Raffaele Pio Fiumara, 3ALS
A.S. 2024/2025
Per lungo tempo si è ritenuto che la maggior parte della massa dell’universo fosse composta da atomi e molecole. Tuttavia, con il progredire delle osservazioni astronomiche — in particolare lo studio della velocità di rotazione delle galassie — gli scienziati hanno scoperto che questa materia visibile rappresenta solo circa il 4% del totale. Questo ha portato alla formulazione di nuove teorie, tra cui quella dell’esistenza della Materia Oscura — una componente invisibile, ma fondamentale. Pur non potendola osservare direttamente, sappiamo che la Materia Oscura esiste grazie agli effetti gravitazionali, che esercita sulla materia visibile, e che tende a far collassare l’universo attraverso la sua forza gravitazionale. Tuttavia, la sua natura resta ancora sconosciuta. Inoltre, esiste una forza opposta, responsabile dell'espansione sempre più rapida dell’universo: l’Energia Oscura. Essa è stata proposta per spiegare alcune osservazioni che indicano un'accelerazione dell'espansione cosmica, in contrasto con quanto ci si aspettava considerando solo la materia visibile e oscura. Gli scienziati hanno ipotizzato l’esistenza della Materia Oscura, come già accennato, a partire dalle osservazioni delle galassie. Analizzando la rotazione di una singola galassia e applicando la legge di gravitazione universale di Newton — secondo la quale la velocità orbitale di una stella dovrebbe diminuire all’aumentare della distanza dal centro — ci si è accorti che le stelle più periferiche si muovevano molto più velocemente di quanto previsto. L’unica spiegazione plausibile è la presenza di una massa invisibile che esercita un’ulteriore attrazione gravitazionale: la Materia Oscura, che si comporta come la materia ordinaria sotto l’aspetto gravitazionale, ma non emette né luce né radiazioni. Fenomeni simili sono stati osservati anche negli ammassi di galassie, dove le velocità relative tra le galassie risultano fino a quattrocento volte superiori rispetto a quanto previsto dalla sola materia visibile. La provenienza della Materia Oscura è ancora sconosciuta. Una delle ipotesi è che possa derivare da materia ordinaria ma invisibile, come stelle spente, pianeti non luminosi o buchi neri, che emettono una quantità di luce troppo bassa per essere rilevata dai nostri strumenti. Un’altra possibilità è che la Materia Oscura sia composta da particelle ancora sconosciute, molto più pesanti rispetto a quelle che conosciamo. L’Energia Oscura, pur rappresentando circa il 70% dell’intero universo, rimane uno dei più grandi misteri e le sue componenti e forme sono ancora oggetto di studio. Si tratta di un campo poco compreso ma estremamente affascinante, su cui lavora un numero crescente di scienziati in tutto il mondo. Fortunatamente, alcune osservazioni sperimentali possono fornire indizi utili: l’Energia Oscura, infatti, sarebbe responsabile dell’accelerazione dell’espansione dell’universo. Questo effetto può essere individuato osservando sorgenti di luce molto intense e molto lontane dalla Terra, come ad esempio le supernovae lontane. Una domanda che sorge spontanea è: Materia Oscura ed Energia Oscura sono correlate? Per quanto ne sappiamo oggi, la risposta è no. Sarebbe intrigante e conveniente formulare una singola teoria che comprenda entrambi i fenomeni, ma forse non è questo il caso, principalmente a causa della loro opposta azione sull’universo. Sembra che la storia dell’universo dipenda soprattutto dalla quantità complessiva di queste due componenti, ovvero dalla loro natura più intima e fondamentale.
