava. Non aveva più fiato, aveva sicuramente corso velocissimissima. Lei parlava e faceva gesti, poi quello gli ha dato un calcio sullo stinco alla povera nonna. Si è appoggiata, perché quello gli aveva fatto tanto male, alla scrivania davanti, dove c’era un altro tedesco, ma però continuava a strillare: «Fermatevi: è un matrimonio misto!». Nonna era tanto agitata e aveva continuato a gridare finché non ci han no lasciato. Quando stavamo andando mamma ha visto i miei cugini Adolfo e Dario con zia Teresa e zio Leo. I tedeschi erano distratti e allora mamma voleva prendere Adolfo e tirarlo con noi, gli vogliamo tutti tanto bene ad Adolfo. La mamma si è lanciata verso di lui che gli stava vicino e ha provato ad afferrarlo per un braccio. Ma anche Adolfo era distratto e mentre stava per prendere il braccio, un tedesco si è girato, facendo prendere un colpo alla mamma. È venuto verso di noi ed ha iniziato a parlare, ma io non ci capivo nulla. Stava per prendere la mamma, ma nonna ci ha preso e portati fuori. Eravamo tutti tanto tristi perché gli vogliamo tutti bene ad Adolfo. Di fuori io e mamma siamo andate a casa di zia Fausta, la sorella di mamma. Però io cerco di sentire i discorsi che fanno i grandi e hanno tutti paura che arrivano i tedeschi, dicono che è solo grazie al papà Papa hanno salvato i matrimoni misti, grazie ad alcuni Patti fatti anni prima che io ero nata.


29 marzo 1944


Mio papà prima della guerra faceva il pittore e dopo non lavorava perché c’era la guerra. Era la zia Giuditta che aiuta va tutti, pure zio Leo, che diceva sempre a papà che lei gli metteva i soldi in tasca. Ma comunque la mamma gli diceva spesso a papà che non ci avevamo tanti soldi. Ora sono venuti a casa nostra un ragazzo e una ragazza e lui si chiama Aurelio. È italiano e l’ho sentito che la mamma gli chiedeva come mai nell’armadio c’era un paracadute e lui gli aveva detto subito che era un soldato dell’aviazione e che in realtà lui e la giovane non erano fratelli, ma fidanza ti. Alla mamma gli fanno un po’ pena perché ci ha i fratelli deportati in Africa e in Germania e siccome gli danno tutti i soldi per l’affitto, la sera a cena li fa mangiare con noi, non vuole che stiano male o che muoiano. Non vogliamo che nessuno muoia. Papà continua a scappare e a me non dico no niente.



3 aprile 1944


Oggi la mamma raccontava che hanno mandato Stella di porto in America gli americani, perché gli ebrei la volevano ammazzare che li vendeva ai tedeschi, che se ne andava con la carrozzina, un ufficiale delle SS, dietro i soldati delle SS e indicava gli ebrei. Si canticchiava nel ghetto:

Stella di porto

Stella di mare

Sei la pantera nera

sei la spia

di piazza Giudia.

Nessuno voleva che li acchiappassero. Era come quando io e Adolfo giocavamo a nascondino.


2 novembre 1944


È nato mio fratello. Si chiama Dario come il nonno. Li ho sentiti mamma e papà che parlavano e che dicevano: «Appena finisce la guerra, quando siamo liberi e felici, faccia mo un altro figlio» … e poi un figlio lo hanno fatto davvero, anche se mamma aveva tanto sofferto per il primo parto. Peccato che non ci stava zia Giuditta a farlo nascere. La zia mi manca e anche la nonna e pure Adolfo. Ora mio fratello si chiama come due dei miei cugini e come il nonno. L’altro mio cugino è il figlio di zio Arnaldo. L’ho sentito papà che spiegava a mamma che i miei cugini si erano salvati rifugiandosi dentro una chiesa. Arnaldo aveva anche una fi glia, che aveva il nome dell’altra sua nonna. Tutti avevamo il nome dei nonni. Papà spiegava pure a mamma che lei lo sapeva bene che nonno Dario non voleva che loro si sposasse ro perché lei era cristiana, che queste questioni di religioni e razze erano complicate. Io sento tutti questi discorsi, ma alla fine non ci capisco niente.



