Aurora Tino, 4BLL
A.S. 2024/2025
Quando si parla di moda italiana, un nome spicca su tutti: Giorgio Armani. Nato a Piacenza nel 1934, Armani è considerato il re dell’eleganza e uno degli stilisti più influenti di tutti i tempi.
Il suo stile è inconfondibile: linee pulite, colori neutri, tessuti di qualità e una raffinatezza che non passa mai di moda. Ha rivoluzionato il modo di vestire negli anni ’80, inventando il famoso ‘‘power suit’’, l’abito elegante ma comodo, indossato da uomini d’affari, manager e celebrità di tutto il mondo. Grazie alla sua visione, ha portato la moda maschile a un nuovo livello di comfort, senza rinunciare alla classe.
Ma Armani non è solo un marchio: è un impero. Oggi il brand comprende abbigliamento, accessori, profumi, arredamento, ristoranti e persino hotel di lusso. Un’evoluzione incredibile per un ragazzo che, da giovane, voleva fare il medico!
Nonostante la fama mondiale, Armani è sempre rimasto fedele a una visione: la moda deve essere al servizio delle persone, non il contrario. Per lui, vestirsi bene non significa seguire le mode, ma esprimere sé stessi con eleganza e semplicità. Ha creato un mondo in cui l’abbigliamento non è solo un oggetto, ma un modo per raccontare chi siamo.
Giorgio Armani è uno dei pochi stilisti a non aver mai venduto la sua azienda a grandi gruppi industriali, mantenendo il controllo totale sul proprio marchio e garantendo la sua visione autentica. Questo lo ha reso una figura unica nel panorama della moda mondiale, dove molti altri stilisti hanno scelto di cedere alle pressioni dei grandi conglomerati.
Nel corso della sua carriera, ha vestito alcune delle star più celebri del mondo, come Beyoncé, Leonardo DiCaprio, e persino atleti alle Olimpiadi, sottolineando la sua capacità di adattarsi a diversi contesti e di valorizzare ogni personalità con i suoi abiti. La sua visione non si limita solo alla moda, ma si estende anche all'arte e al design: è infatti un grande amante del minimalismo, che si riflette in ogni sua creazione. L’estetica pulita e raffinata, senza troppi fronzoli, è uno degli elementi distintivi del suo stile.
Nonostante il suo successo planetario, Armani ha sempre evitato gli eccessi dello show business e preferisce una vita più riservata. La sua discrezione è una delle sue caratteristiche più apprezzate, insieme alla capacità di restare fedele a se stesso, lontano dalle luci della ribalta.
"L’eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare."
Giorgio Armani non ha solo creato abiti, ha costruito un’idea di stile che mette al centro la persona. La sua carriera ci insegna che l’eleganza non è semplicemente una questione di abiti lussuosi o tendenze da seguire, ma di autenticità e di conoscenza di sé. È la prova che l’eleganza non significa apparire, ma sapere chi siamo e vivere in armonia con la nostra individualità.
Elisabetta Macrì, 5ALS
A.S. 2024/2025
Sylwia Szymczyk è una donna che ha deciso di rivoluzionare il mondo della moda. Ha iniziato la sua carriera come sarta e modellista ma il suo vero sogno era molto più grande: usare la tecnologia per cambiare un’industria che oggi è spesso lenta,costosa e poco sostenibile. Con oltre 15 anni di esperienza in aziende come Armani, Max Mara e Timberland, ha unito la conoscenza pratica della sartoria con le tecnologie più avanzate per trasformare il modo in cui la moda viene ideata e prodotta. Nel 2024 ha fondato Fashionista.ai, una piattaforma innovativa che permette a chiunque di creare e lanciare la propria collezione di moda utilizzando l’intelligenza artificiale. Un’AI che produce on demand, senza sprechi. E non ha più bisogno delle modelle. Questo strumento riduce drasticamente i tempi e i costi di sviluppo, rendendo il processo creativo accessibile e sostenibile. Durante la Milano Fashion Week, ha dimostrato come l’IA possa generare modelli digitali pronti per la produzione, rivoluzionando il concetto stesso di collezione. Il suo obiettivo è quindi “rivoluzionare il sistema moda”, come ha affermato lei stessa, eliminando sprechi e sovrapproduzione grazie all’uso dell’intelligenza artificiale e del design 3D. Pertanto, la storia di Sylwia ci insegna che, con coraggio, competenza e passione, si può cambiare anche un’industria complessa come quella della moda e ci ricorda che il futuro è nelle mani di chi ha il coraggio di immaginarlo diverso.
