Didone: una donna potente, una regina, una lottatrice, una regnante destinata ad un tragico fato, ma soprattutto una donna innamorata.
Lo scopo di questa pagina è quello di illustrare come l'immagine di Didone sia stata motivo di ispirazione per gli artisti successivi a Virgilio, i quali, nelle loro opere, hanno concepito personaggi colpiti dalla medesima sorte: donne spesso anche dalla forte personalità, le quali, accecate dall'amore, sono state tradite e abbandonate. Per questo, il lavoro si concentrerà sulle opere successive all'Eneide ed inerenti ad arti diverse: dalla letteratura alla musica. Nella sezione Testi sarà presente, oltre ad un estratto dell'Eneide, anche una poesia del poeta Ungaretti. Invece, nella sezione Contenuti digitali sarà possibile approfondire altre due importanti figure femminili, entrambe aventi in comune il tragico epilogo della protagonista della pagina.
Didone è sicuramente uno dei personaggi più importanti e celebri dell' Eneide di Virgilio. Leggendaria regina fenicia, successivamente alla morte del marito Sicheo, assassinato dal fratello Pigmalione, è costretta ad abbandonare la propria terra e fondare una nuova civiltà. Una volta giunta nei territori dei Numidi, l' attuale Africa Settentrionale, paga con il suo tesoro parte del territorio del re Iarba. Secondo il loro accordo, il territorio deve corrispondere allo spazio occupato da una pelle i toro. Didone ne approfitta e , ricavando dalla pelle di toro una sottilissima linea, descrive i confini della sua futura civiltà: Cartagine.
"Non ignara mali, miseris succurrere disco" Non ignara del male, imparo a soccorrere gli infelici. (Virgilio, Eneide, I libro, V.630)
Con queste parole, Didone accoglie Enea e i suoi compagni a Cartagine comprendendo la condizione dei Troiani. Enea è uscito da esperienze dolorose simili a quelle che Didone stessa ha sofferto, e, nella sua anima di donna sensibile e ardente, la pietà e l’ammirazione si trasformano ben presto in un sentimento più profondo. Nel suo cuore assetato di affetto, che lei credeva di aver chiuso per sempre all’amore, fedele al ricordo del morto marito Sicheo, si ridesta l’antica fiamma. Durante il banchetto, quindi, si innamora dell'eroe Virgiliano, grazie anche ad un incantesimo di Venere e ascolta le parole di Enea con grande ammirazione. Il culmine del loro amore giunge quando, interrotti durante una battuta di caccia da un temporale, trovano riparo in una grotta e consumano il loro incontro amoroso.
Enea, però, deve riprendere il proprio viaggio per fondare la futura civiltà romana ed è costretto ad abbandonare Didone. La regina scatena la sua rabbia verso il Troiano e tenta invano di trattenerlo attraverso lunghi monologhi dai tratti teatrali. Il dialogo è violento e crudo: Didone augura tormenti e affanni a tutti i troiani in viaggio, spera che naufraghino sugli scogli. Ciò nonostante, Enea torna alla sua flotta e la abbandona definitivamente. La donnna, in preda alla follia, compie un ultimo atto fatale: mentre le navi troiane prendono il largo, afferra la daga che Ena aveva lasciato e si suicidia.
Il personaggio di Didone si configura come uno dei personaggi più vivi e vibranti di tutto il poema. La sua personalità, che la rende intelligente e astuta, risulta la più umana dell'intero poema.