La storia

Montesacro e Valmelaina nei nove mesi della occupazione nazista di Roma



Montesacro e Valmelaina


Allo scoppio della guerra Montesacro costituiva un quartiere autosufficiente e separato dalla città. Per chi vi arrivava da S. Agnese, superata la caserma Bianchi sulla Nomentana, si aprivano grandi spazi non ancora edificati di prati e di campagna, prima di arrivare al nucleo di casette che sorgeva sull’Aniene all’incrocio di Via Pietralata. Qui avevano abitato, o abitavano ancora, molti degli operai che avevano lavorato alla costruzione del quartiere. Passato il Ponte Tazio, riedificato nel ’37, perché a due anni dalla sua realizzazione un’alluvione l’aveva completamente distrutto, si entrava finalmente a Montesacro la cui costruzione era iniziata nel 1920. Piazza Sempione, con il suo liceo ginnasio Quinto Orazio Flacco, il suo ufficio postale, la chiesa, il cinema-teatro, i giardini, rappresentava la porta di ingresso del quartiere.

L’avvento al potere del fascismo nel ’22 non modificò i progetti urbanistici già avviati e, così, il Consorzio di cooperative che aveva progettato e iniziato i lavori in pochi anni ultimò settecento villini secondo un mosaico di stili architettonici diversi, circondati da giardini profumati, orti e viali spaziosi, costituendo un complesso non a caso chiamato Città Giardino. Gli stessi lotti di case popolari costruiti dal fascismo lungo via Gargano, Piazzale Adriatico e viale Ionio, non più alti di tre piani, non erano ispirati ai criteri intensivi e segreganti tipici delle case popolari di altre periferie e, in qualche modo, assecondavano le caratteristiche architettoniche dei villini. Solo nel 1934 il tram a rotaie che partiva dal centro della città e arrivava a S. Agnese fu prolungato fino a Piazza Sempione e più tardi fu realizzato un circuito ad otto, sempre su rotaie, che attraversava tutto il quartiere.

In quegli anni il quartiere, abitato da una popolazione di ceto medio, di liberi professionisti, di impiegati e funzionari dello Stato, doveva essere assai più bello e godibile di adesso, con l’unico nucleo industriale rappresentato da una cartiera sull’Aniene e una serie di botteghe artigiane, soprattutto di fabbri, nei pressi di Ponte Vecchio.

A meno di due chilometri da Piazza Sempione, nel 1933, fu completato il grosso complesso di case popolari di Val Melaina, un agglomerato isolato circondato dalla campagna rappresentato da un enorme edificio di sette piani nel cui cortile interno si affacciavano ben quindici scale. Qui furono trasferite una parte delle famiglie operaie allontanate dal centro storico. Tale misura era anche finalizzata a collocare in periferie lontane e facilmente controllabili quegli strati che avrebbero potuto costituire il naturale retroterra dell’opposizione. Nel giro di pochi anni, vi si insediò uno spaccato tipico della composizione sociale del proletariato romano: operai, soprattutto edili, manovali, qualche tramviere o ferroviere, piccoli esercenti e artigiani, molti disoccupati, varie altre figure di lavoratori precari.

A poche centinaia di metri in linea d’aria da Val Melaina, superata la collina della Serpentara, sorgeva, e sorge ancora adesso, l’impianto ferroviario di Roma Smistamento, quasi adiacente all’aeroporto dell’Urbe, obiettivi entrambi di frequenti bombardamenti, che, non raramente, colpivano gli agglomerati popolari di Val Melaina.

Tra Montesacro e Val Melaina, infine, dopo il 1936, sorse un nuovo insediamento a ridosso degli ultimi villini di Montesacro: il Tufello, fatto di case basse e lunghe con le scale a ballatoio, per accogliere gli emigranti italiani costretti a rientrare dalla Francia e dalle colonie per l’inasprirsi delle relazioni internazionali.

Cosìcché, prima dello scoppio della guerra, la zona oltre l’Aniene poteva considerarsi aggregata intorno a tre poli abitativi corrispondenti a tre gruppi sociali diversi e non integrati tra loro.


