Di Betto Post

Numero Zero

01 Gennaio 2021

Editoriale

Questo giornale nasce tanto dalla consapevolezza che la scrittura nei nostri giovani è sempre meno sentita, anche in virtù delle nuove tecnologie a loro disposizione, quanto dal desiderio di portare i nostri ragazzi verso un'esperienza pratica, che parta dagli studenti e con loro trovi forma.

La redazione del news blog Dibetto Post si propone di creare una sinergia di competenze, che promuova la visibilità del Liceo Artistico "Bernardino di Betto" nella sua interezza, in primis tra gli stessi appartenenti alla comunità scolastica, e quindi rispetto al territorio, quale vetrina delle molteplici versatilità di questo corso di studi. Con l'augurio che il giornale, nel tempo, possa diventare un luogo di espressione e identificazione della scuola stessa.

E' dunque un laboratorio virtuale, ma al tempo stesso personale, nel quale i ragazzi possono sviluppare al meglio le loro potenzialità, attingendo dalla molteplicità delle discipline presenti nel loro piano di studi.

Nel presentare questo Numero Zero ringraziamo la Dirigente Scolastica, Professoressa Rossella Magherini, per il sostegno che ci ha dato, il comitato scientifico, tutti i colleghi e i ragazzi che hanno aderito con entusiasmo a questa nuova avventura... convinti, come asseriva Thomas A. Edison, che “il valore di un’idea sta nel metterla in pratica”.

Il Direttore responsabile E. Bongini

Ultime News

La studentessa Cecilia Montano, della classe IV A, ha ricevuto con questa bellissima opera la menzione speciale al concorso regionale 'Mi voglio donare', promosso dalla Regione Umbria, l'Ufficio Scolastico Regionale, il Centro Regionale Trapianti ed il Comune di Perugia, in collaborazione con la rete 'Doniamoci' (Aido Sezione Provinciale di Perugia, ANED, AVIS Perugia, Avanti tutta)

Cecilia ha realizzato l'opera nel corso del lockdown della scorsa primavera, pur tra mille difficoltà.

Maggiori informazioni su https://www.crtumbria.it/

Iodibetto sul territorio

Il Liceo artistico è una scuola aperta al territorio. Riceviamo committenze, partecipiamo a progetti...

La panchina rossa - #rossoforlife

La Classe 5E del Liceo Artistico “Bernardino di Betto”, nell’a.s. 2018-2019, ha lavorato per mesi al progetto #rossoforlife “Stop alla violenza, scelgo il rispetto”. Insieme al Prof. Marco Mariucci le studentesse e gli studenti hanno realizzato la panchina rossa. L’8 marzo 2019 l’opera è stata collocata, con una cerimonia pubblica, nell’atrio di Palazzo della Penna. L’opera testimonia l’impegno della nostra scuola contro ogni forma di violenza e discriminazione. Nicole Di Gennaro riassume il senso dell’opera, che rappresenta una donna che si sta liberando di tutte le oppressioni. Il drappo dorato che le copre, rivela infatti Rebecca Fogu, è in realtà un “legaccio”, che intende simboleggiare le catene e i pregiudizi che ancora opprimono le donne. #iodibetto

senza catene liceo artistico perugia.mov

Intervista con l'artista

Siamo tutti connessi e, nonostante questa situazione paradossale di un’intervista in remoto, ci stupiamo nel constatare come il pathos scorra, ci sentiamo classe che ascolta, che accoglie, che “coglie” ciò che il nostro intervistato e professore Francesco Marchetti, aka Skizzo, vuole condividere con noi.

Scenografo, costumista, pittore, scultore e incisore: un artista politropos, nella sua accezione di multiforme, sia per le sperimentazioni che per i materiali che usa nella sua arte. Si presenta a noi cordiale, pacato, ma con una luce negli occhi che ispira a propositi positivi..


Qual è stato il suo percorso scolastico Professore?

L’Istituto Bernardino di Betto che, ai miei tempi, aveva sede a San Francesco al Prato. E’ stato il mio piccolo rinascimento, perché mi ha aperto la mente, poi l’Accademia di belle arti e, secondo il vecchio ordinamento, il diploma in Scenografia. Poi l’esperienza in Spagna a Bilbao a contatto con una nuova lingua e nuovi modi di vedere e fare pittura, esperienze, che hanno segnato la mia gioventù e i miei inizi.

Perché ha scelto di fare l’insegnante?

E’ venuto quasi da sé: già in alcuni corsi dell’Accademia i docenti mi facevano preparare delle dispense e spesso mi trovavo a fare l’assistente. Nel duemilasei la prima chiamata nella scuola, una supplenza proprio nella cattedra in cui ancora oggi insegno, fedele a questa linea di continuità: stessa scuola, stesso insegnamento. La docenza è stata una fortuna, ma ringrazio di essere partito prima come artista, aver conosciuto galleristi, collezionisti, altri artisti; mi è stato utile per crescere come artista, per aprire la mente e dare di più ai miei allievi. I ragazzi ti mettono in difficoltà, per questo bisogna sempre studiare e documentarsi. Spesso mi vergogno di venire a insegnare: mi dico come è possibile che mi paghino per fare qualcosa che mi piace così tanto (sorride)...

Credo che l’essere artista mi sia di aiuto nell’insegnamento unito a un continuo studio e ricerca, perché i ragazzi domandano, ti spiazzano... e devi poter e saper rispondere. Mi ritengo un artista e un insegnante puntiglioso e spesso metto in crisi i miei allievi, chiedendo loro forse troppo nella ricerca estrema che li porterà al bozzetto (sorride). Li faccio lavorare come treni, e ricordo loro continuamente: “Dovete diventare voi”. Lo faccio per loro, perché la committenza che troveranno all’esterno è esigente.

Cosa consiglierebbe a chi fra poco si maturerà e sta pensando di affrontare lo stesso suo percorso?

Quando avrete capito la vostra strada, seguitela senza ripensamenti, credendoci fortemente. Il segreto è crederci. Io per esempio, senza l’arte non posso stare, ho vere e proprie crisi di astinenza se non creo. Devo mettere mano, andare avanti, vado nel mio studio e nel mio mondo, sperimento, ricerco; sempre e continuamente. In gioventù non tutti credevano nei miei sogni, ma io sono andato avanti credendo fortemente e contrariamente a tutto e tutti. Con il tempo, ho avuto delle grandi soddisfazioni nel vedere che molti che avevano dubitato, si sono ricreduti.

Pensa che esista una differenza fra lo studiare a Perugia o all’estero?

Non credo che faccia la differenza sul dove si studi, non è l’Università che fa la differenza, è lo studente. Io ho studiato a Perugia, ma poi mi sono perfezionato all’estero, ho aperto le mie conoscenze sperimentando nuovi modi di concepire e elaborare. L'ho fatto che ero giovane, è stato il conoscere e lo studiare in gioventù che ha fatto la differenza.

Lei è un artista umbro che è riuscito a essere un artista europeo pur mantenendo radici nella terra natia, cosa decisamente non scontata.

La mia terra mi ha dato ispirazione, ma il viaggiare, le esperienze mi hanno permesso di prendere appunti per quella che sarebbe dovuta diventare la mia strada. Ho sempre creduto nel lato umano, il rispetto e l’umiltà aprono tante porte. Le occasioni sono venute e io non ho avuto paura di afferrarle.

Da dove nasce la firma Skizzo?

E’ un soprannome, nato ai tempi delle scuole elementari, collegato al mio essere sempre in movimento; alle scuole medie era già la normalità, all’Istituto quando sono cominciati i primi lavori seri e io stavo crescendo ho mantenuto con fierezza questo soprannome, che ancora mi contraddistingue nel mio essere sempre in febbrile movimento di mente e di corpo. All’Accademia era ormai un nome col quale firmavo le mie opere (sorride). Potrebbe essere associato alla tossicodipendenza, ma per me è l’atto che lega l’invenzione del cervello alla linea che si genera nel foglio, come uno skizzo appunto e… non lo cambierei per nulla al mondo, ormai è parte connotante.

C’è stato qualcuno che ha inciso sulle sue scelte?

