Si diceva che nella cittadina girasse un assassino.
Bakerville era una località sperduta, molto tranquilla, con settecento abitanti ed era da più di un secolo che non succedeva niente di misterioso; certo forse qualche rapina qua e là, ma sicuramente non si era mai sentito parlare di un serial killer.
Era settembre e nel giro di una settimana erano morte ben tre persone; questi omicidi non erano spietati e raccapriccianti, ma molto strani e misteriosi. Un uomo era morto bruciato, uno affogato e uno soffocato, qual era il collegamento?
La storia mi incuriosiva, ma del resto avevo solo sedici anni e di certo preferivo starne fuori.
Stavo tornando a casa, quella notte era lugubre, soffocante e gelida, il cielo era costellato da piccoli puntini che splendevano come diamanti e la luna, affogata in quelle acque nere, era come un occhio disperso che ti guarda in segno di aiuto. Da lontano si vedevano delle colline agghiaccianti pronte a inghiottirti in quell’erba, alla vista innocua, ma che in realtà minacciava di trascinarti nei più remoti strati della terra.
Ero molto spaventata quando, ad un certo punto, sentii un rumore, come se qualcuno stesse affilando un coltello, così mi girai di scatto e… nulla. Non c’era nessuno, solo lo spaventapasseri, lurido e goffo, del Signor Red. Non so con quale coraggio mi avvicinai al pupazzo; era composto da un sacco di iuta ripieno di prodotti agricoli andati a male, con gli occhi fissi che guardavano il vuoto come se fossero schiavi di un corpo legato a un palo di legno marcio, senza forma né vita.
Quella sera, però, non provai terrore e repulsione per quel corpo malandato, ma una leggera compassione come se lo capissi.
Feci un passo indietro, qualcuno mi afferrò la testa e, mentre mi dimenavo senza successo, mi avvicinò un fazzoletto al naso e caddi in un sonno profondo.
Quando mi risvegliai tutto taceva e, anche se con la vista offuscata, mi accorsi di essere sdraiata su un tavolino di metallo con le braccia e le gambe legate da delle manette di legno con sopra inciso qualcosa. Con mio grande stupore non c’era il solito marchio di una fabbrica, ma dei simboli: un fuoco, una goccia d’acqua, il vento e un seme. Ognuno aveva un colore: rosso, blu, bianco e marrone.
Avevo la testa colma di domande, pareva che stesse sul punto di scoppiare. Questi simboli colorati sembravano un enigma che risolsi subito. Erano i quattro elementi. Ma che collegamento avevano con gli omicidi?
Mi guardai intorno e c’erano strani paletti di legno, con le foglie ancora attaccate, che finivano con una punta che avrebbe tagliato anche il duro cuoio. Così collegai tutto: ogni morte rappresentava un elemento, l’uomo bruciato il fuoco, quello affogato l’acqua, quello soffocato l’aria e la morte che doveva rappresentare la terra doveva essere proprio la mia.
Ma perché queste morti? Solo un divertimento o un rito satanico?
Ed ecco che si aprì la porta. Entrò un uomo alto e con il viso spigoloso che mi guardò e mi tolse le manette. Mi disse con aria minacciosa che avevo cinque minuti di tempo per scappare da quel posto e, se non ci fossi riuscita, il demone Magul sarebbe tornato e avrebbe posto fine alla mia vita.
Così corsi subito verso la porta dell'edificio diroccato e annaspando uscii finalmente da quel posto che mi aveva suscitato tanto terrore. Ridendo iniziai a passeggiare sul ciglio della strada quando qualcosa mi trapassò il petto…..Mi toccai la parte colpita e mi rimase una foglia marrone e secca nella mano.
E.I. IIE