Raffaele Pio Fiumara, 3ALS
A.S. 2024/2025
Le leggi della fisica classica descrivono, in genere, il comportamento della materia su scala macroscopica. Tuttavia, quando si scende sotto una certa soglia dimensionale, queste leggi non sono più valide: in questi casi si parla di fisica quantistica, ovvero lo studio dei fenomeni fisici a livello atomico e subatomico. A queste scale, si lavora con unità di misura estremamente piccole, come il nanometro (nm, un miliardesimo di metro), l’ångström (Å, pari a un decimo di nanometro), o il femtometro (fm, un milionesimo di nanometro). Strettamente legata alla fisica quantistica è la meccanica quantistica, una teoria che descrive matematicamente il comportamento delle particelle subatomiche, come elettroni e fotoni, troppo piccole per essere studiate con i metodi sperimentali tradizionali. Alla base della fisica quantistica — e quindi anche della meccanica quantistica — si trova la Teoria dei Quanti, sviluppata a partire dagli studi di Niels Bohr. Con il suo modello atomico, Bohr propose che gli elettroni orbitano attorno al nucleo su livelli energetici ben definiti (orbite stabili), e che quando un elettrone salta da un’orbita all’altra, assorbe o emette energia sotto forma di luce (fotoni). Questa teoria ha permesso non solo di determinare i livelli energetici degli atomi, ma ha anche aperto la strada, grazie al contributo di fisici successivi, alla comprensione del comportamento ondulatorio degli elettroni, evidente in fenomeni come l’interferenza, cioè la sovrapposizione di due o più onde. In sintesi, la Teoria dei Quanti rappresenta un insieme di leggi che descrivono fenomeni non spiegabili dalla fisica classica, e costituisce il fondamento della moderna fisica quantistica. Tra le caratteristiche fondamentali della fisica quantistica vi è il dualismo onda-particella, secondo cui la materia e la radiazione possono comportarsi sia come onde che come particelle. Questa proprietà ha messo in discussione molte delle teorie precedenti, sviluppate nell’ambito della fisica classica. Partendo da questo principio, Bohr formulò il principio di complementarità, secondo il quale i due aspetti — ondulatorio e corpuscolare — non possono essere osservati simultaneamente nello stesso esperimento. Questa idea contribuì a ridurre il contrasto tra la nuova visione quantistica e la fisica classica. Un altro concetto rivoluzionario rispetto alla fisica precedente è quello di misura. Nella meccanica quantistica, infatti, non ha senso attribuire un valore preciso a una proprietà fisica (come posizione o velocità) se non è stata effettuata un'osservazione diretta. Questo contrasta con quanto previsto dalla meccanica classica, secondo cui conoscendo posizione e velocità di una particella in un dato istante, è possibile determinare con certezza la sua traiettoria passata e futura. In meccanica quantistica, invece, la conoscenza della velocità di una particella in un dato istante non è — in generale — sufficiente a stabilire quale fosse il suo valore nel passato. Un altro principio fondamentale è il principio di indeterminazione, formulato da Werner Heisenberg, che afferma che due grandezze fisiche complementari, come posizione e quantità di moto, non possono essere misurate contemporaneamente con precisione arbitraria. In altre parole, più è precisa la misura di una quantità, meno precisa sarà quella dell’altra. La meccanica quantistica comprende, oltre a questi principi, molte altre teorie che sfidano e ampliano le leggi della fisica classica, offrendo una nuova comprensione del comportamento della materia e dell’energia a livello microscopico. In questi ambiti, la conoscenza sembra non avere confini. Ogni volta che una teoria viene formulata e contestualizzata, ci si ritrova spesso a pensare che, in realtà, non abbiamo scoperto quasi nulla, se non una minuscola parte di tutto ciò che ci circonda.
Come disse Albert Einstein: “Più la teoria dei quanti ha successo, più mi sembra assurda.”
Raffaele Pio Fiumara, 3ALS
A.S. 2024/2025
La ricerca di civiltà extraterrestri si basa fondamentalmente sull’analisi di segnali che potrebbero essere simili a quelli emessi da noi. In effetti, questo approccio è logico, poiché le leggi della fisica scoperte finora sono universali e, di conseguenza, si suppone che le civiltà aliene presenti nel nostro universo possano emettere segnali simili a quelli emessi dalla terra. Tuttavia, bisogna tenere in considerazione la possibilità che queste civiltà abbiano già sviluppato delle tecnologie più avanzate delle nostre. Nel 1964, l'astronomo Nikolai Kardashev propose una scala per classificare le ipotetiche civiltà extraterrestri in base alla loro capacità di gestire e sfruttare l'energia e le risorse del proprio ambiente.
La scala comprende tre tipologie di civiltà:
Tipo I: una civiltà che ha sviluppato pienamente la capacità di gestire e sfruttare al 100% le risorse del proprio pianeta. Ciò include l’uso di combustibili fossili, ma anche di fonti energetiche rinnovabili come l’energia eolica, solare, geotermica, nucleare, oltre alla capacità di utilizzare in modo efficiente tutti i beni offerti dal pianeta stesso.
