Famiglia Riva

"Abbiamo combattuto tanto io e mamma per andare a trovare papà in carcere"

Intervista alla signora Leda Riva, figlia di Raffaele Riva, fucilato a Forte Bravetta


Trascrizione a cura di Emiliano Frosi, Benedetta Fiorillo e Piergiorgio Michetti


Come era essere donne durante la resistenza?


Noi donne l’abbiamo fatta tutta, io avevo 11-12 anni. Siamo stati anche dal principe Filippo io e mia mamma per chiedere di rivedere papà in carcere ma non c’è stato verso. Quando sono venuti a casa il 22 di dicembre portarono papà al carcere di Via Tasso, si presentarono alla porta con un mitra. A mia mamma le hanno puntato il mitra in fronte, era il 22 dicembre e io stavo scrivendo a Gesù bambino per avere una bambola, poi mamma me l’ha fatta a mano, un soldato pensava stessi facendo qualcosa, mi ha preso e mi ha spinto, sono caduta addosso a mamma,ma non ti potevi muovere, fermi, proprio, erano 4 tedeschi e 4-5 fascisti di Montesacro.


Lei capiva quello che stava succedendo?


No, noi non pensavamo mai che sarebbero venuti, credevano avessimo i manifesti di Matteotti, allora aprirono i cassetti, ma mio papà non faceva propaganda, faceva il lavoro suo, andava via il lunedì poi tornava il sabato, pensava al giardino, perché vivevamo in un villino a Piazza Matese. Il colonnello di piazza Matese aveva un reggimento e andò a combattere in Libia e poi è morto lì, mia mamma lavorava come donna delle pulizie in quella casa.


Come avete saputo che fosse in carcere, come ricevevate sue notizie?


La comunicazione non c’era, mamma mia per avere qualcosa da papà è andata al Gianicolo, e dove si spara il cannone a mezzogiorno, di fronte ci sono le carceri di Regina Coeli, papà mio era in una cella lì e allora la gente si muoveva per parlare con le proprie mogli e mia mamma ha parlato con papà un’unica volta. Le disse “ stai tranquilla che sto bene, purtroppo speriamo che gli alleati arrivino presto”,invece quelli si sono fermati ad Anzio.

Questa è la lettera, me ne ha scritta una sola papà dal carcere, ha scritto al fratello, e ha scritto che voleva i fazzoletti, era marchiata dai timbri dei Tedeschi. Era al terzo braccio, cella 346.

E’ stato un padre modello, mi ha insegnato l’educazione, mi ha insegnato a leggere e scrivere perché mamma non sapeva nè leggere nè scrivere, però era una brava cuoca, era una donna di servizio favolosa. Quando papà veniva il sabato voleva vedere tutti i compiti, quelli miei e di mio fratello, “ quello è sbagliato, quello no”, ci raccontava tutto quello che Radio Londra diceva in cantiere e mi diceva, io ero piccola avevo 10 anni, “ vedi se tu sapessi hanno portato via tutti gli Ebrei”; “E chi sono gli Ebrei?” rispondevo io, “ eh dice gente che non possono vedere, li hanno portati via, adesso li uccidono, stiamo attenti perché non si sa mai”. Era un uomo favoloso, mi hai insegnato tutto e io ancora me lo porto dentro, perché così bisogna essere.

Al paese suo, Sant’Agata bolognese, gli hanno intestato una piazza, è stato il prete a farlo scappare, a tenerlo nascosto. Ai tempi c’erano i musicisti, c’era Puccini, la gente andava a teatro, allora il prete disse andate a teatro, erano tre ragazzi, due del paese e mio papà. Il prete disse “ guarda Raffaele c’è una bella cittadina a Roma che si chiama città giardino, vedi se puoi stare tranquillo almeno lì” e poi dice “ io ti faccio trovare posto, perchè una signora cerca una donna di servizio in questo villino”. Lui è andato all’opera e si è messo dietro Puccini, ma qualcuno ha fatto la spia, anche il prete c’era, ascoltavano la Tosca, Puccini non sapeva niente, comincia la musica, poi si vedono due ragazzi vestiti da balilla che cominciano a perseguitare la gente. Il prete disse a Puccini “ piano piano devo far scappare tre ragazzi”. Loro tre se ne sono accorti e, visto che il teatro era basso, sono saltati giù e hanno iniziato a scappare tutti e tre e sono andati alla Grafagnana. Si sono nascosti dentro queste grotte e mamma mia gli portava da mangiare, poi c’è andato il prete, gli ha dato l’indirizzo e un po’ di soldi.