“L’unico modo per sopravvivere all’evoluzione è evolversi. Usare la tecnologia come strumento ci dà un superpotere.” (Sylwia Szymczyk)
Elisabetta Macrì, 5ALS
A.S. 2024/2025
La moda sta attraversando una profonda trasformazione con l’ascesa dell’abbigliamento genderless, espressione di un movimento sociale più ampio verso l’inclusività e l’uguaglianza. Questa rivoluzione sta cambiando il modo in cui concepiamo e indossiamo i vestiti: blazer e completi, un tempo considerati elementi distintivi di guardaroba legati al genere, vengono oggi reinventati come capi versatili e unisex, capaci di superare le norme tradizionali. Negli ultimi anni, numerosi brand — dall’alta moda al fast fashion — hanno iniziato a proporre collezioni unisex, in cui abiti, accessori e calzature sono progettati per adattarsi a ogni corpo, indipendentemente dal genere. Il termine “genderless” viene spesso utilizzato per definire linee di abbigliamento che non fanno distinzioni nelle taglie o nei modelli, rendendo la moda più inclusiva e accessibile. Questo approccio innovativo va al di là delle tradizionali categorie di genere, permettendo agli individui di esprimere liberamente la propria identità, senza essere vincolati da norme ormai superate. Molte celebrità e influencer di tutto il mondo, come Harry Styles o Billie Eilish, hanno avuto un ruolo fondamentale nel rendere popolare questa tendenza. La loro scelta di indossare abiti che sfidano le convenzioni di genere ha ispirato milioni di giovani a fare lo stesso, rompendo i tradizionali schemi estetici e abbracciando un’idea di bellezza tanto variabile quanto unica. La moda genderless non riguarda soltanto l’abbigliamento, ma riflette un cambiamento più ampio nei valori sociali: promuove la libertà, la parità e la possibilità di sentirsi bene con sé stessi, senza dover aderire a stereotipi di genere. Questa evoluzione rappresenta un passo importante verso una moda più inclusiva, che non solo interpreta, ma sostiene l’evoluzione della società moderna.
Miriam Rullo, 3ALS
A.S. 2024/2025
Kylie Jenner, nata il 10 agosto 1997 a Los Angeles, è la figlia più giovane di Kris Jenner e Caitlyn Jenner, nonché membro della famosa famiglia Kardashian-Jenner. Fin da bambina è sempre stata sotto i riflettori grazie al reality show “Keeping Up with the Kardashians”, che ha documentato la vita della sua famiglia dal 2007 al 2021. Kylie si è fatta notare inizialmente come modella e influencer sui social media, dove ha conquistato un vasto seguito di fan. Tuttavia, il suo vero successo imprenditoriale è arrivato con il lancio della sua linea di cosmetici. Nel 2015 Kylie ha fondato Kylie Cosmetics e il primo prodotto, il “Lip Kit” — un set composto da matita labbra e rossetto liquido — è andato esaurito in pochi minuti. Il grande interesse per i suoi prodotti è stato alimentato anche dal “Kylie Lip Challenge”, una sfida virale in cui si cercava di imitare il suo look con labbra voluminose. In seguito al successo dei Lip Kit, Kylie ha ampliato la sua linea includendo ombretti, illuminanti, blush e fondotinta. Dopo il lancio del suo marchio di make-up, che ha riscosso molto successo, l’imprenditrice ha presentato "KYLIE SKIN", una linea di prodotti pensati per la cura quotidiana di tutti i tipi di pelle. Oltre al settore cosmetico, Kylie è attiva anche nel mondo della moda: ha collaborato con la sorella Kendall Jenner alla creazione del brand Kendall + Kylie e continua a essere una delle celebrità più influenti sui social media.
Lucrezia Corrado e Giuseppe Sestito, 3ALS
A.S. 2024/2025
Il brand Versace nasce nel 1978 dall'idea creativa dello stilista italiano Giovanni Maria Versace di combinare lusso e tradizione, dando vita a una maison iconica in tutto il mondo. Gianni era appassionato di mitologia greca, infatti il simbolo più rappresentativo del brand è la testa di Medusa, che con la sua storia tragica incarna forza e eterna bellezza. Con l’uscita della prima collezione di Versace, il brand conquista subito l’attenzione delle celebrità: icone come Jennifer Lopez, Beyoncé e Lady Diana rimangono affascinate dalle stampe barocche e dall’eleganza delle creazioni, contribuendo a promuoverne il successo. Da quel momento, Versace si espande in diversi settori, tra cui profumi, accessori, calzature, fino a creare una collezione dedicata agli articoli per la casa. Nel 1997, Gianni Versace, ormai celebre in tutto il mondo, viene ucciso con due colpi di pistola nella sua villa a Miami, per motivi ancora ignoti. L’eredità del brand passa allora alla sorella, Donatella. Donatella Versace non aveva una preparazione tecnica e aveva iniziato a disegnare le collezioni per la linea giovanile da soli due anni: all’epoca, nessuno pensava che ce l’avrebbe fatta. Tuttavia, tre mesi dopo la morte di Gianni, disegnò la sua prima collezione che presentò all’hotel Ritz di Parigi, l’ultimo posto dove lo aveva incontrato. Il brand attraversò un periodo di crisi e contrazione, accumulando debiti. Il vero cambiamento arrivò solo nel 2016, quando Donatella decise di uscire dalla “comfort zone” rappresentata dalla pinacoteca stilistica di Gianni, dopo quasi vent’anni di riproposizioni. Le letture più significative dell’opera di Gianni Versace sono quelle che ne hanno messo in luce la capacità di andare oltre la seduzione a senso unico per la bellezza dei tempi andati. Allo stesso modo, le migliori interpretazioni del lavoro di Donatella Versace sono quelle che ne hanno evidenziato l’orientamento sex-positive, femminista e inclusivo, ispirato all’eccesso e alla sua passione per la musica. Di Versace si può dire con certezza che sia un’icona pop e anche chi non si intende di moda saprebbe riconoscerla: abbronzatissima, magrissima, con lunghi capelli platino. Questa estetica si riflette nelle sue collezioni, caratterizzate da colori vividi e teste di Medusa. Il 13 marzo 2025, Donatella Versace ha lasciato la direzione creativa dell’azienda di moda dopo 27 anni e ha scelto come suo successore Dario Vitale, ex direttore del design e dell’immagine di Miu Miu.