Tipo II: una civiltà in grado di "conquistare" la propria stella, riuscendo a ricavare energia direttamente da essa. Un esempio ipotetico è l’uso delle sfere di Dyson, megastrutture capaci di catturare l’energia emessa dalla stella.
Tipo III: una civiltà capace di utilizzare l’energia dell’intera galassia, estraendo risorse da pianeti, lune, asteroidi e altri corpi celesti.
Dopo la morte di Kardashev nel 2019, sono state ipotizzate ulteriori tipologie di civiltà, che però si spingono in un ambito ancora troppo fantasioso. Si parla infatti di civiltà di tipo 4, 5, 6, fino addirittura al tipo 10, in cui si ipotizza la possibilità di trascendere lo spazio e il tempo, creare oggetti e luoghi non cosmici o persino manipolare la realtà stessa. La domanda che sorge spontanea è: a quale tipologia appartiene la nostra civiltà? Attualmente siamo classificati come una civiltà di tipo 0,7, non abbiamo ancora raggiunto il livello 1, ma, come affermava lo stesso Kardashev: “Non è un traguardo irraggiungibile, né arrivare ad essere una civiltà di tipo 1, né di tipo 2 o 3, salvo ipotetici imprevisti come la nostra estinzione.” Un recente studio ha stimato che raggiungeremo il livello 1 intorno all’anno 2347, considerando che il nostro progresso energetico avanza di circa l’1% ogni anno. Tuttavia, ulteriori ricerche che tengono conto dei cambiamenti climatici, della gestione e della produzione energetica, hanno portato a posticipare questa previsione di altri 24 anni, spostando la data al 2371. Se un giorno riuscissimo a limitare le crisi economiche e politiche, le guerre e le pandemie, non solo potremmo avanzare nella scala di Kardashev, ma potremmo anche costruire una realtà unitaria, in cui ogni essere umano abbia la possibilità di vivere dignitosamente e felicemente la propria vita.
Raffaele Pio Fiumara, 3ALS
A.S. 2024/2025
Il sistema solare è un sistema planetario formato da vari corpi celesti che ruotano intorno ad una stella, il Sole. Tra le varie tipologie di corpi troviamo: 8 pianeti, 6 pianeti nani (confermati), circa 230 satelliti naturali e un numero imprecisato di comete e asteroidi. Dal punto di vista dinamico, però, è un sistema molto più complesso e ordinato. Infatti, se prendiamo come punto di riferimento il polo nord del Sole, notiamo che tutti i pianeti compiono il loro moto di rivoluzione nello stesso verso (antiorario) e quasi sullo stesso piano, chiamato eclittica, con orbite quasi circolari. Prima di analizzare di cosa è composto, è necessario capire come si è formato. Tra le teorie più accreditate troviamo quella di una nebulosa primordiale, la quale 5 miliardi di anni fa ha iniziato a concentrare la materia al suo interno, aumentando la sua temperatura per poi generare la nostra stella, il Sole. Nonostante gran parte della materia della nebulosa sia stata impiegata nella formazione del Sole, una parte rimanente ha iniziato a ruotare intorno ad esso, andando a formare i vari corpi celesti presenti nel sistema. Nel Sistema Solare è presente un centro, il Sole, e tra tutti i corpi celesti troviamo quelli forse più importanti, i pianeti. Essi sono corpi celesti incapaci di produrre energia tramite la fusione nucleare e l’IAU (Unione Astronomica Internazionale) ha stabilito dei parametri precisi tramite i quali un corpo celeste si può definire un pianeta, ovvero:
Il corpo celeste deve orbitare attorno ad una stella;
Deve avere una massa sufficiente affinché la forza di gravità gli conferisca una forma approssimativamente sferica;
La forza gravitazionale deve aver liberato la regione che circonda l’orbita del pianeta, cioè attorno al pianeta non ci devono essere altri corpi celesti di dimensioni uguali o superiori.
