Filosofe filosofi

di strada

Le filosofe e i filosofi di strada di 4G del Liceo Grassi di Lecco hanno ascoltato queste parole volanti di passanti lungo le strade e le piazze di Lecco nell'inverno 2019/20

Scarica il saggio "FILOSOFIA ONDEROD"

Un uomo si propone di disegnare il mondo. Nel corso degli anni popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di vascelli, di isole, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l'immagine del suo volto.” J. L. Borges

Filosofi sulla strada. Perché? La strada è una via, un cammino, ma anche un modo di procedere, un’andatura, un camminare insieme con i propri amici e i propri pensieri, un procedere in un certo modo. Non tanto un contenuto teorico, che si deve apprendere e mettere in pratica, piuttosto un insieme di pratiche, che non possono essere conosciute al di fuori del modo della pratica stessa.

Un saper procedere, quindi, senza avere una mappa teorica preliminare che ci guidi, una via non mai tracciata in precedenza, che si traccia invece a mano a mano, mentre si cammina. Impossibile dunque parlarne a meno che le parole non siano, esse stesse, in cammino. Ed è questo quello che abbiamo fatto e stiamo facendo.

Presentazione al Festival dei "Buskers a Ferrara"


Abbiamo pensato di presentarVi il lavoro “filosofi di strada” che ci sta occupando da almeno un paio di anni. Non certo un lavoro coerente e continuo, perché, in effetti, il programma istituzionale occupa la maggior parte del nostro tempo. E, tuttavia, eccoci seguire altre piste, senza che ci importasse saper dove conducessero. Si potrebbe dire anzi dire ch’era importante che non andassero da nessuna parte, in una direzione determinata in anticipo. Percorsi, idee, ricerche, tentativi, non sempre riusciti, per togliere la polvere accumulata sopra tanti libri, anche di filosofia.


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Al “Premio internazionale di letteratura Città di Como”


Si tratta di un bizzarro esercizio filosofico consistente nel mettere alla “prova” la filosofia, non tanto sotto forma di enunciati la cui validità è di ordine teorico (sapere che cosa), quanto piuttosto di saggiarla nella pratica della vita quotidiana (sapere come), per poter sperimentare se e in che modo la filosofia riesca a dare o non dare uno “stile” alla nostra vita, creando così consapevolmente lo spazio sociale e vitale in cui abitiamo.

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Presentazione al Festival dei Buskers a Ferrara

Gentile Comitato Organizzativo del Ferrara Festival Buskers.

Siamo la classe quarta G del liceo scientifico G.B. Grassi di Lecco.

Abbiamo pensato di presentarVi il lavoro “filosofi di strada” che ci sta occupando da almeno un paio di anni. Non certo un lavoro coerente e continuo, perché, in effetti, il programma istituzionale occupa la maggior parte del nostro tempo. E, tuttavia, eccoci seguire altre piste, senza che ci importasse saper dove conducessero. Si potrebbe dire anzi dire ch’era importante che non andassero da nessuna parte, in una direzione determinata in anticipo. Percorsi, idee, ricerche, tentativi, non sempre riusciti, per togliere la polvere accumulata sopra tanti libri, anche di filosofia.

Eccoci qui, da Voi, per farvi vedere un video di presentazione del progetto che abbiamo sviluppato nella nostra città e, in allegato, un libretto contenente le interviste svolte e la presentazione dei relativi temi trattati.

Purtroppo, vista la situazione attuale di emergenza sanitaria, quest'anno, in ogni caso, non potremo essere presenti all'evento, dato il blocco delle uscite scolastiche.

Abbiamo comunque pensato di inviarvi il risultato ottenuto, sia per farvi conoscere il nostro lavoro, sia perché, non lo neghiamo, avremmo avuto piacere che la nostra proposta fosse stata presa in considerazione da Voi e, cioè, immaginare di essere presenti in un angolo della città di Ferrara per le nostre discussioni filosofiche con tutti i passanti filosofi che amano discutere di filosofia!

I filosofi di strada della 4G del Liceo G.B. Grassi di Lecco.


Al “Premio internazionale di letteratura Città di Como”.