Come era la vita a Città-giardino?


Sono stati accoglienti, mamma ha trovato posto come donna di servizio, hanno fatto casa, poi mio fratello l’ha comprata. Era un fiore Montesacro, tutti i villini, lì nascondevano i fucili sotto i tetti, andavamo al Monte Sacro, un rifugio quando suonavano le sirene, papà mio ci metteva poco a arrivare. Ci rifugiavamo tutti lì, i bambini piangevano e “avoja a dire: silenzio qui ci fucilano tutti”, e buttavano gli “spezzoni” con l’aereo. Si erano accampati i soldati all'aeroporto dell’Urbe.

Noi andavamo a scuola i primi tempi, io non parlavo mai, non riuscivo a capire, poi i primi tempi papà che ti spiegava a 11 anni.

Papà con i suoi amici hanno aggiustato la parrocchia degli Angeli Custodi.

Noi siamo morti di fame, “ a noi se non ci aiutava città giardino”, il fornaio, la verduraia, il macellaio, che però non stava mai zitto. Era bravo, ma papà non si era mai impicciato, mai pensavamo che lui avrebbe fatto spia a papà.

Papà è stato picchiato, poi messo in carcere a Regina Coeli insieme a Posti, che ha compiuto 18 anni in carcere.

Sono entrati hanno detto: “dov’è il signor Riva?”

Mamma ha detto che stava dormendo, sono entrati nella stanza di papà mio “Signor Riva?”-

“Chi è?”- “Sono il comandante” Ma non erano tedeschi, anzi che non c’hanno ammazzato, io mamma e mio fratello eravamo impietriti.

Allora gli dissero “si vesta”, hanno visto che nei cassetti non c’era niente, papà non faceva propaganda, andava a lavorare poi la mattina e la sera passava a firmare dai carabinieri, era schedato.

Era a casa, a mia mamma a Bologna i tedeschi gliene hanno fatte di tutti i colori i fascisti, lui invece si è vestito, si è messo il vestito nuovo, e mia mamma gli chiese “ come il vestito nuovo?” “Si il vestito nuovo così almeno mi guardano”. Parlavano in bolognese, i soldati non capivano niente ma noi si però. E’ passato davanti a noi, io e mamma attaccate l’una con l’altra, lui disse “ Beh che so’ ste facce! Io domani sono qua” Ancora deve veni’.

L’hanno portato a via Tasso e lui intanto sentiva le grida del macellaio, non si può dire quello che hanno fatto a quell’uomo, tagliare la lingua, cavare gli occhi, voi adesso rimanete stupiti ma però era così, le unghie.

E papà dallo spioncino vedeva, c’era da piangere, ma papà a via Tasso l’hanno menato ma non grave perchè lui ha detto “Io non so niente”

Ancora me lo sento che passava con la squadra dentro a casa “Nini” mi chiamava così perchè ero piccolina “sta’ tranquilla, domani torno e ti porto una liquirizia” Non l’ho visto più, è così.. 46 anni ma quello che ha detto in punto di morte; il monsignor Snoia ci chiamò a me e a mia mamma, in una lettera dice a mamma“Signora Maria lei deve venire in Trastevere, al settimo piano”, disse che l’avevano fucilato a Forte Bravetta, ancora ci stanno i buchi. Quel prete quando erano tutti in fila prima di sparare, papà dice “Eccoci qua, siamo qua padre” “Senti cosa devo dire a Maria?” “Niente, solamente che i miei figli siano ubbidienti alla mamma e che presto ci sarà la liberazione, speriamo che venga, viva l’Italia!”