Gli arresti e le fucilazioni del dicembre ‘43


La caduta del fascismo nel luglio del 1943, come hanno ricordato numerosi testimoni, fu anche a Montesacro un momento di gioia e di liberazione. Dopo tre anni di guerra, erano ormai centinaia le famiglie della zona che avevano perso i loro figli e mariti su qualche fronte, o dei quali si era in attesa di notizie.

Il grande bombardamento di S. Lorenzo del 19 luglio 1943 poi, si era in realtà abbattuto anche sullo scalo ferroviario di Smistamento e sul vicino aeroporto e diverse decine erano stati i ferrovieri presi alla sprovvista e uccisi. In quell’occasione, una bomba da 40 kg. era caduta al centro del grande agglomerato di case popolari di Val Melaina senza, miracolosamente, provocare vittime. Ma il 10 agosto, meno di un mese dopo, quattro bombe colpirono uno dei palazzi di Via Monte Pàttino provocando decine di vittime. E nelle settimane successive bombardamenti e spezzonamenti sulla Salaria e sulla Nomentana erano seguiti senza tregua, costringendo la popolazione terrorizzata a ripararsi in ricoveri angusti e inadeguati.

La fame spingeva la gente, spesso bambini denutriti e malvestiti, a cercare di procurarsi qualcosa da mangiare verso i carri ferroviari sventrati, formando file interminabili. Anche quando, con l’occupazione tedesca, gli impianti ferroviari vennero presidiati da pattuglie armate pronte a sparare.

Nella scuola elementare Don Bosco di P.zza Monte Baldo era alloggiato in quei giorni un reparto di allievi ufficiali italiani spedito a Roma perché, con la caduta del fascismo, si temeva una reazione della camicie nere. Tra di loro vi era un testimone d’eccezione, lo scrittore Beppe Fenoglio, che, nel suo libro Primavera di Bellezza, ha poi raccontato l’atmosfera di festa che pervadeva le piazze e i viali di Montesacro in quei giorni che separarono la caduta del fascismo dall’armistizio e dal ritorno a casa. Mentre dalle villette, è Fenoglio che racconta, si sentivano le radio a tutto volume sintonizzate sui bollettini che annunciavano la caduta di Mussolini, ovunque era un brulicare di persone e un festeggiare e le donne premevano attorno ai camion militari gridando "Viva i soldati! Bravi i soldati! È voi che vogliamo non la milizia! "

Come è noto, la gente credette che la caduta del fascismo equivalesse alla fine della guerra e dei sacrifici, ma fu un'illusione. Quando arrivò l’8 settembre, dopo gli scontri di Porta S. Paolo e il dileguarsi del re e degli alti comandi militari, donne e uomini del quartiere si prodigarono per procurare abiti borghesi a questo reparto, a cui gli stessi ufficiali, tra l’incredulità e lo sconcerto dei loro stessi uomini, ordinarono di sciogliersi. È così che, scrive Fenoglio, fu possibile raggiungere in abiti civili la Stazione Termini, mentre anche la Nomentana cominciava ad essere setacciata da pattuglie dell’esercito tedesco che stava per impossessarsi della città.


È forse in queste settimane che cominciarono ad organizzarsi e ad operare a Montesacro due nuclei organizzati di resistenza che agirono in parallelo tra di loro, senza un vero coordinamento, raccogliendo armi, materiale di propaganda e iniziando a mettere in atto, dopo l’8 settembre, piccole azioni di sabotaggio a danno dei tedeschi. Del primo nucleo, formato da uomini non più giovanissimi, collegato al centro del partito comunista attraverso Giorgio Onofri e Vittorio Mallozzi, fanno parte alcuni antifascisti già perseguitati durante il Fascismo come l’abruzzese Riziero Fantini e il romano Mario Menichetti, muratore di Trastevere trasferitosi da poco a Val Melaina, già condannato dal fascismo a quattro anni di confino ad Ustica nel 1926.