Il nume tutelare Buzzanca ha cambiato la mia vita, scommettendo su di me, proponendomi insegnamenti e grandi sfide, ma anche altri, come Giovanni Pelliccia, mio professore all’Istituto di decorazione plastica, col quale ho passato non solo ore di scuola, ma tanti pomeriggi nel suo laboratorio a parlare, ad apprendere. All’Accademia, professori quali Federici, Urbano, Cicinelli. Il nume, il maestro Riccardo Buzzanca, mi ha aperto a Mekane, una città che collabora con tutto il mondo. Un maestro quieto e umano che è diventato nel tempo un amico. E’ nata fra noi una fiducia e una solidarietà artistica reciproca, paritetica.

Ha trovato difficoltà nel perseguire questa scelta artistica?

Certo, le cose non sono mai facili, ho lavorato in fabbrica, ho fatto il lavapiatti all’estero per mantenermi agli studi, (sorride) ho rischiato persino di essere buttato fuori casa, ma sono momenti se ti senti artista dentro, devi andare fino in fondo… senza compromessi. Penso a questo periodo particolare, il covid ci ha rallentati, stressati, spaventati, ma vorrei dirvi, mai fermarsi anche dovessero mancare idee, continuare sempre a ricercare e sperimentare.

La vedo come un artista democratico, si muovi con lo stesso entusiasmo nelle piccole esperienze come in quelle grandi; mentre nel suo continuo mettersi alla prova con nuove tecniche e nuovi materiali sembra un instancabile artista rinascimentale

Grazie, in me è sempre vigile il fanciullino pascoliano, le mie esperienze all’estero mi hanno permesso di conoscere, tanto per fare un esempio, Keith Haring e il suo messaggio di filosofia popular art che è rimasto presente nelle mie esecuzioni artistiche. Ho partecipato a mostre cittadine, ho decorato gli interni del negozio milanese di Fiorucci, poi la grande esperienza torinese della Lavazza, ma ho anche collaborato con tante scuole materne e elementari. Nell’esporre, si conoscono tante persone, si aprono nuovi legami, ricordo in Germania che ho conosciuto un avvocato che era scampato alla deportazione nazista grazie alla Schindler’s List. Esponi, conosci nuovi artisti, ma spesso in chi viene alle tue esposizioni ti apri al lato umano e le conoscenze sono sempre importanti per questo lavoro. Lavorare con i bambini è bellissimo, racconto favole e ti ascoltano e hanno quell’input di essere freschi, senza filtri: è un po' come diceva Picasso “un bambino non ascolta le regole”. Fanno a loro piacimento. La loro creatività è massima. Io credo che nella mia arte vi sia un todo modo.

Ci parli dell’esperienza della decorazione della Nuvola di Lavazza a Torino, che ha avuto grande eco mediatica, e per la quale è stato apprezzato per le sue caratteristiche di assoluta originalità dallo scenografo Dante Ferretti e dal maestro di Mekane, Buzzanca

La conferenza di presentazione era live, trasmessa in streaming in tutte le sedi Lavazza del globo. Mentre i convenuti (pubblico e autorità, oltre settecentoottanta invitati) parlavano sul palco, venivano proiettate immagini della Nuvola, presentate dall'attore Favino, e fra queste immagini i miei lavori: pannelli in policarbonato di tre metri e cinquanta per due e quaranta di art street, graffitismo. Una grande sfida che mi è piaciuta per la sua complessità e per il luogo nel quale dovevano essere poste le opere; poi fra i presenti tante persone da conoscere, Baricco, Vespa, attori, personaggi del milieu artistico e culturale, oltre ai componenti della famiglia Lavazza che si sono interessati con i loro giovani figli alle mie opere facendomi molte domande.

In molte delle sue grandi tele si avverte quasi un horror vacui...

Ammetto di essere un instancabile ricercatore, ma anche un ipocondriaco nei confronti della tela che inizio a dipingere. Non sto mai fermo e riempio i grandi spazi con pignoleria. Per me dipingere è divertente e non mi stanca mai, mi piace ricercare sempre l’altra parte della luna. In una tela riempio puntigliosamente i grandi vuoti.

Più in generale, dove trova la sua ispirazione?

Leggendo, guardando, conoscendo, interessandomi sempre, su internet, per strada, nei libri... Io osservo e poi mi faccio un film mentale che devo assolutamente posare su una tela.

Cosa direbbe agli studenti che leggeranno questa intervista?

L’artista è un ladro che ruba con i suoi sensi; la sperimentazione serve sempre, anche nei periodi più incerti come questo che stiamo vivendo. Tutti i sensi vengono coinvolti nella creazione di un’opera, tante dinamiche che si mettono in movimento, la mente si apre ai colori... Insomma, lavorare con l’arte è un gran figata e io mi muovo in essa “Todo Modo”.

Se si vede in un lavoro futuro, al termine di una lunga carriera, cosa vorrebbe fare?

Il mio sogno nel cassetto... girare il mondo, collegarmi a diversi luoghi, etnie, colori, tecniche pittoriche e creare un’opera... Unica, multitecnica.


(La classe VB e la docente Bongini)

De... scriviamoci

Design della moda

Design del libro

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Architettura

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Pittorica

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Plastica

Uno sguardo all'esterno

Intervista a Riccardo Freddo

In storia dell’arte non studiamo le opere che sono rimaste al buio in cantina, ma quei progetti che venendo alla luce hanno illuminato le menti e gli ambienti circostanti. Studiamo anche che talvolta sono più noti i nomi dei potenti committenti che degli artisti emergenti. Si delinea così un sistema in cui s’incontrano domanda di un’opera di essere ammirata e di un artista di essere riconosciuto, con la richiesta di un pubblico di essere gratificato e di un investitore di essere soddisfatto. Per attivare e far funzionare questo meccanismo, sono necessari talento e intuizione, studio e impegno, di chi produce arte, ma anche di chi la fa conoscere, la promuove, la trasforma in un tesoro, anche economico. Oggi intervisteremo uno di questi professionisti del mondo dell’arte, il ventisettenne Riccardo Freddo di Perugia

L’intervista in Meet è stata condotta dalle proff. Bongini e Piccotti e dalle studentesse Ludmilla Mingolla, Cecilia Montano e Giada Mukja.

Buongiorno e benvenuto Riccardo.


Il tuo percorso accademico si snoda tra l’Italia e gli Stati Uniti, tra gli studi finanziari e quelli di arte contemporanea. Dove hai frequentato le scuole superiori ed in quale istituto?

Ho studiato al liceo scientifico Galilei. Il mio quarto anno l’ho frequentato a Seattle, in boarding school, un collegio studentesco, e ho completato il quinto anno in Italia. Dopo la maturità mi sono trasferito a Roma, dove ho studiato Economics and Business alla Luiss. Poi ho fatto un’esperienza Erasmus a Stanford, proseguendo gli studi in International Management. Da lì mi sono trasferito a New York, dove ho preso un master in Art Business, perché serviva la connessione, il link, tra il mondo del business e dell’arte, specializzandomi in Arte Contemporanea. La mia tesi di laurea alla Luiss è stata sull’investimento in arte.

Quali ruoli hai ricoperto dall’inizio della tua carriera e quali sono i tuoi attuali incarichi professionali?

Ho lavorato a Paddle8 di New York, una casa d’aste fondata da Alexander Gilkes, che è il migliore amico dei principi William e Harry, quindi con me lavorava anche la principessa Eugenia. Mi sono poi trasferito a Los Angeles, dove ho lavorato da Christie’s, ma ci ho trascorso poco tempo, perché subito dopo ho ricevuto una proposta da Sotheby’s di Londra, che sarebbe il competitor, il diretto concorrente. Lì ho lavorato per quasi quattro anni, gestivo le aste per giovani collezionisti e artisti emergenti, iniziando anche a coordinare tutti i progetti speciali, che sono la parte più interessante del mio lavoro. In questo momento sto gestendo una collezione privata di giovani collezionisti romani, alla terza generazione che hanno desiderio di vendere alcuni pezzi della collezione. Dovevo trasferirmi a Parigi due mesi fa, purtroppo però, per la pandemia, ho dovuto posticipare, ma probabilmente tra febbraio e marzo tornerò a Parigi.

Come è organizzata Sotheby’s e con quale frequenza organizza le aste?

Sotheby’s è divisa in due parti: ha la parte del contenuto, detto content, e la parte del management, ossia della gestione. Fa parte del contenuto, per esempio l’attività dello specialista che dà un valore all’opera, la stima, oppure cerca di convincere il cliente a vendere un’opera piuttosto che un’altra.