Giorgia Donato e Nicoletta Donato, 3ALS
A.S. 2024/2025
Negli anni 2000, un nome ha segnato profondamente un’intera epoca di cultura pop e moda: Paris Hilton. Un’icona che ha rivoluzionato il concetto stesso di celebrità, contribuendo in modo determinante alla nascita della cultura dei reality show e al fenomeno dei paparazzi. Ereditiera di una delle famiglie più ricche d’America, Paris è diventata il simbolo di un periodo che ha visto nascere nuove forme di celebrità, unendo il mondo dell'alta società con quello del glamour, della fama e, soprattutto, della notorietà ottenuta attraverso i media. La sua carriera è iniziata come socialite di New York, ma il suo ingresso nell'industria dello spettacolo è stato segnato dal suo debutto nel reality show “The Simple Life" (2003), che l'ha vista al fianco della sua migliore amica e complice, Nicole Richie. Il programma, che documentava la vita di Paris e Nicole mentre si adattavano a uno stile di vita più semplice in piccole città americane, ha avuto un impatto immediato e duraturo sulla cultura popolare. Da quel momento, Paris Hilton non era più solo un'ereditiera, pronipote del famoso fondatore della catena di hotel Hilton: era diventata una star di prima grandezza, con milioni di fan e altrettanti detrattori. Paris ha incarnato il “look" degli anni 2000: capelli biondi, pelle abbronzata, borse di marca, occhiali da sole oversize e un'inconfondibile attitudine da diva. La sua immagine era ovunque, sui tabloid e sulle pagine di gossip, alimentando la sua fama e costruendo l'immagine di una giovane donna frivola ma irresistibile. Un aspetto che non possiamo dimenticare è il suo legame con Juicy Couture, il brand che ha definito una parte della moda di quegli anni e di cui Paris Hilton è stata una delle principali testimonial. La celebre frase "That's hot", che Paris pronunciava in molte occasioni, è diventata il suo marchio di fabbrica, rappresentando un'attitudine leggera ma ostentata. I brand più famosi della moda globale volevano Paris come ambasciatrice dei loro prodotti. Ogni suo passo era seguito da telecamere e fotografi, e il pubblico ne era affascinato. Nonostante la sua immagine costruita di ragazza di "alta società" e socialite spensierata, Paris Hilton ha vissuto anche momenti difficili sotto i riflettori. Le sue vicissitudini legali, tra cui un arresto per guida in stato di ebbrezza e una condanna al carcere, l'hanno fatta entrare in una fase di riflessione sulla sua immagine pubblica, ma queste controversie non facevano altro che alimentare la sua notorietà. Con gli anni Paris è diventata una donna d'affari di successo, con linee di profumi, abbigliamento e accessori, avviando anche una carriera musicale, seppur discussa, con il suo album "Paris" nel 2006. In un'epoca in cui la “fama da social" è alla base del successo di molte personalità pubbliche, Paris Hilton è stata una delle prime a dimostrare come il personaggio pubblico e la vita privata potessero fondersi, creando un nuovo tipo di celebrità: quella che non ha bisogno di un talento tradizionale, ma piuttosto di una presenza costante e irresistibile nella vita dei media.
Elisabetta Macrì, 5ALS
A.S. 2024/2025
La moda a Sanremo, il celebre Festival della Canzone Italiana, è da sempre uno degli aspetti più attesi e discussi. Ogni anno, sul palco del Teatro Ariston, si alternano artisti e personaggi pubblici che, con il loro abbigliamento, raccontano storie, tendenze e visioni personali della moda. Non si tratta solo di vestiti, ma di un modo di esprimere se stessi e di trasmettere emozioni attraverso il linguaggio visivo. Niente come il Festival di Sanremo esercita quell'attrazione magnetica che ci incolla alla tv prima e agli schermi dei nostri smartphone poi, per ore e ore, con un programma di cinque giorni che alla fine diventano almeno sette. Guardarlo è un po’ come guardare l’Italia allo specchio. E la moda, appunto, occupa da sempre un posto rilevante quasi quanto la melodia di una canzone. In un contesto come quello di Sanremo, la moda non è mai fine a se stessa. Dietro ogni scelta c’è un team di creativi guidato dagli stylist e allo stesso tempo c’è anche l’opportunità di raccontare una storia capace di suscitare l’emozione dei milioni di spettatori. In questo senso, la moda insegna molto. Prima di tutto, ci ricorda l’importanza dell’autenticità: non è tanto il vestito in sé che conta, quanto il modo in cui lo si indossa e come esso possa diventare uno strumento per comunicare chi siamo e cosa vogliamo dire al mondo. La scena del Festival, quindi, è il posto dove l’originalità può trovare il suo spazio e, soprattutto, ci insegna che la moda può unire persone di diverse generazioni e provenienze, proprio come la musica che accompagna il Festival.