12 giugno 1944


Oggi ho chiesto alla mamma perché Dario e Adolfo non vengono più a casa nostra. Prima ci venivano spesso e potevo giocare con Adolfo, che ha 3 anni più di me. Dario non ci stava tanto con noi e preferiva giocare con i ragazzi più grandi come lui. Cantava sempre una certa canzoncina: Per le vittime tutte invendicate, là nel fragor dell’epico rimbombo, compenseremo sulle barricate piombo con piombo.

I miei cugini giocavano sempre con spade di legno e machere sotto al palazzo e pure papà tante volte li chiamava su per giocare, che anche lui si metteva la maschera. A me mi manca Adolfo, che mi chiama sempre Perletta e a volte gli diceva a mamma: «Dai, zia, fammi andare da Perletta a giocare. Se sta dormendo, la vado a vedere. Mi metto vicino al letto e sto zitto zitto, non la sveglio». Poi io mi svegliavo sempre per giocare con lui. Lui veniva anche in chiesa a piazza Sempione e i ragazzi gli chiedevano: «Dicci l’Ave Maria», e lui gli rispondeva: «Ave Maria Shemà Isreal», una preghiera delle nostre e una della sua. Poi mamma diceva che i tedeschi sono cattivi e lui rispondeva: «Zia, sai che i te deschi non so cattivi, c’è uno che mi chiama Alfonso e me dà le caramelle». Tutti pensano che i tedeschi sono cattivi, ma Adolfo mi ha spiegato che loro invece credono che gli ebrei come lui e come papà sono cattivi e gli mettono una stella gialla perché vogliono sapere chi sono.

Mamma ha sospirato e mi ha lasciata lì senza risposta. Ogni tanto quando viene la sua mamma Italia, esco dalla mia cameretta e mi nascondo dietro un muro per ascoltare cosa dicono, però io la sento che gli dice che ha paura, che lei voleva farsi ebrea, ma il rabbino l’ha sconsigliata perché loro sono sempre stati un popolo perseguitato. Per fortuna che aveva convinto mio padre a farmi cattolica, diceva, perché si sentiva che ammazzavano i ragazzini, che le mie zie mi avevano portata di nascosto al Tempio, ma che senza la madre non ci stava nulla da fare. Quindi io sono cristiana, l’ho capito oggi da mamma, ma chissà se possono ammazzarmi pure se sono cristiana. Perché ammazzano i bambini poi? Hanno tutti paura.


10 ottobre 1945


Mamma e papà litigano sempre, perché papà ha paura che possono tornare i tedeschi e dentro casa ci sta l’olio che lo mettiamo sotto le finestre e la farina che mamma ci fa il pane. A volte sono andata con mamma a prendere il latte coi bollini, ma mamma e papà lo dicono sempre che con la tessera annotarianaria non ci facciamo molto. E zia Giuditta dove sta che gli dava sempre i soldi a papà? Dario lo ha fatto nascere il dottor Consoli, ma zia Giuditta non ci viene più da noi. Le ho fatto qualche cattiveria? O si è arrabbiata con noi come le altre persone del ghetto che pensano che siamo cattivi perché siamo cristiani? La zia, la nonna e Adolfo non mi vogliono più bene? Pure la mamma e il papà litigano sempre, che la mamma gli dice a papà che lo battezza con l’acqua appena muore. Dice che poi lei da suo papà è stata battezzata come i suoi fratelli con il vino e la bandiera rossa. Lui era re pubblicano; i figli li aveva chiamati tutti così: Trieste, mamma mia, Oberdan, Anita, Balilla, Cesare. Anche i nonni, ho sentito mamma che lo raccontava, litigavano che il nonno aveva l’immagine di Mazzini ai piedi del letto e la nonna una mattina ci ha messo quella della Madonna e lui l’ha staccata e gliel’ha tirata addosso, che sul letto ci doveva stare Mazzini. Io non capisco tanto da queste conversazioni e mi dicono che quando sarò grande capirò, ma quand’è che si diventa grandi? Comunque ho capito che gli americani sono i buoni. Quando sono arrivati, noi stavamo affacciati sul balcone ed erano tutti felici. Mamma appena Aurelio se ne è andato è andata verso l’armadio, ha visto che ci stava ancora il para cadute, lo ha preso e ci ha fatto una camicetta di seta. Mamma sembra più tranquilla, ma papà ha ancora paura.