Gentile Comitato organizzativo del “Premio internazionale di letteratura Città di Como”.

Siamo la classe Quarta G del Liceo Scientifico G.B. Grassi di Lecco.

Abbiamo pensato di presentarVi il lavoro di “Filosofe Filosofi di Strada” che stiamo portando avanti in questi due anni. Si tratta di un bizzarro esercizio filosofico consistente nel mettere alla “prova” la filosofia, non tanto sotto forma di enunciati la cui validità è di ordine teorico (sapere che cosa), quanto piuttosto di saggiarla nella pratica della vita quotidiana (sapere come), per poter sperimentare se e in che modo la filosofia riesca a dare o non dare uno “stile” alla nostra vita, creando così consapevolmente lo spazio sociale e vitale in cui abitiamo.

Il saggio che abbiamo realizzato è contenuto in un libretto nel quale sono riportate le interviste fatte e alcune considerazioni sui temi trattati. Segnaliamo inoltre che è possibile visitare il sito “Filosofe Filosofi di Strada” nel quale è contenuto anche il materiale multimediale sviluppato.

Volevamo informarvi inoltre della nostra candidatura al Festival Buskers di Ferrara relativa a questo progetto.

Vi ringraziamo per la Vostra disponibilità.

I filosofi di strada della 4G del liceo Grassi di Lecco


Il nostro percorso inizia proprio in una strada della Tracia, intorno al 600 a.C. quando Talete durante una passeggiata in cui osserva gli astri cade in un pozzo. Lì vicino passa un’umile servetta che vede il grande filosofo in difficoltà e lo prende in giro dicendogli che si preoccupava tanto di conoscere le cose che stanno in cielo, ma non vedeva quelle che gli stavano davanti, tra i piedi. In questo aneddoto riportato da Platone egli definisce la servetta “graziosa e intelligente” quasi a sottolineare l’efficacia della sua semplicità a confronto con il continuo studio di Talete che, nel concreto, può risultare anche rischioso: che siano più importanti i piedi per terra della servetta o gli studi stellari di Talete? Forse entrambi, ma la strada gli fa rendere conto di una sua possibile caduta ad ogni piè sospinto!

Sono passati circa 200 anni, siamo ad Atene e Agatone, un poeta tragico, offre un banchetto ai più grandi esponenti del pensiero ateniese. Tra questi vi sono Aristodemo e Socrate che stanno raggiungendo il luogo del banchetto a piedi; quest’ultimo, però, rimane continuamente indietro, mentre riflette, e si ferma, immobile, a pensare nel porticato … in strada.

Un centinaio di anni più tardi in quegli stessi luoghi della Grecia si diffonde la corrente filosofica del cinismo la cui tesi fondamentale è la ricerca della felicità come unico fine dell’uomo. Come cercano i cinici questa felicità? Vivendo nelle botti una vita randagia, da cani, lontano dai lussi e le comodità, tra le tortuose strade ateniesi.

Altro salto temporale, siamo nel 1200 quando un teologo tedesco, Meister Eckhart, nelle sue prediche al popolo sostiene che l’uomo povero, voluto da Dio, è quello che niente vuole, niente sa e niente ha. Sembrerebbe essere una posizione molto utopistica, abbastanza irraggiungibile, che fa privare di ogni certezza e di ogni desiderio, lontano dalla teoria di una biblioteca o dagli oggetti di una casa, forse proprio nella semplicità di una strada.

Arriviamo ora al 1571, Michel de Montaigne pubblica “Les Essais”, un libro che nell’introduzione egli definisce sincero e familiare. In questo libro egli mette in pratica costantemente la “parresia” (parlare franco) e diffida della retorica e quindi del tentativo di convincere solo tramite le parole e la teoria. La “parresia” si basa sulla chiarezza discorsiva ed è priva di ogni tipo di abbellimento stilistico; la semplicità è la sua costante e la rende comprensibile a tutti e vicina a tutti, come un discorso tra passanti che si incontrano per strada e non hanno la necessità di abbellire ciò che vogliono dire: non c’è nulla di più sincero di un discorso in strada.