Ci sono tre aste importanti nel dipartimento di arte contemporanea: la prima denominata Evening Sale, una vendita serale, quindi in smoking, e viene fatta tre volte all’anno, con un valore totale all’asta di 50-100 milioni, a volte anche di più. Poi c’è un’asta che si chiama Day Sale, un’asta di giorno, che ha un valore di circa 10-15 milioni, e poi ci sono le mie aste, quelle per giovani collezionisti, che hanno un valore più basso, intorno ai 5 milioni.

Quale è stato il tuo ruolo all’interno di Sotheby’s?

Avevo un doppio ruolo. Con il mio background economico ho deciso di intraprendere la strada del management che riguarda innanzitutto i contratti, la logistica, la gestione dei cataloghi, le installazioni, focalizzandomi sulle aste dei giovani collezionisti e artisti emergenti.

Come secondo ruolo avevo quello di coordinare tutti i progetti speciali. Per progetti speciali s’intendono moltissime cose, tutto ciò che non ha a che fare con la vendita in sé per sé. I progetti di cui mi occupo io non portano profitti per Sotheby’s, ma un importante ritorno d’immagine, dunque lavoriamo con molte charity, enti benefici, e gestiamo anche charity auction, ossia aste benefiche.

Quali sono stati i tuoi progetti speciali preferiti?

Tra i miei progetti preferiti ci sono aste meravigliose come Artangel, una charity, ossia un ente benefico, che fa beneficenza attraverso le installazioni artistiche in tutta Londra e in tutto il mondo. L’abbiamo allestita in ambienti veramente particolare come la Banqueting House, un palazzo pazzesco, affrescato da Tiziano, oppure The Dorchester, uno degli alberghi più famosi di Londra. Il mio evento, lo special project preferito tra tutti, è probabilmente quello per il WWF, organizzato per salvare le tigri e il catalogo correlato Tomorrow’s Tiger.

In cosa consiste questo progetto per le tigri del WWF?

L’idea è nata dall’antica usanza dei monaci tibetani, che meditavano sopra dei tappeti con delle tigri raffigurate, affinché lo spirito dell’animale li proteggesse. Prima la tigre proteggeva l’umanità, adesso è il contrario, l’umanità deve proteggere le tigri, perché il numero degli esemplari è veramente bassissimo. Abbiamo creato questo progetto per il WWF che si chiama Tx2, con l’obiettivo di moltiplicare il numero di tigri per il 2022, che sarà l’anno cinese della Tigre. Abbiamo contattato 10 artisti contemporanei di fama internazionale come, Anish Kapoor, Harland Miller, Raqib Show, Francesco Clemente, e loro hanno preso spunto dagli antichi tappeti tibetani, creando il proprio tappeto, in tiratura limitata di 10 riproduzioni. È stata allestita poi un'esibizione, con l’esposizione dei tappeti antichi dei secoli Quattrocento e Cinquecento, insieme a quelli contemporanei.

Quanto siete riusciti a realizzare con questa raccolta fondi?

Dalla vendita dei tappeti abbiamo abbiamo realizzato 1 milione di pounds, che sarà impiegato per avviare il progetto di ripopolamento. Io non posso dire chi li abbia comprati, ma cantanti famosissimi hanno acquistato l’intera collezione. Per me è stato uno dei miei progetti più belli anche perché nel mondo dell’arte non si guadagna tantissimo, ma si guadagna in molti altri modi: io per esempio ho ricevuto una lettera direttamente dall’amministratore delegato del WWF, ringraziandomi personalmente per averli aiutati. È una soddisfazione che nessun bonus economico può raggiungere.

Puoi raccontarci altri progetti speciali?

Un altro progetto che ho nel cuore è quello con il New York Times, un quotidiano conosciuto per essere il primo tassello che se cade crea il domino effect, l’effetto domino: cioè quando pubblica una storia tutte le altre testate iniziano a seguirla. Abbiamo organizzato l’esposizione di 5 photojournalist, vincitori del premio Pulitzer, che hanno presentato 10 fotografie ciascuno, ognuna con una storia diversa, come la guerra alla droga nelle Filippine, la mortalità infantile in Venezuela, l’arrivo di Obama a Cuba, la fine del Califfato. Abbiamo creato il Muro degli Eroi, The Heroes Wall, mettendo in esposizione una fotografia per autore, come quella di una famosa attrice di Teheran con un padre che per non diventare cieco necessitava di un farmaco statunitense, ma nonostante la sua fama e ricchezza, non lo poteva acquistare, a causa dell’embargo.

Le aste e le esibizioni, in quali ambienti vengono organizzate?

Noi abbiamo degli spazi già segnati per le aste. La galleria in sé viene utilizzata giornalmente per l’esposizione e la vendita di collezioni sempre diverse, un giorno puoi trovare arte cinese, il giorno dopo contemporanea, arte moderna, impressionismo, cambiano continuamente. Sotheby’s, la cui sede storica è in New Bond Street a Londra, è stata fondata nel 1744 ed in 276 anni di storia, per la prima volta, con un mio progetto, le mura sono state usate per un’opera site-specific, concepita esclusivamente per quel luogo. Per Movember, una charity che si occupa della salute dell’uomo sia mentale che fisica, i cui attivisti, nel mese di novembre, non si radono i baffi, famosi artisti della street art, tra cui il celebre The Face, hanno creato graffiti sulle mura di Sotheby’s che sono stati poi disinstallati e donati all’associazione.

Quale altro evento particolare puoi raccontarci?

Un evento pazzesco è stato quando si è parzialmente distrutto il quadro del famoso artista di strada Banksy, noto per odiare il mercato dell’arte e creare opere particolari. Nel 2018, ha consegnato a Sotheby's un quadro sotto falso nome per venderlo, era il soggetto della bambina col palloncino. Durante l’asta, era l’ultimo lotto, quando il battitore ha battuto il quadro, che è stato venduto a un milione di pounds, l’opera ha iniziato lentamente a distruggersi. Tutti siamo stati colti alla sprovvista, lui era in sala, io conosco la sua identità, era davanti a me, ha attivato lui l’opera, schiacciando un pulsante, però il meccanismo si è inceppato e lui è riuscito a scappare. L’evento effimero è stato fermato a metà e la collezionista tedesca che l’ha acquistato è molto fortunata, sia dal punto di vista della collezionista, ma anche nostro, del mercato, perché quel quadro ora se verrà rivenduto sarà il più costoso “quadro che non si è autodistrutto fino in fondo”. Dopo la vendita, abbiamo avuto circa 15 mila persone in due giorni che sono venute a vederlo.

Come fai ad essere sicuro che quello in sala fossa Banksy, noto per avere un’identità sconosciuta?

Il motivo per cui so chi è Banksy è perché ho fatto un'asta di un unico collezionista, per Frank Dunphy, l’inarrestabile business manager di Damien Hirst, artista importantissimo, uno dei più costosi al mondo, che ha fatto l’opera iconica dell’arte britannica degli anni Novanta, uno squalo imbalsamato. Per lui ho fatto la Yellow Ball Auction, che si chiama così per un motivo molto dolce, perché quando Frank ha conosciuto la moglie stava giocando a biliardo e scoccò la palla gialla, che è diventato il simbolo della loro coppia, ritratta in un quadro che gli ha regalato Hirst. Frank, una persona dolcissima, conosce tutti gli artisti noti contemporanei e parlandone si è lasciato sfuggire il vero nome di Banksy.


Ciao, sono Giada. Per quanto riguarda il suo lavoro di sicuro, negli ultimi anni, molto velocemente, sono cambiate molte cose dal punto di vista della comunicazione, specialmente grazie all'avvento di internet. Vorrei sapere se adesso, io che ho 18 anni, riuscirei a fare lo stesso percorso che ha fatto lei o se le cose sono cambiate al punto da creare nuovi percorsi.