Poi lo volevano bendare, tutti li avevano bendati, e tutti i tedeschi erano pronti in fila, lui disse di no e alla richiesta del prete “Raffaele che desideri?” rispose “una sigaretta”. Gli ha acceso una sigaretta, lui l’ha fumata ma non tutta, allora il prete disse “Ora ti devo mettere la benda nera”, al che lui rispose “ Loro ce l’hanno, a me non la devi mettere, io voglio vedere quegli sgherri in faccia” e così è stato con la sigaretta. Dopo l’hanno portato al cimitero, uno dei guardiani disse “ sentite io vi dico dove stanno ma voi zitti che la guerra sta per finire”, ora al Verano c’è un monumento. Quando hanno tirato su il corpo, aveva ancora la sigaretta in bocca, poi mamma gli ha messo il cuscino rosso sotto la testa e il becchino disse “Signora Marì, la sigaretta?” “Lasciategliela”.


Cosa è successo dopo la Liberazione?


Dopo la liberazione di Roma nel 47 così mamma mia non c’aveva niente, solo mio fratello, a me ha messo in collegio, sono stata bene con quelle suore, mi hanno insegnato a ricamare, a fare di tutto. Però prima la guerra si faceva con i tedeschi, allora c’erano le tessere, mamma mia lavorava e mi dava la tessera. Santo quel fornaio, ogni volta mi diceva a dieci anni e i tedeschi tutti in fila, davanti a me c’erano sempre persone più alte, io stavo lì, un tedesco giovane si fa avanti, tutti pensavano mi avrebbe ammazzato, invece lui voleva farmi passare avanti. Al rimprovero in tedesco del capo ha risposto “è piccina”. Stocchi, il fornaio, mi ha dato il pane e un po’ di farina, mamma faceva il pane e quando me l’ha dati, il fornaio disse, dato che avevo una maglietta larga “ Mettila qua e fai vedere solo il pane”, ma il pane era poco, la farina invece era un bel po’. Mamma faceva il pane e lo portava in carcere e quelli lo tagliavano per vedere se dentro c’era il coltello. Lui il pane non lo mangiava mai, perchè erano in dieci in una cella, lo spezzava e lo dava agli altri. A mamma gli diceva “si Maria mi è piaciuto il pane, senti fanne un’altra va!” Sempre dal cannone lassù arrivava la voce laggiù.

La famiglia di mia mamma ha tanto combattuto i fascisti, lei gestiva una casa popolare, ogni tanto si presentavano due o tre tedeschi e controllavano, tante volte quando non c’erano tedeschi dava razioni più abbondanti alle persone. Mamma è stata un’attivista, una volta c’era una festa in piazza e mamma metteva sempre fuori la bandiera, loro la toglievano, lei la rimetteva, Poi l’hanno presa, l’hanno tinta di nero lucido e le hanno detto “ ecco adesso sei come noi”, mamma ne ha passate tante.

Persino i nipoti erano così, perchè allora c’era il comunismo, aveva due cugini mia mamma che tiravano di botte, mamma gli ha detto “vieni alla festa?” Mamma gli ha dato due rose, loro vanno alla festa con le rose, mamma dice “oh se te toccano menaglie, che te frega, dopo c’è chi ti porta a casa”. C’era la festa dell’Unità, si presentano dei ragazzetti come voi vestiti da Balilla “ guarda che non sta bene, prende e strappa i fiori dal taschino” Loro zitti “ adesso tu raccogli quel fiore e me lo metti qua” “noi hai diritto di levarmelo” Si sono inchinati e hanno raccolto il fiore.

I fascisti mandavano sempre i ragazzetti, c’avevano paura.

Quando è finita la guerra in collegio abbiamo fatto una grande festa, però dopo nessuno ci ha aiutato a cercare un lavoro, ci siamo tirati su le maniche, io avevo studiato avviamento al lavoro, “ c’era la democrazia cristiana, ha sistemato tutti quelli della democrazia cristiana”, allora io ho imparato un lavoro.

Papà mio aveva fatto la quinta elementare, era nipote dei grandi industriali Riva, dopo la guerra aveva in mente di andare a Milano dalla cugina.


Lei li ha perdonati?


Io ricordo ma non perdono, me può venire pure il Papa, che mi piace tanto, ma la frase gliela dirò sempre “Non si può dimenticare”, non si può, perché ho patito tanto. Tante volte litigo con il televisore, molta guerra, la guerra l’ho passata brutta.