Entrambi sono vigilati da anni. Fantini, in particolare, ha alle spalle un percorso affascinante. Nato nel 1892, è emigrato nel 1910 in America dove frequenta a lungo gli ambienti anarchici. Autodidatta, decide di attraversare in compagnia di altri militanti l’intero continente diffondendo il pensiero anarchico tra braccianti e umili lavoratori americani spingendosi fino in Ecuador. Tornato in Italia nel 1921, si impegna nella campagna di opinione a fianco di Sacco e Vanzetti scrivendo anche su Umanità Nova. Del primo, Nicola Sacco, conserva perfino delle lettere che saranno ritrovate dai figli e pubblicate nel dopoguerra.

Negli anni oscuri del Fascismo è riuscito a costruirsi una casetta in Via Calimno, non lontano da Val Melaina, e nel 1942 decide di legarsi al partito comunista. Comunista è anche il macellaio Italo Grimaldi la cui bottega sorgeva qui in P.zza Sempione e il fruttivendolo sardo Antonio Feurra. A Fantini Grimaldi e Feurra sono legati decine di uomini tra cui il muratore emiliano Raffaele Riva originario di S. Agata Bolognese.

Fin dall’inizio dell’occupazione tedesca i nazisti erano molto allarmati dagli atti di disturbo e di sabotaggio che si erano verificati nelle borgate a Nord-Est della città. Il 19 ottobre del 1943 un motociclista tedesco era stato ucciso sulla Salaria e il 25 ottobre due automobili con ufficiali tedeschi a bordo erano state fatte bersaglio di colpi di mitra sempre sulla Salaria. Atti di sabotaggio furono anche quelli che si verificarono nelle borgate limitrofe a Montesacro, soprattutto S. Basilio e Pietralata dove, il 20 ottobre, un gruppo di partigiani in armi avevano dato l’assalto ad una caserma del disciolto esercito italiano situata presso il Forte Tiburtino per impadronirsi di viveri ed armi scontrandosi con i tedeschi subito accorsi.


Fu per questo che, la mattina del 27 ottobre, una compagnia di SS coadiuvata da un battaglione di militi fascisti, effettuava a Montesacro un vasto rastrellamento a tenaglia allargato fino a Val Melaina, Tufello e Pietralata. Oltre mille persone vennero incolonnate e fatte marciare per sei chilometri sulla Nomentana in direzione di Mentana. Raggiunta località Casal Coazzo, dopo alcune ore di estenuante attesa e le minacce affinché non si ripetessero attentati di qualunque genere, minacce proferite con un altoparlante alzato su di un palo, 346 di loro vennero trattenute e trasferite per il lavoro obbligatorio.

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Ma gli atti di ostilità non cessarono, e la stragrande maggioranza della popolazione, nonostante i disagi e i pericoli che ne potevano scaturire, si schiera apertamente con i combattenti. Un tessuto connettivo fatto di piccoli gesti protegge tacitamente coloro che si espongono di più: ignorare fin dove è possibile l’ottusa pretesa di certe disposizioni naziste, far finta di non capire e di non sapere, ascoltare Radio Londra con gli amici della scala.


Ciononostante, iniziano i primi arresti. Il primo cittadino di Montesacro a cadere nelle mani della Gestapo è un anziano ufficiale d’artiglieria, il tenente colonnello Vito Artale. Richiamato all’inizio della guerra per la sua specializzazione dirige il laboratorio di vetrerie ottiche dell’esercito. Dopo l’8 settembre ha cercato di sottrarre ai tedeschi materiale e documenti di notevole interesse militare e di rendere inutilizzabili apparecchiature e macchine del laboratorio. In contatto col Fronte militare clandestino del colonnello Montezemolo, viene imprigionato e torturato a via Tasso prima di trovare la morte alle Fosse Ardeatine.