Maria Stella Cannata, 3ALS
A.S. 2024/2025
Quando si parla di moda stravagante e anticonformista, il nome di Vivienne Westwood è impossibile da ignorare. Icona del punk britannico, la sua creatività ha rotto ogni schema, trasformando abiti e accessori in vere e proprie dichiarazioni di libertà e ribellione. Dai corsetti rivisitati ai tartan scozzesi, ogni sua creazione racconta una storia fatta di audacia e originalità. Ma Vivienne Westwood non è stata solo una stilista: con le sue sfilate ha lanciato messaggi sociali e ambientali, dimostrando che la moda può essere anche uno strumento di cambiamento. La sua eredità continua a ispirare giovani designer e appassionati di moda, dimostrando che essere se stessi è sempre la scelta più elegante.
Vivienne Westwood nasce l’8 aprile 1941 a Tintwistle. Nel 1958 la famiglia si trasferisce a Londra, dove Vivienne studia oreficeria e moda. Abbandona l’università e inizia a lavorare come maestra, ma allo stesso tempo continua a produrre gioielli, che poi vende sulle bancarelle. La svolta avviene quando apre un negozio con il compagno, Malcolm McLaren, manager di un gruppo punk, che diventa centro della cultura punk britannica, influenzando la moda ma anche la musica e l’arte. Il primo debutto in passerella arriva nel 1981 a Londra, con la collezione “Pirate” ispirata ai pirati del XVII e XVIII, una collezione che colpisce perché libera dalle silhouette anni ‘70. Dopo la separazione con McLaren, Vivienne continua a dominare le passerelle e il mondo della moda, sperimentando stili differenti, rimanendo sempre molto stravagante, e a volte suscitando scandalo tra la società. Nel 1990 e nel 1991 vince il British Fashion Award come “Designer of the Year”, cui seguiranno altre vittorie come Red Carpet Designer (2006), Outstanding Achievement in Fashion Design (2007) e Swarovski Award – Positive Change (2018). Nel 1992 la regina Elisabetta II le conferisce l’OBE (Most Excellent Order of the British Empire) per il suo lavoro nella moda britannica e nel 2006 viene nominata Dama. Con i suoi vestiti punk, Vivienne Westwood ha saputo trasformare questa ribellione in moda, rendendo lo stile punk accessibile a tutti, ma senza mai perdere il suo significato di sfida e indipendenza. Uno dei suoi capi più famosi di questo periodo è la maglietta con la scritta “God Save the Queen”, che criticava la monarchia britannica. Oltre a rivoluzionare lo stile, Vivienne Westwood ha usato la moda per lanciare messaggi sociali e ambientali. È stata una delle prime stiliste a parlare dell’importanza della sostenibilità nell’industria della moda, denunciando l’eccessivo consumo e l’inquinamento causato dalla produzione di abiti. Il suo motto, “Buy less, choose well, make it last” (“Compra meno, scegli meglio, fallo durare”), è diventato un manifesto per chi vuole vestire in modo consapevole. Vivienne Westwood scompare nel 2022, lasciando un’eredità che va oltre la moda. Il suo spirito ribelle e la sua capacità di trasformare l’abbigliamento in un linguaggio di espressione personale continuano a ispirare stilisti, artisti e giovani di tutto il mondo, dimostrando che lo stile di Westwood è ancora attuale e amato dalle nuove generazioni.
Miriam Rullo, 3ALS
A.S. 2024/2025
La Milano Fashion Week è uno degli eventi più attesi nel mondo della moda, che si tiene ogni anno nella capitale italiana della moda, Milano. Durante questa settimana, i principali brand di moda presentano le loro nuove collezioni. Questo evento è uno dei quattro più importanti a livello globale, insieme a quelli di New York, Londra e Parigi. Dal 25 febbraio al 3 marzo 2025, Milano ospiterà la Fashion Week dedicata alla moda femminile. Dopo le sfilate maschili di gennaio, l’attenzione sarà rivolta alle collezioni femminili, con 56 sfilate in presenza, 6 digitali, 65 presentazioni, 4 eventi su invito e 23 appuntamenti speciali. Un totale di 153 eventi, tra cui i debutti delle nuove direzioni creative di Lorenzo Serafini per Alberta Ferretti e David Koma per Blumarine. Tra i marchi storici, troviamo nomi iconici come Gucci, Prada, Dolce & Gabbana e Versace, ma ci sono anche nuovi talenti come Giuseppe Di Morabito, Marco Rambaldi e Francesco Murano. Quest’edizione della Milano Fashion Week segna anche importanti anniversari: il 26 febbraio, Fendi celebrerà il suo centenario con una sfilata co-ed, mentre Dsquared2 e K-Way festeggeranno rispettivamente 30 e 60 anni di attività. Fiorucci tornerà in calendario con una sfilata il 1° marzo, mentre Marni e Bottega Veneta hanno scelto di presentare performance speciali nei loro nuovi headquarters. La giornata di domenica inizierà con il supporto di Dolce & Gabbana alla designer cinese Susan Fang e si concluderà con la sfilata di Francesca Liberatore.
