Nel IV libro dell' Eneide Virgilio si concentra sul rapporto tra Enea e Didone. Il poeta apre questa sezione con l'episodio della battuta di caccia, quindi con il primo incontro amoroso tra i due; termina poi il libro, in completa antitesi con l'esordio, con la rottura del rapporto tra i due e il suicidio di Didone.
Di seguito sono riportati i versi che includono le ultime parole della regina: parole di rabbia e disprezzo per il torto subito, ma accompagnate da un tono di appagamento per essere riuscita a fondare una grandiosa civiltà e perseguito il proprio destino. Con la sua morte, tutta Cartagine sembra partecipe del dolore e sofferenza della sua regina come se assediata da nemici. Quest' ultimo particolare sembrerebbere mettere in luce il futuro assedio della città da parte dei Romani stessi, in risposta all'ultor, il vendicatore, invocato da Didone.
ll testo originale è accompagnato da una traduzione in italiano e da note contrassegnate.
“Dulces exuviae1, dum fata deusque sinebant,
accipite hanc animam, meque his exsolvite curis.
Vixi 2, et, quem dederat cursum fortuna, peregi 3,
et nunc magna mei sub terras ibit imago.
Urbem praeclaram statui 4; mea moenia vidi;
ulta virum, poenas inimico a fratre 5 recepi;
felix, heu nimium felix, si litora tantum
numquam Dardaniae tetigissent nostra carinae!”
Dixit, et, os impressa toro 6, “Moriemur inultae,
sed moriamur 7” ait. “Sic, sic 8 iuvat ire sub umbras:
Hauriat hunc oculis ignem crudelis 9 ab alto
Dardanus 10, et nostrae secum ferat omina mortis.”
Dixerat 11; atque illam media inter talia ferro 12
conlapsam aspiciunt comites, ensemque 13 cruore
spumantem, sparsasque manus. It clamor ad alta
atria 14; concussam bacchatur Fama per urbem 15.
Lamentis gemituque et femineo ululatu
tecta fremunt 16; resonat magnis plangoribus aether 17,
non aliter 18, quam si immissis ruat hostibus 19 omnis
Carthago 20 aut antiqua Tyros 21, flammaeque furentes
culmina 22 perque hominum volvantur perque deorum.
“O dolci spoglie, finché il destino e il Dio lo permettevano, |ricevete questa vita e scioglietemi da queste pene. |Io ho vissuto pienamente e ho portato a compimento il percorso che la sorte mi aveva assegnato |e ora la mia ombra andrà grande sottoterra. |Ho fondato una grande città, ho visto le mie mura, |avendo vendicato il marito, ho fatto pagare la pena al fratello nemico: |felice, ahimè, ero troppo felice, se soltanto le navi troiane|non avessero mai raggiunto le nostre coste”. |Così disse e imprimendo la bocca sul letto, disse: “Moriremo invendicate|ma moriamo”. “Così così mi piace andare tra le ombre; |il crudele troiano beva con gli occhi dall’alto mare questo fuoco |e porti via con sé i presagi della nostre morte”. |Così parlò, e nel mezzo di tali parole le ancelle |la vedono gettarsi sulla spada e vedono la spada |spumeggiante di sangue e le mani cosparse di sangue. Il clamore |sale alle volte della reggia: la Fama impazza attraverso la città attonita. |Le case fremono di lamenti, di gemiti e di urla di |donne, l’aria risuona di grandi strepiti, non |diversamente che, se penetrati i nemici, tutta Cartagine o l’antica Tiro crollasse, |o se le fiamme impetuose si diffondessero sia attraverso |le abitazioni degli uomini sia attraverso i templi.
Note:
1. "exuviae" : gli oggetti e doni di Enea. Didone la saluta come "dulces", ma aggiunge "dum fata deusque sinebat ", cioè fino a quando gli dei permisero quell amore.
2. "vixi" : non è la constatazione desolata di una fine, ma l ' annuncio di un dovere compiuto.
3."et....peregi" : l' ampia metafora si contrappone efficacemente alla scultorea brevità di "vixi".
4. "Urbem...statui" : i verbi riferiti alla costruzione di cartagine insistono più sulla certezza e la solidità delle fondamenta che non sulla conclusione della sua stessa realizzazione.
5. "Inimico a fratre" : anastrofe. Didone si è vendicata del fratello Pigmalione, che le aveva ucciso il marito per impadronirsi delle sue ricchezze.