I pianeti del Sistema Solare sono 8 e, in ordine di distanza dal Sole, sono: Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Essi sono divisi in due gruppi: la parte interna del sistema solare, che contiene i cosiddetti 'pianeti rocciosi o tellurici' (i primi 4), costituiti da materiali più pesanti, e la parte esterna, separata dalla prima da una fascia di asteroidi, che comprende due giganti gassosi (Giove e Saturno) e due giganti ghiacciati (Urano e Nettuno), composti da materiali più leggeri. Oltre a questa divisione, esistono anche caratteristiche che differenziano i pianeti, come la presenza e la composizione dell'atmosfera o i moti di rivoluzione e rotazione. I pianeti rocciosi o tellurici hanno un diametro che non supera i 15.000 km e una densità piuttosto alta. Il loro nucleo è di tipo ferroso, mentre il mantello è basaltico. Rispetto ai giganti gassosi, questi pianeti hanno un moto di rivoluzione più veloce e un moto di rotazione più lento, come spiegato dalla seconda e dalla terza legge di Keplero. Ad esempio, Marte ha un moto di rotazione che dura 24 ore e 37 minuti, mentre impiega 687 giorni per compiere un giro intorno al Sole. I pianeti rocciosi sono:
Il più piccolo di tutti, Mercurio;
La sorella della Terra, Venere;
La nostra amata Terra;
Il tanto studiato Marte.
I pianeti giganti, a differenza dei pianeti rocciosi, hanno un diametro che supera i 50.000 km e una densità molto bassa. Si dividono in pianeti gassosi (Giove e Saturno) e pianeti ghiacciati (Urano e Nettuno). I pianeti gassosi presentano un nucleo roccioso e un mantello liquido, ricoperto da uno strato di gas, mentre i pianeti ghiacciati hanno anch'essi un nucleo roccioso, ma sono ricoperti da ghiaccio e circondati da un'atmosfera. Al contrario dei pianeti rocciosi, i pianeti giganti hanno un moto di rivoluzione più lento e un moto di rotazione più veloce: per esempio, Urano impiega circa 17 ore per compiere un giro su se stesso, mentre il suo moto di rivoluzione dura circa 84 anni terrestri. Il tanto discusso Plutone è stato considerato un pianeta fino al 2006, quando l'IAU lo ha classificato come pianeta nano, poiché non soddisfaceva i parametri stabiliti dalla stessa Unione Astronomica Internazionale. Infatti, nonostante si trovi nella seconda parte del sistema solare, quella dei giganti, Plutone ha dimensioni molto ridotte, è di tipo roccioso e non ha un'orbita 'pulita'. Oltre ai grandi corpi, nel sistema solare troviamo anche i corpi minori, come asteroidi, comete e satelliti.
Gli asteroidi sono piccoli oggetti rocciosi che variano da pochi centimetri a circa 1.000 km di diametro e si trovano principalmente nella 'fascia principale', tra Marte e Giove. Nonostante il numero elevato di asteroidi, se un giorno decidessero di unirsi tutti insieme, non riuscirebbero a formare nemmeno un pianeta di piccole dimensioni.
Le comete, invece, sono corpi molto distanti dal Sole, composti da roccia e ghiaccio, e non superano i 10.000 km di diametro. Sono famose grazie alla loro chioma: quando passano vicino al Sole, il ghiaccio e i gas vaporizzano, creando un alone quasi sferico chiamato chioma, che viene spinto dal vento solare in direzione opposta al Sole.
I satelliti sono corpi che non orbitano intorno alle stelle, ma intorno ad altri corpi celesti, come i pianeti. Alcuni esempi di satelliti sono: la Luna, l'unico satellite naturale della Terra, Titano e Encelado, due dei tanti satelliti di Saturno, e Fobos e Deimos, satelliti di Marte. Tutti i pianeti del sistema solare presentano satelliti naturali, tranne Mercurio e Venere.
Il nostro non è l’unico sistema solare in tutto l’universo, ma è molto prezioso poiché tra i vari pianeti è presente la nostra Terra. Ancora non sappiamo se esistano altre forme di vita in altri sistemi planetari, ma stiamo facendo progressi nella ricerca di altri pianeti che possano ospitare non solo vita extraterrestre, ma anche la vita umana.