È vero che il modello generale cambiato, sia per la tecnologia, che per internet e Instagram, infatti per frequentare una comunità di artisti importante negli anni ‘70 ed all’inizio degli anni ’80 dovevi trasferirti a New York, a fine anni ‘80 e inizio ‘90 dovevi andare a Londra, alla fine degli anni ‘90 dovevi stare stare a Berlino. Ora è tutto online diciamo, il punto di ritrovo è digitale, Instagram e i social network. Per quanto guarda il percorso accademico, se uno vuole iniziare la propria carriera da Sotheby's, sicuramente deve avere un percorso tradizionale perché Sotheby’s è un business molto tradizionale. Quindi devi studiare storia dell'arte, art business e poi avere sicuramente delle qualifiche, perché comunque se vai da Sotheby’s devi diventare uno specialista, che sia in arte contemporanea o cinese o giapponese, quindi comunque il percorso, anche se è vero che ora il mondo è molto improntato sul digitale e molto orientato alle innovazioni, è vero anche che serve quel tipo di studi canonici per poi diventare specialista.

Sono Cecilia, volevo chiederle riguardo all’aspetto personale, se si era programmato già dalle superiori, con così tanta determinazione o se magari c'è stata una guida particolare, un evento, una data che lo ha spinto ad avere idee chiare sul futuro da renderlo subito concreto.

Leggendo il mio curriculum vitae, sembra tutto molto programmato, ma io, come voi, non ho mai avuto le idee chiare, quindi state tranquilli, perché anche io ora come ora non ho le idee chiare, ma la passione per l'arte c'è sempre stata e anche nella famiglia in cui sono cresciuto famiglia. Guardando il CV di una persona che comunque lavora già da un po’ di anni, sembra che tutto sia così super pianificato, ma invece no, non è stato così e non lo è neppure ora, anzi è molto importante avere dubbi, essere curiosi e non aver paura. Io venivo da un background di finanza, quindi mi ricordo che quando ho dovuto fare la tesi, ho deciso di farla su qualcosa che mi interessasse e la cosa che m’interessa è il mercato dell'arte. Ho fatto la tesi con il professore Fiorito, un professore molto bravo che insegna anche alla Columbia University di New York, che mi ha detto che c’era questo master a New York, un po’ complicato, ma che poteva piacermi, in art business. Mi sono informato, una cosa che consiglio è essere sempre molto curiosi e soprattutto non essere mai svogliati, perché comunque di possibilità ce ne sono tante al mondo e quindi non abbiate paura di spostarvi, anche in Corea o a Los Angeles, ci sono tanti modi, tante borse di studio, basta solamente essere capaci, cioè avere voglia di fare. Cercate informazioni, leggete i siti, mandate e-mail, non siate oziosi, sono cose che direi sicuramente, se dovessi dare un consiglio a me più piccolo, al Riccardo diciottenne. Aggiungete persone su LinkedIn, seguite le persone che ammirate sui social, la vostra generazione è anche molto più fortunata della mia, avete la possibilità di contattare chiunque, perché voi vedete online tante persone, influencer, che nel mondo amano viaggiare, la moda, il fashion, l'arte. Cercate di contattarle in tutti i modi e ditegli che vi sono d’ispirazione e come potete fare per fare quello che fanno loro. Eppoi c'è anche una percentuale di fortuna.


Ciao, sono Ludmilla. Aspetto economico, aspetto artistico: quale dei due ti coinvolge di più?

La parte artistica è coinvolgente, perché è molto bella, quando vai in una galleria o scoprì il mondo dell'arte, i vari artisti, la visione e la missione di alcuni, è molto più coinvolgente rispetto alla parte economica. Però ci sono anche alcuni aspetti della parte economica che a me piacciono moltissimo, come per esempio vedere opere che sono state vendute pochi anni prima a 4000 pound, essere poi battute all'asta a 200.000. Questo lato economico, l’investimento, è un qualcosa che è una big drive, cioè una grande spinta, perché è una cosa oggettiva rispetto all'arte, che rimane comunque la parte più interessante. Consiglio infatti a tutti di aggiungere quando siete in giro due orette per andare a visitare un museo, una galleria, di informarvi su quali artisti ci sono nel territorio e magari fare una studio visit, visita allo studio dell’artista, che sono sempre apertissimi e disponibili a mostrare come lavorano e sempre pronti a parlare delle loro opere.

Vorrei chiederti ancora una cosa: hai sempre lavorato con artisti famosi oppure hai anche scoperto talento sconosciuti?

Dal punto di vista del professionale ho lavorato con tutti artisti importanti e famosi, dal punto vista personale ho scovato alcuni talenti. Quando stavo a New York andavamo con i colleghi in università che lavorano con gli artisti per conoscerli ed abbiamo poi esibito le opere di alcuni di loro nelle gallerie newyorkesi. Quando sono andato a Londra ho conosciuto per esempio Melissa Kitty, che ora ha fatto tutta una collezione con Adidas, e di alcuni artisti emergenti, che magari ho conosciuto personalmente, ho anche acquistato qualche opera. Scoprire artisti giovani è la mia più grande passione.

Ci sono scuole d'arte molto famose in America, che alla fine dell’anno organizzano con i propri studenti mostre d’arte, da cui escono molti talenti, perché molti galleristi importanti vanno lì, vedono le opere, parlano con l'artista e decidono se ti vogliono rappresentare oppure ospitare una tua mostra nella loro galleria.

Ti stai costruendo una tua collezione privata?

Ho avuto un consiglio prezioso da una collezionista molto importante di New York che ha avuto delle opere che sono state vendute a 5 o 6 milioni. Il suo consiglio, se si vuole diventare un collezionista, è quello di collezionare ciò che ci appartiene, che per sé stessi abbia un senso e di guardare in giro, verso artisti che parlano di quello che succedendo. Collezionare quello che si sta facendo nel proprio tempo è come collezionare parte della propria storia. Una volta ricevuto quel consiglio desidero solamente conoscere artisti giovani e vedere cosa succede ora nel mondo dell'arte, per immaginare idealmente una mia fondazione che contenga qualcosa che rappresenti come ero e cosa mi succedeva intorno, quando avevo magari 18 o 20 anni. Secondo me è inutile collezionare il passato, collezionare il presente è la cosa più bella.

Vista la componente esclusivamente femminile delle intervistatrici, vorremmo sapere se hai curato progetti dedicati alle donne.

La donna nel mondo dell’arte è stata sempre più rappresentata che artefice ed anche dal punto di vista economico è sempre stata fondamentale: opere che contengono soggetti femminili, specialmente giovani, hanno generalmente un valore maggiore, rispetto ai soggetti maschili. Ci sono state artiste donne pazzesche, ma purtroppo non sono mai state rappresentate degnamente e sono sempre state una percentuale bassissima. Per il progetto UK Friends of the National Museum of Women in the Arts, è stato creato uno spazio espositivo, in cui le artiste donne potessero realmente emergere ed è stato istituito un premio a cui possono partecipare artiste donne da tutto il mondo, cimentandosi ogni anno con un medium diverso. Quell’anno era carta e l’artista che mi è piaciuta di più è stata un’artista francese che ha ricreato un oblio, un buco nero, attraverso pezzettini di carta dipinti. L’esecuzione è stata una vera e propria danza ed a lavoro quasi finito si è mette distesa in meditazione sotto l'opera.

Cosa provi, quando ritorni in Umbria, dopo tutte queste esperienze brillanti?

Da quando ho 15 anni sono fuori casa, ma tornando quest’estate ho riscoperto l’Umbria, una regione meravigliosa. Mi sono fatto il giro dei piccoli borghi, da Norcia alle cascate delle Marmore. Sono molto orgoglioso di essere umbro, ma anche di avere anche un punto di vista esterno ed un po’ come gli americani dico “wow” guardandomi intorno. Ragazzi fate queste gite fuori porta, perché siamo veramente fortunati, la nostra regione è bellissima. Diciamo che l’ambiente artistico non è molto sviluppato, anche se abbiamo l'Accademia e io stesso abito in via della Viola, che viene considerato il quartiere degli artisti. Sicuramente però bisogna sviluppare una comunità artistica più attiva, quindi anche voi studenti del liceo artistico cercate di creare uno spazio espositivo. Ormai siamo tutti collegati attraverso il web e i social media, voi ragazzi avete tutti un background comune e lo stesso potenziale, che siate di Perugia, di New York o di Londra. E avete simili risorse e quindi vanno sfruttate, soprattutto in una città come Perugia che secondo me può dare più spazio agli artisti giovani rispetto a molte altre città.