6. "Os impressa toro" : anche il talamo, pur risparmiato dal rogo ,è "dulcis exuvia". Il gesto è analogo a quello di Medea di Apollonio Rodio nelle "Argonautiche", ma nel poeta greco si trattava di un gesto anticipatore di una fuga liberatoria.
7. "Moriemur... moriamur" : plurale poetico arricchito da un poliptoto.
8. "Sic,sic" : Discutibile , ma suggestiva, l'ipotesi di Servio secondo la quale proprio a questo punto ella si colpirebbe ; "sic, sic", come se ad ogni monosillabo corrispondese un colpo.
9. "Hauriat hunc oculis ignem crudelis". Il fuoco di cui parla Didone si riferisce anche alla grande pira allestita per ardere i doni di Enea. Questo stesso rituale viene associato ad un rito magico; lo stesso Virgilio, infatti, per la realizzazione di Didone si era ispirato alla maga Medea di Euripide, ciò spiegherebbe anche il tono teatrale del finale del IV libro. Sempre in riferimento al rogo, nel mito originale Didone si sarebbe gettata tra le fiamme.
10. "Dardanus" : è aggettivo, quindi è da intendersi "Dardanius ".
11. "Dixerat " : Virgilio usa il piuccheperfetto indicativo latino, il trapassato prossimo italiano : Didone aveva già finito di parlare , era morta.
12."ferro" : dativo di direzione.
13 "ensemque" : complemento oggetto diretto di "aspiciunt".
14. "Atria " (sineddoche per "domus") è plurale poetico.
15. "Concussam...urbem" : la Fama vi si disfrena come una baccante ("bacchatur") e vi annuncia la morte di Didone ,come (a suo tempo) aveva divulgato la notizia dei suoi amori.
16. "Lamentis...fremunt" : con l' insistito ricorrere della u, con la "variatio " tra singolare e plurale , con il polisindeto , Virgilio dà eco molteplice a un immenso grido.
17. "Resonat...aether" : iperbole.
18. "Non aliter" : litote.
19. "Immissis...hostibus" : ablativo assoluto.
20. "Ruat...omnis Carthago" : la caduta, soltanto immaginata, di Cartagine è assimilato a quella di Troia.
21. "quam.. Tyros" : le popolazioni delle città antiche erano esperte nell' infliggere e nel subire saccheggi. Di tale esperienza fecero tesoro i poeti epici, che più volte si esercitarono in descrizioni di questo genere. Virgilio evoca una Cartagine distrutta, invasa proprio come Troia e proprio come, nei secoli a venire , Cartagine stessa.
22. "Culmina" : per sineddoche le "domus " degli uomini e degli dei, cioè, rispettivamente, le case e i "templa". "Culmina" evoca uno scenario di contrasto in rapporto a "tecta".
La storia di Didone ispirò Giuseppe Ungaretti, che compose diciannove brevi Cori riguardanti gli stati d'animo di Didone e compresi nell'opera incompiuta "La terra promessa". Alla regina, Ungaretti dedica diciannove cori, dove è ripreso il tòpos dell’abbandonata arricchito però con il tema della labilità del tempo, assente nel testo virgiliano. ”La terra promessa” avrebbe dovuto essere un poema da mettere in scena con le figure di Enea e di Didone, ma il poeta non lo terminò mai. Poesia dell’allontanamento, essa dà congedo, attraverso la figura allegorica di Didone, agli slanci e alle promesse della gioventù, congedo che riconosce ormai la vanità, l’inutilità delle immagini.
Nel terzo coro, risuona il grido solitario di Didone per Enea che l’ha abbandonata, per l’amore tradito, per l’umiliazione subita, per il dolore di non essere altro che abbandonata. La fine dell’amore rappresenta la fine della vita, della bellezza che sfiorisce mentre avanza la vecchiaia.
Il lessico aulico, la costruzione a chiasmo (Ora il vento s’è fatto silenzioso / E silenzioso il mare), il gusto della ripetizione (E più non sono... Da quando più non sono / Se non...), le inversioni sintattiche (... ma grido / Il grido, sola, del mio cuore) conferiscoco ai versi una solennità classicheggiante.
Di seguito il terzo coro:
Ora il vento s’è fatto silenzioso
E silenzioso mare;
Tutto tace; ma grido
Il grido, solo, del mio cuore,
Del cuore che brucia
Da quando ti mirai e m’ ha guardata
E più non sono che un oggetto debole.
Grido e brucia il mio cuore senza pace
Da quando più non sono
Se non cosa in rovina e abbandonata.