Giorgia Donato, 3ALS
A.S. 2024/2025
Quando si parla di Sanrio, non si può fare a meno di pensare ad Hello Kitty, un'icona che ha oltrepassato i confini del Giappone, diventando un simbolo universale di dolcezza, nostalgia e consumismo. Creata nel 1974 dalla designer Yuko Shimizu, Hello Kitty, apparentemente una semplice gattina senza bocca, ha rappresentato molto più di un semplice personaggio, trasformandosi in un fenomeno culturale che continua a persistere in vari ambiti. Il suo vero nome è Kitty White e nacque come un semplice disegno su un portamonete, ma grazie all'inaspettato successo ottenuto, si è evoluta in un marchio multimiliardario. Con il suo design semplice e la mancanza di espressioni facciali, Hello Kitty è stata pensata per permettere a chiunque di identificarsi in lei, diventando così un simbolo universale. Nel corso degli anni, è diventata ambasciatrice della cultura kawaii, l'estetica giapponese che celebra tutto ciò che è adorabile e infantile. Questa estetica ha influenzato non solo il Giappone, ma anche la cultura pop globale, permettendo collaborazioni con stilisti di alta moda e brand internazionali. Hello Kitty ha avuto un impatto economico e sociale immenso ed è stata protagonista anche nel settore dell'intrattenimento, con serie animate, film e parchi a tema. Ma l'influenza di Hello Kitty non si limita all'aspetto economico: la gattina è diventata un simbolo di inclusività, un personaggio che trascende età, genere e confini culturali. Questo ha reso il brand particolarmente amato anche dagli adulti, molti dei quali vedono in Hello Kitty un legame con la propria infanzia. Nonostante il suo successo, ci sono state alcune critiche, infatti è stata accusata di essere il simbolo di un consumismo sfrenato o di rappresentare una visione troppo semplificata della femminilità. Tuttavia, il personaggio è stato utilizzato positivamente, soprattutto per promuovere messaggi di sostenibilità. Oggi, a oltre 50 anni dalla sua creazione, Hello Kitty rimane un’icona che non solo rappresenta l’azienda giapponese Sanrio, ma funge anche da ponte tra culture e generazioni. Ricopre un ruolo fondamentale nel panorama del marketing e del design, ha avuto e continua ad avere un impatto duraturo e il suo fascino persiste, dimostrando che la semplicità può essere incredibilmente potente.
Elisabetta Macrì, 5ALS
A.S. 2024/2025
Nel gennaio 2025, è emerso un nuovo scandalo che ha scosso l’industria della moda globale: lo sfruttamento dei minori nelle piantagioni di cotone in India. La scoperta, confermata da inchieste giornalistiche e indagini di organizzazioni non governative,ha rivelato le drammatiche condizioni di lavoro dei bambini nei campi di cotone, il cui raccolto finisce nella produzione di abbigliamento per grandi marchi internazionali. Dalle rivelazioni si è scoperto che centinaia di bambini, anche sotto i dieci anni, lavorano in condizioni disumane nei campi di cotone, esposti a pesticidi e sostanze chimiche senza alcuna protezione, per molte ore al giorno. L’india, che produce il 25% del cotone mondiale, è al centro delle indagini sul lavoro minorile, rivelando una rete di sfruttamento ancora più vasta. Ciò solleva dubbi sull’etica della filiera della moda, che, nonostante gli sforzi per migliorare le pratiche di approvvigionamento e diventare più sostenibile, continua a nascondere il problema del lavoro minorile. Anche i marchi che puntano a ridurre la loro impronta ecologica non riescono a fermare questo fenomeno. Lo scandalo ha spinto consumatori, governi e attivisti a chiedere maggiore trasparenza nelle filiere produttive della moda. Alcuni brand hanno promesso di indagare sulla provenienza del loro cotone e rivedere i rapporti con i fornitori in India, ma la strada per mettere fine allo sfruttamento minorile nei campi è ancora lunga. Questo episodio dovrebbe spingere l’industria della moda a prendersi responsabilità non solo ambientali, ma anche sociali, garantendo la sostenibilità della moda per tutti.