Subito dopo vengono presi gli antifascisti di cui abbiamo parlato. Il primo a cadere è il macellaio Italo Grimaldi tra i cui effetti viene purtroppo trovato anche un elenco di nomi. Grimaldi viene torturato barbaramente e seviziato. Poi, quella stessa notte, è la volta di Riziero Fantini, arrestato assieme ai suoi due giovanissimi figli Furio e Adolfo, che scamperanno alla morte, di Antonio Feurra, Raffaele Riva, Giovanni Andreozzi e Filippo Rocchi. Sono tutti arrestati nella notte del 23 dicembre 1943 e, dopo un sommario processo, condannati a morte. Grimaldi, Fantini, e Feurra, fucilati a Forte Bravetta il 30 dicembre del 1943, sono in assoluto i primi caduti della resistenza romana, commemorati da Amendola in una riunione del CLN. Un mese dopo, sempre a Forte Bravetta, è la volta di Raffaele Riva e Giovanni Andreozzi fucilati con un gruppo partigiani romani tra cui l’antifascista e volontario di Spagna Vittorio Mallozzi, mentre Filippo Rocchi finisce alle Fosse Ardeatine. A loro va aggiunto il nome di Amilcare Baldoni di cui non sono certe data e circostanze dell’arresto e che potrebbe essere tra le salme non riconosciute delle Fosse Ardeatine.

Al di là dei laconici annunci sui quotidiani della città, le famiglie non sanno più nulla dei loro cari. I tedeschi operano l’occultamento delle salme con maniacale precisione. I corpi dei fucilati vengono sepolti al Verano in fosse anonime e profonde il doppio. L’occultamento dei corpi vuole forse creare una situazione di incertezza che rimandi qualunque prevedibile esplosione di rabbia e di ostilità da parte dei parenti e dei compagni dei caduti.

Dopo la liberazione di Roma, la scoperta e l’identificazione delle salme fu poi resa possibile solo grazie ai lavoratori del cimitero, che, di notte, spesso, hanno provveduto a disseppellire quelle bare, e ad annotare una descrizione della salma e la sua localizzazione.


I giovani dell’ARSI


Il secondo nucleo di resistenza attiva all’occupazione tedesca fu quello che si sviluppò tra i giovani di Montesacro e il cui centro gravitazionale può essere considerato il liceo Orazio, l’unico tra i licei romani ad essere collocato in periferia.


Questi giovani hanno tra i 14 e i 20 anni e ne fanno parte Agnini che nel ’43 ha frequentato l’ultimo anno in quell’istituto e poi si è iscritto a Medicina, Nicola Rainelli, Lallo Orlandi, Franco Caccamo, Giorgio Lauchard, Girolamo Congedo, Mario Perugini, Luciano Celli, Gianni Corbi e numerosi altri ancora.


Negli anni del fascismo si sono spesso ritrovati in interminabili partite di pallone o al bar Bonelli di Piazza Sempione e d’estate sono abituali frequentatori di una spiaggetta posta sull’Aniene presso il Ponte Vecchio dove, come ci è stato riferito, i più giovani tra loro hanno formato una squadra di nuotatori chiamata “I caimani del bell’orizzonte”.

Un amicizia che si rivela un formidabile collante quando, alla caduta del fascismo, le circostanze che si determinano porteranno la maggioranza di loro a condividere le ragioni della lotta contro l’occupazione tedesca.

Nessuno dei giovani di Montesacro aveva avuto rapporti con i partiti antifascisti, ma proprio per questo la loro vicenda è ancora più significativa. Il loro è un percorso di rottura senza appello con il fascismo che si consuma in breve tempo e che li porterà ad affiancare, e magari anche a precedere nella lotta partigiana, anziani e provati antifascisti. Una rottura generazionale nei confronti di un regime che, mentre annunciava di voler dare spazio ai giovani, aveva progressivamente rivelato ai loro occhi la propria natura conformista e reazionaria e che rivela come, di fronte agli insuccessi della guerra e all’impreparazione con cui era stata affrontata, i rituali propagandistici e la retorica di regime avevano esaurito ogni potere di suggestione.


A Montesacro poi vivevano anche alcune famiglie ebree come le famiglie Funaro, Di Veroli e Cacaurri.

Dario Funaro, inoltre, è anche amico dei Caimani del bell’orizzonte e con un gruppo di giovani di Montesacro ha partecipato agli scontri di Porta S. Paolo. Le tre famiglie sono prese e deportate in ottobre e Dario è deportato con loro.


Eventi come questi, come si può intuire, segnano per quei giovani un punto di non ritorno nella rottura col fascismo.