Raffaele Pio Fiumara, 3ALS
A.S. 2024/2025
Le stelle sono uno dei corpi celesti più diffusi in tutto l’universo e si distinguono dai pianeti poiché brillano di luce propria e hanno una propria energia. Le stelle che riusciamo a vedere ad occhio nudo dalla Terra sono circa 6000 e ci appaiono come punti più o meno luminosi in base alla loro grandezza, al loro colore e alla loro temperatura. Con il passare del tempo, infatti, dalla semplice osservazione a occhio nudo siamo passati gradualmente a strumenti sempre più efficienti, che ci hanno permesso di conoscerne le caratteristiche più particolari, tra cui la massa, la temperatura, la composizione chimica e molte altre. Grazie a queste informazioni, abbiamo catalogato le stelle in modo tale da capirne il loro ruolo nell’universo. La formazione delle stelle avviene all'interno delle nebulose, ammassi di gas e polveri a bassa temperatura, in cui è presente un equilibrio che impedisce loro di collassare. Tuttavia, quando una parte della nebulosa diventa più densa, la nube si contrae su se stessa, formando:
Le stelle di piccola massa,
Le stelle più massicce, che si formano allo stesso modo, ma il collasso è provocato da fattori esterni, come la pressione esercitata dai materiali espulsi durante la morte di un’altra stella.
Questa forza gravitazionale che fa collassare la materia su se stessa dà origine a una protostella. Il collasso continua finché la protostella non raggiunge una temperatura tale da innescare la fusione nucleare. Se però la quantità di materia iniziale è ridotta, il collasso tende a fermarsi, formando una nana bianca. Nel caso in cui venga raggiunta la temperatura sufficiente, nella prima grande fase della vita di una stella, il carburante principale è l’idrogeno, che si fonde per formare un atomo più pesante, l’elio. Quando tutto l’idrogeno si trasforma in elio, la stella inizia a collassare ulteriormente, fino a raggiungere la temperatura necessaria per innescare nuove reazioni nucleari che trasformano l’elio in carbonio. Una volta esaurite queste ultime reazioni, il carburante finisce e ha inizio il processo di morte della stella. Le stelle, però, non sono tutte uguali: variano infatti in base alla temperatura, assumendo colori e luminosità diversi. All’aumentare della temperatura, infatti, la radiazione luminosa cambia, facendo assumere alle stelle colorazioni che vanno dal rosso al blu. Questo ci ha permesso di suddividere le stelle in classi spettrali e di comprendere il loro stato evolutivo, grazie agli studi di famosi astronomi come Hertzsprung e Russell, che crearono il diagramma H-R.
L’osservazione delle stelle è una pratica che risale alle prime popolazioni che abitavano sulla Terra. Infatti, i nomi associati alle stelle sono di origine araba, greca o latina. Le stelle che appartengono a una costellazione possono essere indicate con il nome della costellazione, seguito dalle lettere dell’alfabeto greco in base alla loro luminosità. Ad esempio, Alpha Tauri è la stella più luminosa della costellazione del Toro, mentre Beta Tauri è la seconda più luminosa, e così via. Gli antichi, però, non disponevano degli strumenti necessari per definire tutte le caratteristiche delle stelle che conosciamo oggi, quindi le classificavano in base alla loro luminosità. Da qui nasce il concetto di magnitudine apparente, che indica quanto una stella appare luminosa dalla Terra. La magnitudine assoluta, invece, si riferisce alla luminosità reale della stella, misurata a una distanza di 10 parsec dalla Terra (un parsec è un'unità di misura della distanza in astronomia). Infine, come già detto, la morte della stella avviene quando essa esaurisce la capacità di trasformare gli atomi di elio in carbonio, dando luogo a due scenari possibili:
Se la stella ha una massa medio-piccola, essa diventa una gigante rossa, si raffredda e espelle gli strati più esterni, formando una nebulosa planetaria. Successivamente, la stella evolve in una nana bianca.
Se la stella ha una massa molto grande, dopo essere diventata una gigante rossa, esplode in una supernova, per poi trasformarsi in una stella di neutroni (pulsar) o, nel caso di una massa estremamente grande, in un buco nero.
Le stelle sono corpi celesti che hanno sempre accompagnato la vita di tutti gli esseri viventi sulla Terra. Alcune popolazioni le identificavano come divinità o le usavano come punti di riferimento per orientarsi in spedizioni sia marittime che terrestri. Spesso, però, non riflettiamo abbastanza su quanto siano fondamentali, specialmente la nostra stella, che è stata e continuerà a essere, per molti anni, la fonte della nostra VITA.
Raffaele Pio Fiumara, 3ALS
A.S. 2024/2025
Prima di andare ad analizzare questi straordinari e magnifici abitanti dell'universo, è importante precisare che siamo certi della presenza dei buchi neri nello spazio, anche se non sono mai stati 'visti', poiché non emettono alcun tipo di luce. Le poche immagini disponibili mostrano la materia che circonda il buco nero prima di essere catturata al suo interno, la quale, a causa della forza gravitazionale che agisce su di essa, forma una struttura visibile chiamata 'disco di accrescimento'. Poiché i buchi neri non emettono radiazioni, possono essere studiati in modo più approfondito attraverso concetti matematici e fisici, cercando di rappresentarli nel modo più realistico possibile.