Il nostro percorso prosegue fino alla seconda metà del 1800 quando Friedrich Nietzsche, filosofo tedesco, nell’aforisma 213 de “La gaia scienza” racconta di un saggio che chiese a un pazzo quale fosse la via della felicità e si sentì rispondere con naturalezza: ”Ammira te stesso e vivi sulla strada!” La motivazione che diede il pazzo a questa sua affermazione fu che non si può continuamente ammirare senza continuamente disprezzare e probabilmente solo la strada può permettere di vivere a pieno questa costruttiva contraddizione.

Si arriva infine al 2019, e ci siamo noi, qui a scuola. Leggiamo, studiamo, ascoltiamo i nostri professori, ma ci siamo chiesti perché non andare, seguendo sentieri appena accennati nel tempo, anche noi in strada?

Christian Frigerio

Amicizia.mp4

"Amicizia"

Amici miei, non esistono amici!” (Frase di Michel de Montaigne attribuita ad Aristotele – “amicizie ordinarie e abituali, per le quali bisogna adoperare la frase che Aristotele aveva tanto familiare: “Amici miei, non esistono amici!”)

Filosofi di strada: Fabio Bonfanti, Daria Draghici, Alessandra Guerreschi, Matilde Magistrali.

In alcuni momenti, capita di avere del tempo libero e di mettersi a riflettere su qualcosa, qualsiasi cosa, come ad esempio le nostre amicizie. La prima domanda che ci si può porre è: “Che cos'è l'amicizia?”

A questa domanda, apparentemente così semplice, ci risponde Epicuro, un filosofo vissuto in Grecia tra il IV e il III secolo a.C.

“Tra tutti i beni che la saggezza procura per la felicità dell'intera vita, quello incomparabilmente più grande è dato dal possesso dell'amicizia”. (Epicuro, Sentenza Vaticana 34)

Con questo breve periodo, Epicuro ci spiega il suo pensiero sull'amicizia, definendola il dono più grande della saggezza. Questa affermazione è probabilmente la più interessante, ci dice infatti che l'amicizia, oltre ad essere un dono, porta alla saggezza e, di conseguenza, non è una cosa di poco conto, ma è un processo di crescita dell'individuo che lo porta più vicino allo stato di felicità al quale Epicuro e i suoi seguaci aspiravano.

La seconda domanda che sorge spontanea dopo queste considerazioni è: “Come nasce un'amicizia?” Epicuro risponde a questo con la Sentenza Vaticana 23:

“Ogni amicizia è di per sé stessa desiderabile; tuttavia essa ha avuto origine dall'utilità”.

Epicuro qui ci dice che le amicizie non sono casuali, nascono per una determinata ragione: l'utilità. Il rapporto che si viene a creare, però, se pure nasce in un contesto economico, si consolida e emancipandosi dall'utilità e diventando qualcosa di difficile da definire, ma che ci fa stare bene, che non ci fa sentire soli e che non ci crea ansie, perché sappiamo che se, dovessimo avere delle difficoltà, l'amico è lì, per noi, anche se non ci guadagna niente da quella situazione. Questa è l'amicizia, qualcosa che non ha a che fare con uno scambio.

Un altro filosofo che trattò il tema dell'amicizia fu il francese Michel de Montaigne vissuto nel XVI secolo, il quale nella sua più importante opera “Les Essais” (opera scritta per i suoi affetti più cari) scrive anche del rapporto con il suo ormai defunto migliore amico, Etienne de La Boetie:

“Nell'amicizia di cui parlo, le anime si mescolano e si confondono l'una nell'altra con un connubio così totale da cancellare e non ritrovar più la commesura che le ha unite. Se mi si chiede di dire perchè l'amavo, sento che questo non si può esprimere che rispondendo: - Perchè era lui; perchè ero io-.”

Questo è una bellissima frase che esprime probabilmente quanto di più profondo possa essere detto sul tema. Si può immediatamente notare il richiamo all'idea di amicizia di Epicuro, ma qui si va oltre, perché, quando un'amicizia è così profonda (Montaigne disse che di questo tipo ne nascono una ogni tre secoli), ci si dimentica il motivo per cui è nata, perché le anime e le menti di queste due persone si fondono, ma rimanendo sempre se stessi, differenti l’uno dall’altro. In una vera amicizia infatti ci si ama per quel che si è (Montaigne definì se stesso, un grottesco, addirittura!).