Ferdinando Agnini e Nicola Rainelli sono le figure più attive intorno a cui viene a svilupparsi una fitta rete di rapporti che connette tra di loro giovani provenienti anche da ambiti sociali diversi e fino a ieri non comunicanti. Rainelli è anche lui uno studente di medicina ed è, fra l’altro, in rapporto con due giovani di Val Melaina, il ferroviere Renzo Piasco, che, non avendo voluto seguire le autorità repubblichine al Nord, è stato licenziato, e il cameriere Antonio Pistonesi.


Nel villino di Rainelli in Via Monte Argentario ha trovato riparo Paul Lauffer, un medico dentista ebreo di nazionalità austriaca fuggito dal suo paese all’inizio delle persecuzioni antiebraiche. Il padre di Rainelli, funzionario del Ministero dei trasporti, ha seguito insieme a sua moglie il governo di Badoglio al Sud cosicchè quel villino è diventato il punto di raccolta delle armi di quei giovani, oltre che il posto in cui ci si ritrova per discutere di politica o anche semplicemente per ascoltare musica.

Ferdinando Agnini, invece, ha forse preceduto gli altri nella maturazione di una coscienza di lotta al nazifascismo, ha rapporto con studenti antifascisti di altri quartieri. Alto e dinoccolato, così lo descrive Gianni Corbi, sempre in giro a tenere collegamenti e a diffondere materiale di propaganda, è il riferimento politico e culturale per tutto il gruppo. È lui che propone di costituire una associazione di studenti e di stampare un giornale chiamato La Nostra Lotta che uscirà la prima volta il 18 novembre del 1943, probabilmente il primo giornale clandestino studentesco stampato in Italia. e ispirato ad una visione universale delle grandi questioni sociali, politiche e culturali che stanno davanti ai giovani.

L’ARSI nasce dunque spontaneamente, un piccolo gruppo dalle grandi ambizioni ideali. Vuole essere, come scrive Agnini, una forza capace di suscitare nella tradizione culturale italiana, intrisa di scetticismo e di idealismo, le forze necessarie ad un risveglio della coscienza individuale e collettiva.


Il gruppo è attivissimo in quartiere e fuori di esso. Chiodi a quattro punte, taglio delle linee telefoniche tedesche, e infine, alcuni attentati come quello che ha luogo in dicembre in Via Maiella nei confronti di un noto caporione fascista. Alcuni giovanissimi del gruppo procurano numerose armi attraversando di notte, nel mese di dicembre, il fiume Aniene, armi che si trovano in un’area militare appartenuta ad un reparto italiano che le ha abbandonate, e progettano anche due azioni importanti contro la linea ferroviaria all’altezza della batteria Nomentana e verso un deposito di carburante sulla riva sinistra dell’Aniene che, poi, non vengono eseguite. Ma soprattutto Agnini e gli altri partecipano alle manifestazioni studentesche contro le disposizioni del Rettore e del Ministero per la Difesa Nazionale perché vengano ammessi agli esami solo gli universitari in possesso di un certificato comprovante l’avvenuta presentazione al distretto militare. Cosa che comportava l’obbligo di presentarsi davanti all’esercito repubblichino fascista. Il due gennaio del ’44 in casa di Pierluigi Sagona, Agnini partecipa con Maurizio Ferrara, Carlo Lizzani, Dario Puccini ed altri ad una importante riunione per organizzare il boicottaggio delle lezioni e le proteste studentesche che avranno luogo nel mese di gennaio al Policlinico, ad Architettura e ad Ingegneria in S. Pietro in Vincoli e lo sciopero degli studenti medi. Qui viene anche presa la decisione di costituire un comitato studentesco cittadino in cui far confluire l’ARSI, comitato che prenderà il nome di USI (Unione Studentesca Italiana). Cosicchè, divenuto il giornale dell’USI, La Nostra Lotta ospitò nel numero di Marzo in prima pagina un doveroso saluto all’ARSI.