Il buco nero è uno dei corpi celesti più affascinanti del nostro universo, probabilmente per la sua misteriosità, ma anche per la sua maestosità e potenza. È il risultato della morte di stelle di grande massa: quando esse esauriscono il loro combustibile (prima l'idrogeno, poi l'elio e, nelle fasi finali, il carbonio) e quindi le reazioni nucleari che le alimentano cessano, la pressione interna diminuisce mentre la forza gravitazionale (quella che attrae due corpi) aumenta, causando:
Il collasso della stella;
Il restringimento esponenziale del suo diametro;
Una forza gravitazionale talmente alta da attirare a sé tutto ciò che si trova attorno ad esso.
Il limite del buco nero è chiamato orizzonte degli eventi, proprio perché tutto ciò che accade al suo interno non ha alcuna influenza sull'esterno e impedisce a qualsiasi cosa che entri in contatto con esso – sia essa materia o luce – di fuggire. In altre parole, tutto può entrare, ma nulla può uscire. È proprio da questa caratteristica che deriva il suo nome, poiché si tratta letteralmente di 'buchi nello spazio-tempo' da cui nulla può sfuggire.
Non esiste una sola tipologia di buchi neri; infatti, essi vengono classificati in base alla loro massa in:
Stellari;
Supermassicci;
Di massa intermedia;
Micro buchi neri;
Buchi neri a collasso diretto.
1) I buchi neri stellari sono alla base di tutte le altre tipologie e caratterizzati da:
Massa, circa trenta volte superiore a quella solare;
Carica elettrica, colei che va a formare il campo magnetico;
Momento angolare, l’invarianza del corpo (in questo caso il buco nero) alla rotazione spaziale.
Infatti, sono quelli che si formano a seguito del collasso di una stella massiccia alla fine della sua evoluzione, dando origine, in fasi temporanee, o a una supernova (esplosione stellare) o a dei lampi di raggi gamma.
2) I «supermassicci», come suggerisce il nome, sono i tipi di buchi neri più grandi mai scoperti. Al momento non sappiamo se esistano corpi celesti con una massa maggiore di questi, ma siamo a conoscenza del fatto che:
La loro massa è milioni di volte superiore a quella del Sole;
La densità media è inferiore a quella dell’acqua.
Dopo numerosi studi, si è giunti alla conclusione che i buchi neri supermassicci si trovano al centro della maggior parte delle galassie. Anche al centro della nostra Via Lattea è presente un buco nero supermassiccio, a cui è stato attribuito il nome di Sagittarius A*.
3) I buchi neri di massa intermedia sono quelli che si trovano al centro di ammassi stellari e hanno una massa decisamente inferiore rispetto a quella dei buchi neri supermassicci. La loro formazione è ancora incerta, ma si pensa che possa essere derivata da:
Un collasso di una stella di grandi dimensioni;
Lo scontro di due stelle massicce.
Entrambe le ipotesi si verificano sempre all’interno degli ammassi stellari.
I micro buchi neri sono quelli con una massa simile a quella del Sole. Sono particolarmente interessanti perché tendono ad evaporare rapidamente a causa della loro 'piccola' massa, provocando l'emissione di particelle elementari durante una rapida esplosione.
Uno degli studiosi più importanti sui micro buchi neri fu il celebre fisico teorico Stephen Hawking. Egli teorizzò che l'energia irradiata improvvisamente durante l'esplosione di un micro buco nero, nota come radiazione di Hawking, potrebbe generare un 'wormhole', un tipo di portale che collega due punti distanti dell'universo, e che non continuerebbe a evaporare nel tempo. Questa teoria potrebbe spiegare la formazione di buchi neri nell'universo primordiale e offrire una possibile soluzione al mistero della materia oscura.
5) Infine, i buchi neri a collasso diretto: non siamo certi della loro esistenza, ma si ipotizza che siano di origine molto antica, risalente a quando l'universo era ancora giovane e la materia più concentrata. Si ritiene che possano essere originati da un collasso diretto di nubi di gas e polveri. L'incertezza sull'origine di questi buchi neri è dovuta a due principali motivi:
La loro caratteristica di essere estremamente massicci in un'epoca precoce rispetto alla nascita dell'universo;
La difficoltà di ricondurli a una possibile fusione di due buchi neri.