Nietzsche nel XIX secolo credeva in una “amicizia stellare” e nello Zarathustra dice parole sublimi relativamente all’amico: “Io vi insegno l’amico, nel quale il mondo si trova compiuto , una coppa del bene – l’amico che crea, che ha sempre da donare un mondo compiuto”.

J. Derrida, filosofo francese del novecento, ripete di continuo che l’amicizia si dà come un evento singolare, non programmabile.

Perché proprio io, perché proprio lui? L’amicizia, come la gentilezza, non possono essere nell’ordine del dovere, nell’ordine di una regola. Succede e ci basta e ne siamo felici.

Luca Bonacina

Sguardo Barthes.mpg

"Ecco, lo sguardo ..." R. Barthes


Se due sguardi si guardano negli occhi, “si può dire che si toccano?” si chiede Derrida. Domanda strana ma, come sempre, che ci fa pensare …


Filosofi di strada: Giacomo Frigerio, Martino Riva, Luca Zaffonte


Molte volte si sottovalutano quelle che possono considerarsi azioni superflue, senza significato, quasi frivole.

Uno di queste è lo sguardo, il contatto visivo tra persone che avviene tramite l’incontro di occhi che guardano. Se due sguardi si guardano negli occhi, “si può dire che si toccano?” si chiede Derrida. Domanda strana ma, come sempre, che ci fa pensare …

Se pensiamo alla vita di ognuno di noi, probabilmente, solo in rari casi, ci siamo soffermati a pensare che cosa possa significare lo sguardo delle persone. Forse perché guardiamo, e basta, senza pensare troppo alla fulminea velocità in cui si incontrano due sguardi.

Ma i filosofi che, nel luogo comune, sembrano molto lontani dalla nostra esperienza quotidiana, forse ci danno una risposta molto vicina alla nostra vita “di strada”.

Roland Barthes, ad esempio ha dedicato un’intera opera, “La camera chiara”, allo sguardo e alla visione della fotografia.

Egli descrive varie specie di fotografia, dicendo che attraverso la macchina fotografica, colui che scatta deve riuscire a far vivere l'immagine del “modello”, in modo da consentire a colui che guarda la foto, lo spettatore, di rivivere quella persona, soprattutto attraverso gli occhi.

La fotografia viene inizialmente descritta come immagine morta della persona, senza movimento, senza emozioni. Invece se l'abilità del fotografo supera questo muro del non animato, consente all'anima di colui che viene immortalato di vivere nella foto.

Barthes ci parla di sua madre: sfogliando tra vecchie foto, era riuscito a trovarne molte che ritraevano sua madre, in varie pose, espressioni, ambienti e paesaggi ed egli, ogni volta, riusciva a riconoscere solo una parte di lei, le braccia, le proporzioni tra naso e occhi, la bocca …

Questo, secondo Barthes, gli provocava una profonda ferita, perché si rendeva conto che non avrebbe potuto più rivivere la presenza di quella persona, come se fosse di fianco a lui.

Il colpo di scena arriva trovando una foto della madre da piccola; ecco, lì, Barthes la riconosce, riconosce tutto quello che veramente era sua madre, con i suoi sogni, le sue paure, i suoi affetti. Riconosce la persona che ha amato più di tutte in vita sua.

Egli descrive questa emozione come punctum, quindi un qualcosa che ti stupisce, che ti smuove.

Egli aggiunge che tutto questo non sarebbe stato possibile senza gli occhi, la connessione visiva, come dicevo prima, tra i suoi occhi e quelli della madre bambina.

Gli occhi nascondono veramente chi sei, sono troppo profondi per la mente umana e sono gli unici che riescono a trasmettere quello che veramente pensi, o che veramente vuoi dire.

Per questo abbiamo deciso di mostrare una foto di un bambino, con lo sguardo fisso nell’obbiettivo nella camera, per far pensare le persone e capire cosa poteva passare per la mente guardando lo sguardo di quella persona.