20 ottobre 1946


Oggi sono andata a scuola per la prima volta e faccio già la seconda perché so scrivere e leggere, me l’ha insegnato mamma quando avevo 3 anni. Mamma mi ha detto che mi devo vestire bene e pulirmi. Così, tutte le mattine mi ha spiegato che devo svegliarmi presto, per farmi i fiocchi ai capelli o i boccoli. E io sono contenta perché magari vado a scuola e sono bella e magari mi spiegano le cose che non capisco.


1950


Non c’è modo di spiegare quello che provo in questo mo mento. Nessuno. Sento solo un immenso vuoto e la martellante domanda che mi opprime i timpani: «Perché loro sì e io no?». Adolfo è stato fatto marcire in una camera a gas. Zia Giuditta forse è morta sul treno merci, era troppo debole a causa dell’ictus e ora capisco anche la terribile battuta fatta dalla zia alla nonna. Ora capisco tutto e vorrei non capire. Rivedo mia zia che esce dalla stanza con un bambino in fasce e penso ai tremendi esperimenti eseguiti sui neonati in quell’orrendo campo di sterminio (le maggiori conoscenze tecniche finalizzate alla distruzione dell’umano). Zio Leo e zio Ettore sono stati mandati in Polonia. Ora ho capito da quale mostro scappava papà. Ma in che mondo vivo? Mi hanno salvata solo perché su un foglio di carta è attestato che sono battezzata? Nemmeno so chi sia Dio. Dio esiste? Perché tutti hanno paura anche solo a pronunciare il suo nome? A chi devo chiedere scusa per non essermi sacrificata io? Cosa avrei potuto fare? Come hanno potuto farlo? Adolfo era solo un bambino, come ero una bambina io. Nel lager io ho perso otto persone. I fratelli non si sono nemmeno salutati tra loro, a via della Lungara: chi poteva sapere che non si sarebbero rivisti mai più? Come abbiamo potuto permettere tutto questo? Questa ferita sarà incancellabile. È proprio vero che in questo periodo la vita è sospesa a un filo e a ciò che ti manda la sorte (la sorte, perché io in un Dio che mi ha salvata, per mandare a morte le persone a cui tenevo, non voglio crederci più).


1° ottobre 2019


È passato tanto tempo dall’ultima volta che ho preso questo diario. Oggi, dopo aver incontrato un gruppo di ragazzi curiosi di conoscere la mia storia, mi è tornato in mente ciò che avevo scritto. Così, sono andata a prenderlo in canti na. Ho alzato tantissima polvere, rovistando tra vecchi libri e borse inutilizzate, ma alla fine l’ho trovato, ne è valsa la pena! L’ho riletto, consapevole del fatto che ci sarei stata male … e io li ho rivisti, davanti ai miei occhi. C’era Adolfo, terrorizzato, un bimbo dagli occhi vispi e pieni di lacrime. Ho sentito la mano della mamma, che si chiudeva intorno alla mia, che mi strattonava e incitava ad andare. La voce di nonna, disperata, che urlava: «Loro possono andare via!».

Quando ero una bambina, mi sentivo in colpa per essere sopravvissuta, ma adesso ho capito quale sia stato il mio errore: aver raccontato troppo poco, non aver trovato le parole giuste per testimoniare la nostra paura … però c’è questo diario. Rivivere il mio dolore centinaia di volte sarà faticoso, ma inevitabile. Non posso sottrarmi al mio compito. Spero, però, che divulgare questo diario, possa evitare altre sofferenze. E che possa essere come una perla nella conchiglia.


Il 12 ottobre 2020, presso l'Aula Magna della Biblioteca Nazionale, i nostri scrittori Francesco, Davide e Veronica conseguono il terzo posto nel concorso nazionale Che Storia! con il racconto Una Perla, che narra la storia della famiglia Funaro a partire dalla testimonianza diretta di Perla Funaro, superstite della famiglia.