Elisabetta Macrì, 5ALS
A.S. 2024/2025
La fast fashion è un modello di produzione nell’industria tessile in cui l'abbigliamento viene realizzato rapidamente, in grandi quantità e a basso costo. Questo “fenomeno” continua a essere uno dei temi più dibattuti nel contesto della moda contemporanea. Negli ultimi anni, infatti, la fast fashion è diventata sempre più presente nella vita quotidiana. Brand come Zara, Primark, H&M e Shein sono i principali “attori” di questo mercato, che ha reso l’abbigliamento alla moda disponibile a chiunque. Tuttavia, questo modello di produzione e consumo ha un grave impatto ambientale e sociale. Una produzione rapida richiede il consumo di grandi quantità di risorse naturali come acqua ed energia inquinando di conseguenza l’ambiente. Tuttavia, questo modello di produzione e consumo ha un grave impatto ambientale e sociale. Una produzione rapida richiede il consumo di grandi quantità di risorse naturali, come acqua ed energia, inquinando di conseguenza l’ambiente e contribuendo ai cambiamenti climatici. Inoltre, spesso le condizioni di lavoro sono precarie, con salari bassi e scarse tutele per i lavoratori, alimentando un circolo vizioso di sfruttamento.
Di fronte alle crescenti critiche, alcune aziende di fast fashion stanno cercando di adattarsi alla crescente richiesta di sostenibilità, riducendo il loro impatto ambientale. Nel contempo, cresce l’interesse verso alternative più sostenibili, come il second hand e l’upcycling. Oggi è fondamentale riflettere sulle nostre abitudini di consumo: acquistare meno, oppure scegliere capi di qualità e optare per marchi più responsabili, può fare la differenza. In questo modo, possiamo contribuire a ridurre l’impatto negativo che la fast fashion ha sulla nostra società e sul nostro pianeta, promuovendo un cambiamento verso una moda più etica e sostenibile.
“La moda sostenibile è più di una tendenza: è una dichiarazione del nostro impegno per un pianeta più sano per le generazioni future.” (Stella McCartney)
Vittorio Scrivo, 4ALS
A.S. 2024/2025
Supreme è un marchio di abbigliamento e accessori nato a New York nel 1994, fondato da James Jebbia. Inizialmente concepito come un piccolo negozio destinato agli skater, Supreme è rapidamente diventato un'icona globale dello streetwear, attirando una clientela diversificata, che va dagli appassionati di skateboard ai collezionisti di moda di lusso. Il primo negozio Supreme aprì nel quartiere di Soho, a Manhattan, progettato per essere uno spazio accogliente per gli skater. Gli interni erano ampi e permettevano ai clienti di girare liberamente con i propri skateboard, creando un’atmosfera che si differenziava nettamente dai rivenditori tradizionali. Questo approccio inclusivo e innovativo ha reso Supreme un punto di riferimento per la comunità skate e una vetrina di autenticità e creatività. Il logo di Supreme, un semplice rettangolo rosso con la scritta bianca in carattere Futura Bold Oblique, si ispira all'arte concettuale di Barbara Kruger. Questo design minimale e audace ha contribuito a rendere il marchio immediatamente riconoscibile. L'approccio del brand è stato quello di combinare la cultura underground dello skateboarding con elementi di arte, musica e moda, creando collezioni che riflettono lo spirito ribelle e creativo delle sottoculture urbane. Uno degli elementi chiave del successo di Supreme è stata la sua strategia basata sulla scarsità. Ogni collezione viene prodotta in quantità limitate e non viene mai ristampata. Questo ha generato un'enorme domanda, con prodotti che si esauriscono online e nei negozi in pochi minuti, creando un mercato secondario in cui i pezzi Supreme vengono rivenduti a prezzi molto più alti rispetto al loro costo originale. Supreme ha collaborato con alcuni dei brand e degli artisti più influenti al mondo, tra cui Nike, Louis Vuitton, The North Face, Comme des Garçons e Vans. Queste collaborazioni hanno rafforzato il suo status di brand culturale e hanno ampliato il suo pubblico, attirando sia i consumatori di lusso che gli appassionati di streetwear. La collaborazione con Louis Vuitton nel 2017 è stata un momento storico, segnando la fusione tra lo streetwear e l'alta moda. Negli anni, Supreme ha aperto negozi in città chiave come Tokyo, Parigi, Londra e Milano, diventando un fenomeno globale. Tuttavia, il marchio ha mantenuto la sua aura di esclusività, evitando una distribuzione massiccia e mantenendo un forte controllo sulla sua immagine. Nel 2020, Supreme è stato acquisito da VF Corporation, lo stesso gruppo che possiede Vans e The North Face, per 2,1 miliardi di dollari. Nonostante ciò, il brand ha continuato a mantenere la sua identità unica, restando fedele alle sue radici nella cultura skate e streetwear. Supreme rappresenta più di un semplice marchio di abbigliamento: è un fenomeno culturale che ha ridefinito lo streetwear, portandolo dalle strade alle passerelle dell'alta moda. Con la sua estetica distintiva, le collaborazioni esclusive e la strategia di marketing basata sulla scarsità, Supreme continua a essere uno dei marchi più influenti e desiderati al mondo.