In questa comunità globale, quanto contano la conoscenza delle lingue straniere e la rete di conoscenze?

Ho scelto di andare a Parigi anche per perfezionare il mio francese, per la mia crescita personale, perché sono proiettato verso il mercato dell'arte ed in Svizzera oggettivamente c'è un bel business, ci sono molti collezionisti importanti, ma oltre all’inglese devi conoscere almeno il francese. L’inglese io la parlo forse meglio dell’italiano e parlarlo fluentemente è veramente fondamentale, nel mondo ormai è basilare e voi siete ancora giovani, studiatelo molto bene, per potervi esprimere e farvi conoscere.

Negli Stati Uniti, ho imparato l’importanza fondamentale del networking. Andate in gallerie, musei alle feste, agli eventi, a conoscere persone, è una cosa importante perché comunque anche io non ho avuto conoscenze pregresse nel mondo dell’arte internazionale, me le sono create da solo e quindi fate come ho fatto io, tutti possono farlo. Però è importante, saper selezionare bene le relazioni con le persone e cercare di crearsi le proprie occasioni che nessuno ti regala. A New York mi ricordo che ogni giovedì con gli amici andavo sempre a una mostra diversa di una galleria diversa e questo è importantissimo perché lì conosci tantissime persone. L’ultima occasione nel mio caso è la gestione di questa collezione romana milionaria, di collezionisti di terza generazione, che come dicevo, intendono lentamente alienarla. Quindi il mio aiuto sta proprio nel sapere chi contattare e come contrattare oppure sapere a quali musei prestare determinati pezzi. La gestione della collezione avviene anche attraverso le conoscenze, quindi fare un buon network di persone è una cosa interessante.

Come è il mondo dell’arte estero, rispetto a quello italiano?

In Italia è un ambiente un po' classista, mente all’estero, soprattutto in America, il mondo dell’arte è molto più stimolante e gli opening, sono realmente aperti a chiunque, trovi dal collezionista super esperto e miliardario fino allo studente e all'artista senza un soldo. Si crea così questa comunità dove ci sono persone legate dalla comune passione per l’arte, non c'è un limite sociale. Se andate a fare università a Milano o Roma sfruttate queste occasioni, frequentate le gallerie.

Qual è l’augurio, la promessa, il messaggio che vuoi lasciare agli studenti del liceo artistico di Perugia?

Noi abbiamo un dono, che è la passione per l'arte ed è un dono meraviglioso. Informatevi, ci sono anche dei documentari fatti benissimo e cioè siate curiosi e mai annoiati perché l'arte vera non annoia mai, questa è la verità, scegliete l’espressione artistica che vi piace di più, ci sono artisti pazzeschi. La passione per l'arte è un dono vero e se coltivato, può dare grandi gioie, anche se non è oggettivamente facile, non voglio farvi credere che sia tutto facile, perché non lo è, però è un mondo che secondo me dà molte più soddisfazioni rispetto ad altri. Se al liceo avete un piano per realizzare concretamente qualche esibizione, a me piacerebbe tantissimo aiutarvi da un punto di vista curatoriale, per me gli artisti più giovani sono i più interessanti, vedere cosa vogliono esprimere i ragazzi nel mondo dell’arte, io amo gli artisti contemporanei.

Grazie non mancheremo di ricontattarti!

E allora, arrivederci Riccardo!


Qualche link per approfondire

https://www.ilpost.it/2018/10/06/banksy-quadro-auto-distrutto/

https://www.artsy.net/artwork/dan-colen-im-gonna-be-sick

https://hypebeast.com/2019/1/anish-kapoor-kiki-smith-rugs-sothebys-fundraising-exhibition-to-save-tigers

https://www.sothebys.com/en/slideshows/artists-unite-to-secure-the-future-of-tigers-in-the-wild

https://www.sothebys.com/it/auctions/2019/wwf-tomorrows-tigers.html

https://www.sothebys.com/en/slideshows/hard-truths-prize-winning-photojournalism-from-the-new-york-times

https://www.sothebys.com/it/auctions/2018/hard-truths-prize-winning-photography.html

https://www.sothebys.com/en/articles/street-artist-d-face-creates-moving-mural-in-aid-of-movember

https://www.youtube.com/watch?v=UxNArPF8cHQ

https://www.sothebys.com/it/auctions/2019/women-to-watch-paper-work-l19994.html

https://www.ukfriendsofnmwa.org/paper-works/

I Consigli di Freddo

"E' molto importante avere dubbi, essere curiosi e non aver paura."

"Negli anni ‘70 ed all’inizio degli anni ’80 dovevi trasferirti a New York, a fine anni ‘80 e inizio ‘90 dovevi andare a Londra, alla fine degli anni ‘90 dovevi stare stare a Berlino. Ora è tutto online diciamo, il punto di ritrovo è digitale, Instagram e i social network. Certamente devi studiare Storia dell'arte, Art business e poi avere sicuramente delle qualifiche.

"Indispensabile parlare l'inglese fluentemente, ma anche conoscere una seconda lingua"

"Anche se è vero che ora il mondo è molto improntato sul digitale e molto orientato alle innovazioni, è vero anche che serve quel tipo di studi canonici per poi diventare specialista".

"Andate in gallerie, musei alle feste, agli eventi, a conoscere persone."

"Dovete parlare l'inglese."

"Cercate informazioni, leggete i siti, mandate e-mail non siate oziosi [...] Aggiungete persone su LinkedIn, seguite le persone che ammirate sui social [...] Cercate di contattarle in tutti i modi e ditegli che vi sono d’ispirazione e come potete fare per fare quello che fanno loro."

"Consiglio a tutti di aggiungere quando siete in giro due orette per andare a visitare un museo, una galleria, di informarvi su quali artisti ci sono nel territorio e magari fare una studio visit, visita allo studio dell’artista."

"Collezionare quello che si sta facendo nel proprio tempo è come collezionare parte della propria storia."

"Sicuramente però, in Umbria, bisogna sviluppare una comunità artistica più attiva, quindi anche voi studenti del Liceo artistico cercate di creare uno spazio espositivo."

"Leggendo il mio CV sembra tutto molto programmato, ma io, come voi, non ho mai avuto le idee chiare, quindi state tranquilli, perché anche io ora come ora non ho le idee chiare, ma la passione per l'arte c'è. La passione per l'arte è un dono vero e se coltivato, può dare grandi gioie, anche se non è oggettivamente facile, non voglio farvi credere che sia tutto facile, perché non lo è, però è un mondo che secondo me dà molte più soddisfazioni rispetto ad altri."

"Se al liceo avete un piano per realizzare concretamente qualche esibizione, a me piacerebbe tantissimo aiutarvi da un punto di vista curatoriale."

Kintsugi. L'arte della riparazione

Fonte: http://kintugi.com

C'è un’arte in grado di mostrarci una via da percorre e affonda le sue radici nella storia, alimentandosi della cura e della pazienza degli artigiani.

E’ l’arte del Kintsugi, termine giapponese che significa “riparare con l’oro”. Questa tecnica inizia a svilupparsi intorno al XV sec. proprio nel Paese del Sol Levante e consiste nel riparare vasellame e stoviglie con l’oro per riportali all’uso originario.

La leggenda tramanda che lo Shogun Ashikaga Yoshimasa (1435-1490), dopo aver rotto la sua preziosa tazza chiese agli artigiani cinesi di ripararla, ma rimasto deluso dal risultato, si rivolse ad abili maestri giapponesi che ripararono l’oggetto usando lacche e oro. Yoshimasa trovò la sua tazza bellissima e valorizzata dall’intervento magistrale.

Oggi questa tecnica è conosciuta in tutto il mondo e diffusa anche in Italia.

Il materiale più prezioso utilizzato dal Kintsukuroi (riparatore) non è però l’oro, ma la lacca urushi, una resina estratta dalla pianta Rhus, presente in Giappone, Cina e sud-est asiatico. Ogni singola pianta deve essere coltivata per dieci lunghi anni per poi essere incisa da profondi tagli orizzontali e rilasciare circa 200 g di preziosa linfa. Alla fine della raccolta, diventate ormai improduttive, le piante vengono abbattute.

La lacca viene usata come collante per unire i pezzi dell’oggetto da riparare che una volta riassemblato viene inserito nel “muro”, un contenitore che garantisce la temperatura e l’umidità adeguate per l’essiccazione.