Ci sono ancora molti dubbi, non solo sui buchi neri, ma anche sull'intero universo: da come è iniziato tutto alla domanda finale, 'Come finirà tutto?'
Abbiamo visto che, per quanto riguarda i buchi neri, gran parte delle teorie è ancora in fase di studio e probabilmente lo rimarrà per molto tempo, almeno finché noi esseri umani non riusciremo a sviluppare una tecnologia sufficientemente avanzata da poter decifrare con maggiore facilità tutto ciò che ci circonda.
Raffaele Pio Fiumara, 3ALS
A.S. 2024/2025
Tutto quello che ci circonda è formato da materia, essa è a sua volta costituita da molecole composte da atomi. Il termine atomo deriva dal greco àtomos - non divisibile - formato da particelle (neutroni, protoni ed elettroni), ma anche da altre piccolissime particelle interne a quelle principali e alcune di esse composte da particelle ancora più piccole. Gli atomi in realtà sono divisibili ed esistono luoghi in cui gli scienziati studiano come dividerli. Uno di questi è il CERN - Centro Europeo per la Ricerca Nucleare di Ginevra- dove sono presenti grandissimi macchinari, come gli acceleratori di particelle, che hanno il compito di accelerare pacchetti di esse (non sono singole particelle altrimenti lo scontro sarebbe impossibile) e farli scontrare fra di loro in modo tale da creare una collisione e poterne studiare le reazioni.
Tutto ha inizio nel 1954 quando, dopo la Seconda guerra mondiale, alcuni fisici europei si riuniscono in Svizzera, scelta per la sua neutralità, senza intenzioni militari ma puramente per dedicarsi alla ricerca collettiva. Nel 1957 costruiscono, nonostante le tecnologie limitate di quel tempo, il primo acceleratore di particelle, composto da:
-un grande magnete, capace di creare un campo gravitazionale sufficiente a far compiere ai pacchetti un diametro grandissimo e aumentare gradualmente la loro velocità;
-un tubo di accelerazione, dove i pacchetti avrebbero subito una deviazione e si sarebbero scontrati;
-un luogo di collisione, in cui sarebbero avvenuti gli scontri e le reazioni sarebbero state studiate dagli scienziati.
Da qui sorgeva un problema: per vedere più scontri, bisognava automaticamente avere una velocità maggiore e di conseguenza degli strumenti più grandi. Così con il tempo gli scienziati iniziarono a costruire degli apparecchi fino ad arrivare a quello dei giorni nostri, l’LHC (Large Hadron Collider), con un diametro di 27 Km, che non è l’unico. Infatti, quasi tutti i vecchi acceleratori non sono stati buttati, ma riciclati e il percorso compiuto attualmente dalle particelle passa per alcuni acceleratori costruiti dal 1959 fino ad arrivare all’LHC, dove le particelle si dividono in due fasci, uno che gira in senso orario e un altro in senso antiorario, per poi scontrarsi. La velocità dei pacchetti di particelle è prossima alla velocità della luce e l’aumento della velocità è dato dalle "cavità a radiofrequenza" che danno una piccola spinta ogni volta che passano i pacchetti.
L’LHC si trova a 100 metri sotto la terra per tre motivi precisi:
-scientifico, l’esperimento non è intaccato dai raggi cosmici;
-tecnico, c’è bisogno di uno strato di terra compatto e stabile che attutisca;
-politico, sia dal punto di vista di spazio occupato, sia per il fatto che al di sopra dell’esperimento possono essere costruite tranquillamente abitazioni.
Ma perché viene fatto tutto questo? Fondamentalmente per capire da dove siamo arrivati, di cosa siamo fatti, ma anche dove siamo diretti e non solo, perché macchinari di questo tipo molto più piccoli sono presenti in strumenti che combattono malattie come il cancro. La fisica ed esperimenti del genere sono di grande aiuto. Alcune delle collisioni che vengono sperimentate simulano gli istanti subito dopo il Big Bang, circa 14 miliardi di anni fa, ma la cosa più affascinante è quanto uno strumento così imponente possa servire per analizzare delle cose infinitamente piccole, alcune addirittura prive di massa.