Maria Stella Cannata, 3ALS
A.S. 2024/2025
Coco Chanel, pseudonimo di Gabrielle Bonheur Chanel, nasce il 19 agosto 1883 a Saumur, da una famiglia abbastanza povera. Rimasta orfana, Gabrielle viene mandata nell’orfanotrofio del Sacro Cuore ed è lì che inizia a cucire con le stoffe trovate nell’orfanotrofio i primi vestiti per le bambole con cui giocava. A diciott’anni viene mandata in una scuola di apprendimento delle arti domestiche di Notre Dame e a vent’anni inizia a lavorare come commessa in un negozio di biancheria e maglieria, dove mette in atto le nozioni di cucito apprese dalle suore. I primi successi di Chanel iniziano nel 1904 quando conosce Balsan, che fu il primo finanziatore della stilista. Durante questo periodo, Chanel incontra quello che viene considerato “l’amore della sua vita”, Boy Capel, ma che non sposerà, poiché le chiederà di scegliere tra lui e il suo lavoro e lei sceglierà il lavoro. Grazie a Capel nel 1910 apre la prima boutique di cappelli a Parigi, in Rue Cambon 31, indossati dalle più grandi attrici dell’epoca e inizia a vendere anche qualche vestito e altri capi di vestiario. Inoltre, Capel le regala una boutique a Deauville dove vende i suoi primi capi originali. Durante il periodo più alto della carriera di Chanel, arriva la notizia della Prima guerra mondiale. Gabrielle, però, riesce a farsi strada negli affari, soprattutto perché le donne del tempo andavano alla ricerca di vestiti più semplici e pratici, stile proprio di Chanel, ed è pronta a confezionare per le donne una nuova moda. I materiali utilizzati, più economici e accessibili, il nuovo stile più emancipato, con pantaloni da donna e cardigan, sono le novità introdotte da Chanel, che la portano ad avere ancora più successo, arrivando ad occupare cinque negozi tutti sulla stessa via (dal numero 23 al 31).
L’evento della morte di Capel porta, però, alla creazione di uno dei capi che rappresentano Chanel, il tubino nero, creato da indossare per il lutto e poi divenuto indumento moderno, sensuale e raffinato. Nel 1920, la collaborazione tra Chanel e Beaux, un chimico, dà vita alla fragranza iconica, ovvero, Chanel Nº5 e anche qui troviamo la semplicità di Coco nella boccetta del profumo. Nel 1930 Coco Chanel è su tutte le riviste di moda e dà lavoro a più di 4000 dipendenti. Si trasferisce ad Hollywood, ma capisce che il suo stile non è adatto a quel luogo; quindi, trionfa in America e poi ritorna di nuovo in Europa. Nel 1936 però arriva, per Chanel, una delle sfide più importanti da affrontare, poiché le dipendenti chiedono condizioni di lavoro migliori e arriva la concorrenza italiana, Elsa Schiaparelli, che con il suo nuovo stile sta portando via la clientela di Coco. Nel 1939 scappa da Parigi a causa della Seconda guerra mondiale ed è costretta a chiudere i suoi negozi. Nel 1953 decide di riaprire la sua attività, ma la sfilata del 1954 è un grande insuccesso anche se piace alla redattrice di Vogue America che le dedica tre pagine della sua rivista: da qui sarà un vero trionfo. Coco si impegna a riconquistare il posto che le spetta e ci riesce. Continuerà a portare il suo stile unico nel mondo, collaborando con il cinema italiano e francese. Ed è proprio in una suite al Ritz, hotel in cui abitava, che muore il 10 gennaio 1971 all’età di 87 anni, lasciando un segno indelebile nel mondo della moda.
Gabrielle Chanel ha vissuto la vita come lei stessa se l’era immaginata. Le difficoltà della sua infanzia lasciano spazio ai successi di una donna d’affari realizzata, facendo nascere una leggenda fuori dal comune. Amicizie, amori, una sete di cultura, di scoperta e di viaggi hanno formato la sua personalità. Un vestiario liberato dalle mode del tempo, con anche degli accenti maschili, danno vita a una donna all’avanguardia che con il suo stile di vita ha determinato i valori della maison che ha fondato. E resta ancora oggi un’ispirazione per tutte le donne.