Successivamente le linee di rottura vengono prima stuccate e poi carteggiate e infine rifinite con lacca urushi rossa a pennello su cui si lascia cadere la polvere d’oro.

L’esaltazione della rottura e la trasformazione dell’imperfezione in unicità è alla base di questa tecnica che ha molto da insegnare al nostro modo occidentale di considerare gli oggetti e potremmo dire le persone.

Una cultura opposta a quella dell’usa e getta che ricava bellezza dalla cura e dalla riparazione.

Un’arte che ci insegna l’accettazione degli eventi, ma non la rassegnazione e ci invita a perseguire con tenacia la nostra singolarità e quella del mondo. Ci esorta a osservare le nostre lacerazioni ad accoglierle e a mostrarle trasformate e ingentilite. Ci insegna l’accoglienza di noi stessi e dell’altro sviluppando un atteggiamento libero dalla schiavitù del perfezionismo e infine ci fa capire l’impermanenza delle cose, rivelando il valore nascosto della fragilità.


Prof.ssa Federica Cardaccia

Le forme dell’aria. Arte e moda attraverso i sensi

Link video della mostra: https://youtu.be/hGnbA-bdeZQ

“Le forme dell’aria. Arte e moda attraverso i sensi”: questo il titolo della mostra - svoltasi dal 4 al 24 ottobre 2020 nella sala Cannoniera della Rocca Paolina - alla quale ha partecipato, oltre ad altri istituti superiori, università, associazioni, artisti e aziende del territorio umbro, il nostro Liceo Artistico “B. di Betto”. La mostra, ideata da Laura Cartocci, Carla Medici, Francesco Minelli e Marco Pareti, in collaborazione con il Comune e la Provincia di Perugia, ha permesso ai visitatori di ammirare un vero e proprio connubio tra arte, moda, poesia e fotografia, intersecati in nome della bellezza etica e dell’estetica verso il superamento dei canoni tradizionali. Il nostro istituto è stato rappresentato da alcuni alunni del quinto anno dell’indirizzo “Design della moda, del tessuto e del costume”, che hanno esposto i propri lavori realizzati con gli origami, elemento della tradizione giapponese.

L’iter progettuale è partito dal concetto di sperimentazione artistica che sconfina i suoi limiti, andando sia oltre l’attività pratica manuale che oltre qualsiasi confine geografico, abbracciando e comprendendo una cultura completamente diversa dalla nostra. È quindi proseguito attraverso fasi distinte: dalla conoscenza di nuove realtà alla riflessione personale su determinati contesti, dal definire un’idea al concretizzarla attraverso l’interazione tra manualità e digitalizzazione.

L’origami è, nella sua fragile complessità, metafora del tempio shintoista ricostruito sempre uguale ogni vent'anni. C’è una grande valenza sacrale in questa arte del piegare la carta, che risulta come una vera e propria resurrezione: la forma viene ricreata, smontata e rimontata, in un eterno ciclo vitale.

Nei lavori esposti questi piccoli pezzi d’arte - triangoli, rombi, peonie, rose, stelle e stilizzazioni di fiori di loto - si sono intrecciati tra di loro, creando texture ed effetti visivi, trasformandosi persino in motivi decorativi per un tessuto stampato, catturando la scena e diventando vere e proprie s-culture."

Nella foto da sinistra:

  • "Dama" di Giulia Ceccarelli

  • "Rosso" di Benedetta Storti

  • "The Virgin" di Guido Fronza

  • "Stelle" di Sarah Dedja

  • "Peonia" di Julia Bottelli

  • "Cleopatra" di Cleo Gamboni

Il Biennio all'opera

Senza perdere la tenerezza: il glossario della pandemia.

a cura della I D

Tutte le epidemie e pandemie che si sono manifestate nel corso dei secoli, sembrano attraversate da una linea culturale che annulla, di volta in volta, la razionalità per innescare e lasciare ampi spazi ad una reazione emotiva e comportamentale, propria dell’uomo, di fronte a fenomeni inspiegabili e incontrollabili...

La paura, l’angoscia, la rassegnazione, come anche la speranza e un disperato ottimismo, sono tutte reazioni psicologiche che trovano una diretta manifestazione nella lingua. Nei giorni in cui la comunicazione e l’informazione è mediata, più che mai, dal web e dalla televisione, ci siamo resi conto della potenza dei media che frequentemente hanno modellato il nostro sentire. I social media, in particolare, ci hanno offerto anche elementi positivi quale la possibilità di uscire dall’isolamento delle nostre case, di essere informati, di rimanere in contatto, lavorare e tener viva la nostra socialità.

La pandemia infatti ha creato una nuova realtà, nuove abitudini, una nuova quotidianità per tutti. Ha anche generato un nuovo universo linguistico nel quale ci siamo trovati immersi: contagio, isolamento, lockdown, mascherine, distanza di sicurezza, asintomatico, vaccini, covid, DPCM, negazionismo, quarantena, smart working, lavoro agile, DAD, DDI, respiratori, classroom... sono tutte parole che sono entrate a far parte della nostra comunicazione quotidiana. Le parole raramente sono una descrizione neutra della realtà: esse sono l’espressione di reazioni emotive, stimolano rimandi ed associazioni di idee, contengono messaggi più o meno espliciti. Ogni evento umano si riflette sulla lingua perché, attraverso la lingua gli uomini prendono coscienza dei fatti, li valutano, li giudicano, ne traggono conseguenze. I fatti lasciano le loro tracce nelle parole, è il caso di dire: le contagiano.

Gli studenti della classe prima D, durante un laboratorio linguistico hanno elaborato in grande gruppo, con le modalità della Didattica Digitale Integrata (DDI) un glossario della pandemia, hanno giocato, studiato, analizzato, elaborato storie, analizzato parole, costruito intrecci, racconti, riflessioni per trasformare, attraverso la parola la loro incredulità in umana tenerezza.

Nel tentativo di dare coralità all’esperienza si riportano solo alcuni frammenti delle scritture elaborate:

“In questo periodo mi pongo sempre la stessa domanda, questa è davvero la realtà in cui sto vivendo?​

Non ho ancora ricevuto una risposta sensata a tutto ciò.

In tanti si chiedono, se tutto questa pandemia sia causata per una questione economica o se è la natura che con la sua forza ha voluto tutto ciò​?

Ci siamo trovati impreparati ad affrontare tutto questo, voglio dire che in una società come la nostra basata sul consumo e sulla produttività, noi esseri umani abituati a svolgere qualsiasi attività in tempi rapidi, a correre inarrestabili dietro le lancette, per lavoro, sport, scuola o qualunque altra cosa, ci siamo fermati di punto in bianco, con delle regole da rispettare, ovvero: non poter più abbracciare un proprio caro o un proprio amico, non poter più vedere i volti delle persone, ​mantenere una distanza, non avere un compagno di banco e sono solo una piccola parte di cose vietate, perciò come possiamo abituarci a tutto questo ​?

Fino un anno fa la vita non era vissuta così, riguardando i vecchi ricordi si ha ​nostalgia ​della​ normalità​. Anche se in passato siamo sempre stati stressati, frenetici, con il desiderio di una pausa da tutto, ma nonostante ciò, siamo riusciti ad andare avanti, ognuno nella propria missione, andando talmente rapidi che spesso abbiamo superato anche noi stessi. Ma nonostante le difficoltà stavamo vivendo una vita​ libera​ rispetto ad ora. Per non parlare di quante volte siamo scappati da situazioni complicate, dai guai, dalle cose in sospeso, con la scusa “non ho tempo”. Invece ora?

La vita ci ha messo alle strette, non possiamo più scappare da noi stessi, è il momento giusto di dare una mano a chi ne ha bisogno, ma in generale a tutti, infatti è da mesi che stiamo lottando contro questo nemico, il ​virus​.

Certo, è odiato da tutti, a molti ha portato via le persone amate, a tutti la ​libertà​ di vivere la propria vita, ma forse sarà un modo di avvicinare nuovamente le persone aiutandosi reciprocamente. Purtroppo il ​quadro epidemiologico​ è diventato instabile con il passare dei mesi, ogni giorno abbiamo migliaia di contagi in tutta Italia. L​’economia​ si sgretola sempre più rapidamente e quindi la domanda è, cosa possiamo fare noi per combatterlo? Gli esperti dicono di rispettare le ​regole​, infatti vengono seguite, ma serve tempo per vedere un calo di contagi​.