Nel frattempo, nonostante i compensi annunciati in cambio di ogni utile delazione, i tedeschi non riescono a fermare la resistenza a Roma che, dopo lo sbarco di Anzio, s’è fatta più audace e scoperta. Dopo vari mesi di permanenza in città l’occupante non è ancora in grado di contare su un proprio servizio di spionaggio e di informazione. Allo scopo può servire l’utile contributo di qualche fanatico disposto ad arruolarsi come ausiliario delle SS e a partecipare a sevizie e interrogatori. È così che i nazisti riescono a mettere le mani sul gruppo dei giovani di Montesacro utilizzando i servizi di un delatore a cui è stato spiegato come muoversi, tale Armando Testorio, che riesce a stabilire contatti con Rainelli ed Agnini.

Il 3 febbraio del 1944 i tedeschi bloccano le strade del quartiere, hanno un elenco con nomi e indirizzi precisi. Lallo Orlandi è in strada, si rende conto di quanto sta succedendo, riesce a precedere i tedeschi e ad avvertire vari compagni del pericolo imminente tra cui Rainelli che si salva abbandonando in fretta il suo Villino e nascondendosi in parrocchia aiutato dal parroco Don Fiorello. Paul Lauffer non è altrettanto svelto e viene arrestato. Poi Lallo viene intercettato ed è arrestato a sua volta e così Renzo Piasco. Il giorno dopo è la volta di Antonio Pistonesi nella cui casa ancora lo stesso delatore conduce i tedeschi. Ma manca dal conto l’elemento di maggior prestigio del gruppo e i tedeschi lo sanno. Agnini, infatti, è riuscito a sfuggire e si è allontanato di casa per una quindicina di giorni. Ma il 24 febbraio a sera decide di rientrare. La polizia lo aspetta ed è arrestato. Tradotto momentaneamente al commissariato di zona si fida di un poliziotto che mostra di volerlo aiutare e suo tramite cerca di fare avere al padre un biglietto in cui si raccomanda di avvertire gli amici. Il giorno dopo viene arrestato anche il padre Gaetano. Ed entrambi vengono portati a Via Tasso dove Ferdinando viene interrogato 12 volte in quindici giorni. Suo padre sopravvissuto ricorderà poi le condizioni terribili in cui fu ridotto quel figlio che non aveva voluto parlare.

Paul Lauffer è il primo tra loro ad essere fucilato il 7 marzo insieme ad altri antifascisti. Mentre tutti gli altri vengono fucilati il 24 marzo alle Ardeatine. Lallo, il più giovane aveva compiuto i suoi 18 anni a Via Tasso.


Dopo gli arresti, il gruppo di giovani di Montesacro è scompaginato e si frantuma. Nicola Rainelli, che aveva nel frattempo stretto i legami col Partito d’Azione, riesce ad abbandonare la parrocchia e a raggiungere Corchiano, nel viterbese, combattendo fino alla Liberazione in una brigata partigiana. Gli altri, i più giovani del gruppo, raggiungono il Monte Scalambra dove resteranno fino ai primi di giugno.


Il prezzo pagato in vite umane nel nostro come in tanti altri quartieri di Roma è stato dunque alto. Ma ciò nonostante non vi furono ritorsioni. Testorio dopo la Liberazione fu regolarmente processato da un Tribunale dello Stato e condannato a morte per i suoi orrendi crimini. Dopo la liberazione, nei giovani che avevano con generosità lottato contro il fascismo non vi fu posto per sentimenti di vendetta e in loro prevalse l’impegno alla costruzione di una società finalmente più libera e più giusta e anche questo ha rappresentato una grande lezione di umanità e di civiltà. Anche coloro che avevano indossato, e, spesso, abusato della camicia nera, ripresero i loro posti e godettero, come tutti, delle garanzie e dei vantaggi della democrazia e della libertà.

In questi anni, è venuto pressante l’invito ad archiviare questo passato, a considerare la comune buona fede di partigiani e giovani fascisti di Salò sulla base del naturale rispetto dovuto alla morte. La distanza storica che ci separa da quegli eventi può permettere oggi di fuoriuscire da certe rigidità ideologiche o da certe ricostruzioni retoriche che sono finora prevalse, ma non si può con questo permettere che su tutto questo si passi un colpo di spugna ignorando l’abisso che separò la cultura della democrazia e della tolleranza dalla barbarie e dal culto della violenza e della morte.