«La semplicità è la nota fondamentale di ogni vera eleganza». (Coco Chanel)
Giorgia Donato e Nicoletta Donato, 3ALS
A.S. 2024/2025
Per decenni, Victoria's Secret è stato sinonimo di lusso, sensualità e un ideale di bellezza irraggiungibile, incarnato dalle sue iconiche modelle, gli "Angeli". Le sfilate spettacolari, con ali scintillanti e corpi perfetti, hanno incantato milioni di ragazze in tutto il mondo. Tuttavia, dietro questo scintillante universo si nasconde una storia più complessa, fatta di successi, critiche e profonde trasformazioni. Nato negli anni '70, il marchio ha saputo conquistare il mercato grazie a una strategia di marketing geniale: creare un mondo fantastico, popolato da donne perfette e irraggiungibili. Ma negli ultimi anni, questo ideale di bellezza è stato fortemente messo in discussione. Le critiche si sono concentrate sull'immagine corporea promossa dal marchio, considerata troppo magra e poco inclusiva, e sull'ambiente lavorativo tossico: diete estreme, allenamenti massacranti e una pressione costante per mantenere un fisico ideale, spesso dannoso. Questi standard di bellezza, oltre a essere irrealistici e dannosi per le modelle stesse, hanno avuto un impatto significativo sulle giovani ragazze. Esposte a immagini costanti di corpi perfetti e ritoccati, molte adolescenti hanno sviluppato un'immagine corporea negativa, sentendosi inadeguate e insoddisfatte del proprio aspetto. Questo clima di perfezione a tutti i costi ha contribuito all'aumento dei disturbi alimentari, come l'anoressia e la bulimia, tra le giovani generazioni. Le accuse, unite al declino delle vendite e alla crescente concorrenza di brand più attenti alla diversità, hanno spinto Victoria's Secret a un punto di svolta. La decisione di cancellare le iconiche sfilate è stata il segnale più evidente di una profonda crisi identitaria. Di fronte a queste sfide, il marchio ha intrapreso un percorso di rinnovamento, cercando di abbracciare una maggiore diversità e inclusività. Addio alle modelle "perfette", benvenute le donne di tutte le forme e le taglie. Victoria's Secret sta cercando di creare un'immagine più autentica e che rifletta la diversità del mondo reale. L'evoluzione del marchio è un chiaro segnale che anche il mondo della moda sta cambiando. La generazione Z, in particolare, ha espresso un crescente disagio di fronte a un ideale di bellezza così limitato e poco rappresentativo. I social media hanno amplificato queste voci, spingendo i brand a ripensare le proprie strategie di comunicazione. Victoria's Secret si trova ora a un bivio. La strada per il futuro è ancora incerta, ma è chiaro che il marchio dovrà continuare ad adattarsi ai nuovi tempi e alle esigenze di una clientela sempre più consapevole e diversificata.
Giuseppe Giulio Corapi, 5ALS
Mies van der Rohe è uno dei maggiori esponenti del razionalismo, designer e architetto tedesco, divenuto famoso per le sue opere contraddistinte da una raffinata semplicità e da linee sinuose. Fa parte di numerosi movimenti di architettura modernista e nel 1930 viene nominato direttore del Bauhaus, fino all’avvento del Nazismo che non gli permetterà di portare avanti e difendere il design moderno. Nel 1937 Mies si trasferisce negli Stati Uniti dove diventa direttore della School of Architecture, presso l'Armour Institute di Chicago, fino alla sua pensione.
“Less is more” è la citazione che rappresenta il pensiero di Ludwig Mies Van der Rohe, un linguaggio minimalista che è ancora il punto di riferimento per tanti designer e architetti. Uno stile formale che punta all'epurazione dell'opulenza ottocentesca favorendo una semplicità che scaturisce naturalmente dalle necessità effettive. Il design non è più il fine ma il risultato della risposta ad esigenze complesse tramite soluzioni semplici. I punti cardine dei suoi progetti sono Ordine e Razionalità, Mies van der Rohe segna un punto di non ritorno rispetto all’architettura classica, ricercando il di più nell’assenza degli oggetti futili. Una delle opere più rappresentative di questa concezione minimalista è Villa Tugendhat, una villa che rappresenta anche uno dei capolavori del funzionalismo. Edificata tra 1928 e il 1930 a Brno in Repubblica Ceca, è una costruzione iconica sia dal punto di vista progettuale sia dal punto di vista del design. Commissionata dai ricchi industriali di origine ebrea Grete & Fritz Tugendhat, la villa è stata costruita con l’utilizzo di materiali pregiati come l’onice e il marmo. Per la prima volta viene utilizzata una struttura portante in pilastri di acciaio, per creare la “pianta libera” costituita da intelaiature in ferro finalizzata alla creazione di spazi liberi e ambienti più ampi e luminosi. Un aspetto peculiare della casa è proprio l’arredamento, costituito da mobili progettati dallo stesso Mies, che sono ancora oggi pezzi iconici di design.
Giuseppe Giulio Corapi, 5ALS
In questi mesi il famoso brand Loro Piana, emblema del quiet luxury e dell’alta manifattura italiana, è stato investito da uno scandalo di proporzioni globali. Un’inchiesta del Bloomberg Businessweek ha fatto emergere le operazioni poco etiche del brand nei confronti della comunità andina di Lucanas e delle loro vigogne.
La vicuna è il filato più prezioso esistente al mondo, prodotto in una specifica area delle Ande, il cui monopolio è detenuto dalla casa di moda italiana che è possessore dell’intero territorio. L’inchiesta svela che dei capi venduti a prezzi stratosferici dal brand la comunità locale, che si occupa di tosare le vigogne, ne ricava solo il 3%.
Queste rivelazioni hanno fatto indignare tutto il mondo, la popolazione andina composta da 3000 abitanti, che vivono prettamente dei guadagni connessi al prezioso filato, non riesce a retribuire tutti coloro che sono coinvolti nella produzione rendendo la popolazione estremamente povera.
Lo scandalo evidenzia chiaramente le enormi disuguaglianze che sussistono nel nostro globo tra paesi del primo mondo e paesi in via di sviluppo, in cui i lavoratori non hanno nessun tipo di tutela e sono alla mercè delle grandi corporazioni.