In questi ultimi mesi, a causa del Covid, sensazioni ed emozioni come ansia, paura, preoccupazione, noia e stress sono state provate da innumerevoli persone: uomini, donne, anziani, bambini, ragazzi…nessuno è stato risparmiato; ma, più di tutto, abbiamo sperimentato cosa significhi essere privati della libertà. Una libertà fatta di piccole abitudini a cui tempo fa non avremmo prestato particolare attenzione: camminare per strada, abbracciarci, andare a scuola o a trovare parenti ed amici; tutte queste azioni ci apparivano scontate e naturali. Con l’avvento della pandemia, quelle elencate prima, sono solo alcune delle tante abitudini che ci sono state negate, con lo scopo di evitare ulteriori contagi e focolai. Fra autocertificazione, coprifuoco, chiusura dei locali, confini, DAD e distanziamento, l'opprimente sensazione di essere prigionieri della nostra stessa casa, si è fatta sempre più viva. La frase “Andrà tutto bene” è ormai diventata uno slogan di speranza e incoraggiamento;

“Quando però, tutto andrà per il meglio? Quanto ancora c’è da aspettare?”. Queste, purtroppo, sono domande frequenti ma a cui non si è riusciti a dare una risposta, in quanto una cura per il virus non è ancora stata trovata e testata. Nel frattempo però, non è comunque giusto arrendersi o lasciarsi andare alla paura. L’ isolamento può essere pesante, alterare la salute mentale, o intensificare la sensazione di solitudine e abbandono, ma non si è soli in questa situazione! Altre milioni di persone stanno vivendo lo sconvolgimento allo stesso modo, e non è possibile avere contatti

Grazie all'aiuto della tecnologia non ci vengono imposte limitazioni per quanto riguarda effettuare chiamate, fare smart working o didattica a distanza, navigare per i social network, scrivere in chat e usufruire di Classroom; nonostante la connessione non sia sempre delle migliori. Gli stessi balconi delle palazzine sono un punto di ritrovo per scambiare due chiacchiere e offrire supporto reciproco. Quindi, per quanto la situazione possa apparire disperata e irrisolvibile, è necessario non andare nel panico.


“Spero che questo periodo sgradevole passi il prima possibile, almeno tutti sperano così… Penso che le uniche cose che ci potranno aiutare in questo momento siano: la solidarietà, la pazienza, l’empatia, la consapevolezza della situazione che stiamo vivendo, la voglia di andare avanti e di vivere i nostri sogni."

Vorrei trovare la cura,

vorrei donare il vaccino a tutta l’umanità,

vorrei abbracciare tutte le persone che a causa del virus vivono in solitudine

vorrei dare tenerezza e conforto

vorrei ritornare ad incontrare i miei compagni di classe, i miei amici, i miei cugini

vorrei poter vivere.

e continuare a sorridere, anche se sotto una mascherina



Classe 1 D

Natale d'altri tempi, Natale di ogni tempo... Natale diverso

a cura della classe I B

Bruegel il Vecchio, Censimento a Betlemme, 1566 - Museo reale delle belle arti del Belgio di Bruxelles.

Ma insomma!... Come si fa a far lavorare gli elfi, se non possono neanche abbracciarsi? Se per sentirsi devono urlare come dei matti? E devono prendere tremila precauzioni per comprare qualsiasi cosa? Questo virus non sta rendendo per niente facile il lavoro di Babbo Natale A quest’ora i pacchetti sarebbero già completati, invece i poveri elfi devono ancora impacchettarli, scrivere i bigliettini e dividerli per paese. Si spera solo che riescano a finire tutto in tempo ,ma la magia del Natale è completamente distrutta: è tutta basata sullo stare vicini e stare insieme, proprio le due cose che ora non si possono fare. Ma Babbo Natale troverà un modo per fare qualcosa. Ne è sicuro. Finisce la sua cioccolata calda e si avvia verso la posta, ovvero il centro di raccolta di tutte le letterine. è già la mattina della vigilia, eppure ne continuano ad arrivare. Babbo Natale ogni tanto sceglie delle letterine a caso e le legge, giusto così, perché gli fa piacere. Anche oggi dall’enorme mucchio già formatosi, pesca una manciata di lettere. Intanto saluta gli elfi di turno, ovviamente a distanza e con la mascherina. Lui però non la porta la mascherina, proprio non ce la fa con la sua barba enorme, quindi semplicemente sta ancora più attento degli altri.

Ritorna nel suo studio e apre le lettere: la prima è di un bambino giapponese, che sta chiedendo una polaroid, visto che adora fare le foto. La seconda invece è di un ragazzetto americano, il quale gli chiede se gli possa regalare un coltellino svizzero, che gli servi per costruire chissà cosa e vivere chissà quali avventure. La terza invece era di una bambina. La cosa strana era che non chiedeva giocattoli. Anzi, non chiedeva proprio qualcosa per sé. Invece il suo desiderio era per suo fratello, un adolescente: non chiedeva altro se non che lui potesse di nuovo andare a scuola. Babbo Natale rilesse una seconda volta per essere sicuro di aver capito, poi si tolse gli occhialetti tondi e li pulì, solo per rimetterseli subito dopo. Non rientrava nelle sue capacità una cosa del genere soprattutto non se non era il fratello stesso a chiederlo. Ma essendo un adolescente, non l’avrebbe mai fatto. Avrebbe potuto far scomparire tutto, le mascherine, il gel, la paura e le disperazione...se non fosse stato per una stupida clausola. Frustrato lasciò cadere le lettere sulla sua scrivania e si incamminò verso la stalla. Le renne erano pronte, mancavano solo gli elfi.

Finalmente dopo qualche ora era tutto pronto. Gli ultimi regali vennero messi nel grande sacco incantato, in grado di contenerli tutti. Babbo Natale saltò sulla slitta e salutò tutti i suoi aiutanti, poi fece schioccare le fruste e le renne si misero a volare. Gli elfi misero in moto l’orologio del Natale, che fa rallentare il tempo giusto quanto basta per consegnare a tutti ii regali. Babbo Natale iniziò il giro solito, volò sopra l’Asia, poi l’America e l’Africa e infine l’Europa. Mentre sorvolava la Germania gli tornò in mente quella bambina e il suo fratello. Aveva quasi finito, ormai il tempo era tornato alla velocità normale. Non sapeva perché, ma sentiva di doverli andare a trovare. Così fece scendere le renne per l’ennesima volta, accostando accanto alla loro casa. Agganciò la corda sul camino e iniziò lentamente a calarsi. Arrivato in fondo uscì e si ritrovò in un confortevole salotto, con un grande albero di Natale e molte decorazioni in giro. Lasciò vagare il suo sguardo, finché non arrivò sul divano. Lì, mezzo sepolto dalle coperte, con delle cuffie in testa, un telefono in una mano e un controller nell’altra stava il fratello della bambina. Gli occhi di Babbo Natale sfrecciarono istintivamente verso l’orologio accanto al grande schermo: segnava le tre e quarantadue. A quel punto il ragazzo si accorse che un uomo con un costume rosso e una lunga barba era apparso nel suo salotto. Velocemente si tolse le cuffie e appoggiò telefono e controller, poi dal tavolino davanti a lui prese il coltello con cui aveva spalmato la marmellata e lo puntò verso Babbo Natale.

“Chi sei? E perché vai in giro conciato così?” gli chiese mentre la mano gli tremava. Babbo Natale mise a frutto l’unico trucco che conosceva: schioccò le dita e dal soffitto iniziarono a scendere dei fiocchi di neve. Appena arrivavano a terra scomparivano, senza lasciare traccia. L’adolescente abbassò lentamente il braccio. “Allora avevo ragione io…” lo sentì mormorare. Si sedette sul divano e fece segno a Babbo Natale di sedersi accanto a lui. Quest’ultimo si accomodò con calma. Poi il ragazzo riprese la parola:” Sto sognando? Che strano...e se non sto sognando, che sei venuto a fare qui? Mia sorella non ti ha chiesto niente...e neppure io”. Babbo Natale si prese un momento per rispondere:” Invece ha chiesto qualcosa. Ha chiesto che tu potessi andare a scuola di nuovo. Purtroppo non è nelle mie capacità esaudire il desiderio di qualcuno indirettamente. Quindi me lo devi dire tu”. Il ragazzo alzò un sopracciglio, sorpreso:” Cioè dovrei dirti che voglio andare a scuola? adesso non esageriamo!” e scoppiò a ridere per un attimo, poi sembrò ricordarsi che erano le quattro di notte e stava conversando con Babbo Natale sul suo divano. Ma a quanto pare non era stato abbastanza accorto, perché poco dopo comparve sua sorella dietro alla porta.

“Lukas? che è successo?” chiese con la voce impastata. “Niente, Hannah, non ti preoccupare. Vai a dormire.” cercò di scacciarla, ma senza successo. ”Ma c’è Babbo Natale! Ciao!!” e con queste parole si sedette sulla sua gamba, come fanno molti bambini per scattare una foto con un falso Babbo Natale. “Perché sei venuto qui?” Il vecchio le spiegò come stava la situazione, poi si rivolse di nuovo a Lukas, chiedendogli di nuovo di esprimere il suo desiderio. Allora il ragazzo, abbastanza riluttante, prese un pezzetto di carta e una penna e scribacchiò la sua richiesta, poi scrisse sul retro “per Babbo Natale” e gliela porse. Lui la prese e la lesse, e finalmente fu in grado di liberare il mondo dal virus. Tutto grazie ai due fratelli, che avevano dato molta più importanza ai sentimenti altrui e propri che ai beni materiali. Babbo Natale schioccò di nuovo le dita; sembrava che non fosse successo niente, ma l’uomo sorrise comunque: "Dovresti andare a dormire. Domani si va a scuola!” e prima che potesse ribattere si infilò nel camino e lo scalò, per poi arrivare al tetto e salire sulla sua slitta. Intanto Lukas stava prendendo per mano sua sorella, per ricondurla a letto. Poi si buttò anche lui sul materasso, con un sorriso sulle sue labbra. Babbo Natale aprì di nuovo la sua letterina:


Caro Babbo Natale, quest’anno vorrei la libertà per tutti.

Sì, anche la libertà di andare a scuola.

E vorrei che la mia sorellina sia felice.

Grazie, e Buon Natale


Quest’anno vorrei

un Natale come quelli di una volta,

con l’angelo che sulle ali porta

felicità e sorrisi nella bocca!


Vorrei che ci fosse più neve

ma leggera come lo zucchero filato

perché in un paesaggio imbiancato

il mondo fosse più delicato.


Vorrei una stella più scintillante

per portare felicità e

speranza in tutte le case abitate.


Vorrei che il Natale fosse più vivace

con affetto tra le famiglie anche separate.


Vorrei ci fosse molta armonia

come una felice e dolce melodia!


Quest’anno per le feste di Natale

si richiede rigore e attenzione,

ma è soltanto una questione di organizzazione;

si richiede rispetto di regole, permessi e divieti,

ma non per questo dobbiamo esser meno lieti.


Forse per le vie ci saranno meno illuminazioni,

ma non mancherà l’amore nelle nostre abitazioni;

forse in città ci saranno meno addobbi e decori,

ma il Natale non è solo fuori;

forse ci saranno meno concerti e cori,

ma il Natale è nei nostri cuori.


E se fosse un Natale con meno opulenza,

forse ne riscopriremo la vera essenza;

e se di qualche bacio e abbraccio dovremo far a meno,

doniamo a tutti un sorriso pieno;

e se dovremo far a meno di qualche evento o gita,

pensiamo a chi sta lottando per la vita.


Presto finiranno tamponi e quarantene,

torneremo a uscire e stare insieme

e ci vorremo ancora più bene.

Un Natale diverso ci aspetta,

con la neve nei laghi e nei tetti.


Il sapore di cibo, il profumo di festa

quest’anno da soli tutto si festeggia.


Quest’anno il Natale non è più lo stesso

ma l’allegria ormai è allo scoperto.


Con torroni, panettoni e pandori

gli amici e i parenti si fan felici da soli.


La malinconia è vicina,

ma con i regali si scaccia via,


un Natale diverso ma l'allegria

quest’anno non ci porta via.

Affacciamoci in Europa

Il Liceo Artistico “Bernardino di Betto”. Scuola Ambasciatrice del Parlamento Europeo

Prof. Marco Bastianelli


Nell’a.s. 2017-2018, l’allora Preside Francesca Cencetti, appena arrivata a dirigere il nostro Istituto, mi propose di fare da referente per il progetto European Parliament Ambassador School (EPAS). Si tratta di un’iniziativa rivolta alle scuole di tutta Europa, nata nel 2015 su idea del Segretario Generale Klaus Welle e della Direzione Generale Comunicazione del Parlamento Europeo. Lo scopo è di sensibilizzare le giovani generazioni sull’Unione Europea e sul funzionamento delle sue istituzioni.

In termini generali, il progetto EPAS non solo permette di stimolare i giovani a conoscere meglio le tematiche europee, ma migliora anche le competenze sociali e civiche degli alunni, come previsto tra l’altro dalla Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006, attraverso riflessioni su temi di interesse concreto e attuale.

Ho accettato l’incarico di referente con forte motivazione, anche perché sono personalmente un convinto europeista e ritengo che la nascita dell’Unione Europea e del Parlamento Europeo costituiscano uno dei successi politici (ma anche culturali) più importanti dei secoli della modernità.

All’epoca, in Umbria eravamo solo cinque scuole a partecipare e il Liceo Artistico è stata la prima scuola di Perugia. Insieme agli altri quattro referenti delle scuole umbre partecipanti, ho seguito una fondamentale formazione presso la sede dell’Ufficio del Parlamento a Roma. La formazione si è completata con uno stage di tre giorni a Bruxelles, presso la sede del Parlamento Europeo, dove ho avuto modo di approfondire il funzionamento dell’UE e la sua storia, nonché le metodologie didattiche pensate per sviluppare concretamente gli obiettivi del progetto EPAS.

Terminata la formazione, come Senior Ambassador ho proceduto a selezionare 15 studenti, i Junior Ambassador. Con questo gruppo di lavoro abbiamo costruito diverse iniziative rivolte a perseguire concretamente le finalità del progetto all’interno della nostra scuola. In particolare, abbiamo cercato di trovare delle strade per stimolare la conoscenza delle istituzioni europee e le opportunità di studio e lavoro che l’Europa offre ai giovani; ci siamo concentrati soprattutto sull’arte e sui giovani, tentando di agire sulle peculiarità dei nostri indirizzi di studio.

Queste iniziative sono da allora condotte ogni anno nell’ambito di un progetto PCTO (ex alternanza scuola-lavoro), costruito in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Perugia (tutor Prof. Fabio Raspadori).

Tra le iniziative intraprese posso ricordare il concorso d’arte ArtEuropa, che ambisce a costituire la prima collezione scolastica di opere d’arte ispirate a tematiche europee. Ogni anno, inoltre, organizziamo nel mese di maggio una Festa dell’Europa, una giornata di attività ed eventi in cui tentiamo di coinvolgere la comunità scolastica e le associazioni del territorio che lavorano su temi europei. A titolo di esempio, abbiamo avuto importanti collaborazioni con la già citata Università di Perugia, con il Movimento Federalista Europeo, con Italia Camp e con la Europe Direct.

Nel 2019, purtroppo, l’emergenza Covid ha rallentato molte delle iniziative che avevamo programmato.

Per il 2020, è attualmente aperto il progetto PCTO e le studentesse e gli studenti interessati possono già iscriversi per programmare e costruire insieme le attività. Tra le idee proposte, segnalo la realizzazione di una sezione del sito web della scuola dedicata a temi europei e una rubrica europea all’interno del Giornale di Istituto, oltre naturalmente ai già citati concorso ArtEuropa e Festa dell’Europa.

Vorrei concludere ringraziando la nostra nuova Dirigente Rossella Magherini, la quale, appena ha saputo del prestigioso ruolo della nostra scuola come Ambasciatrice del Parlamento Europeo, ne ha accolto subito con slancio e convinzione le finalità.


Per maggiori informazioni: http://www.iodibetto.edu.it/liceo-artistico/european-school-ambassador/

European Parliament Ambassador School 2020-2021