Giacomo Frigerio

Amore.mp4

"Amore"

"Amare significa dare quello che non si ha". Ma … "Come si fa a dare quello che non si ha?" ...


Filosofi di strada, Christian Frigerio, Monica Castellucci, Sara Muttoni, Alessandro Rocca.



"Amare significa dare quello che non si ha". Ma … "Come si fa a dare quello che non si ha?"

A questa domanda ci può aiutare a trovare una risposta Platone nel "Simposio".

Nell'opera il filosofo greco affronta il tema dell’amore, non particolarmente trattato dai poeti lirici e tragici, e in parte anche dei pensatori precedenti.

Il dialogo si svolge nella casa del drammaturgo Agatone, tra Socrate e un gruppo di amici e discepoli. Il discorso su Amore inizia da Fedro, secondo il quale Amore è un dio grande, degno di suscitare meraviglia tra gli uomini e dei con la sua nascita, l’Amore ci fa vergognare delle cose brutte e ci fa compiere belle azioni. Al discorso di Fedro segue quello di Pausania il quale divide Amore in Pandemio (amore corporale degli insensati) e Urano (amore che tende al perfezionamento spirituale e che dunque innalza l’anima).

Poi parla il medico Erissimaco che descrive Eros come capace di agire con armonia per produrre opere buone. Quando invece l'Amore è disarmonico, “diventa incontenibile e infuria violento durante le stagioni dell'anno, produce guasti e distrugge molte cose”.

Interviene, poi, il commediografo Aristofane, che dirà sull'amore qualcosa che ci farà ridere ma, come sappiamo, anche nella comicità si nasconde la verità.

Egli racconta di un mito secondo il quale gli uomini erano tondi, sferici: questi esseri si sentivano forti e perfetti e peccarono di tracotanza; gli dei, per punirli, li tagliarono a metà, da quel momento questi esseri sentivano il bisogno di ritrovare l’altra metà e la cercavano disperatamente. L’amore è il tentativo di ricongiungersi con l’altra metà.

Per Agatone, Amore è il più giovane degli dei ed è dotato di tutte le più splendide virtù.

Interviene infine Socrate che spiazza tutti, dicendo che amore è “mancanza” e che questa verità su amore gliela ha detta una sacerdotessa, Diotima di Mantinea che, appunto, lo ha iniziato ai misteri di Eros.

Viene narrato il concepimento di Eros durante un banchetto per la nascita di Afrodite, tra Poro e Penia. Eros eredita le caratteristiche dei sui genitori: è ignorante, povero e brutto a causa di Penia ma, grazie a Poro, tende perennemente a conquistare ciò di cui avverte la mancanza. Eros riveste una posizione intermedia: non è un dio, ma non è neanche un mortale; è qualcosa che nasce e muore di continuo; insomma, è uno slancio verso qualcuno che non si può possedere, così come l’uomo ama il sapere ma non lo può possedere, sempre in tensione per ottenerlo.

Alla fine sopraggiunge Alcibiade, ubriaco, che esalta le virtù morali e intellettuali di Socrate del quale si professa amico e ammiratore.

Nel Simposio Socrate parla in modo franco e sincero. Non ha nessuna verità da dire, perché questa si costruisce nella relazione con un altro e Socrate l’ha trovata proprio dialogando con Diotima.

La verità non si può trovare da soli, solo l’amore, Eros, che ci fa innamorare di un altro o di un’altra, ci mette in condizione di trovarla dentro di noi.

La frase: "Amare significa dare quello che non si ha" detta da Lacan (psicanalista francese del Novecento) in un suo commento al Simposio, è stata quindi scelta perché sintetizza brevemente la concezione dell’amore di Platone. Secondo Socrate/Platone infatti solo la mancanza promuove il desiderio e solo il desiderio è in grado di suscitare l’amore.

L’amore platonico è quindi un percorso di perfezionamento spirituale che ci permette di essere veri con noi stessi; e tutto ciò grazie a quella singolare persona che ci consente di accedere a quello che siamo veramente, senza che nessuno dei due sforzi l’altro ad essere qualcuno che non è. Solo in questo modo, spontaneamente, facciamo rinascere la bellezza che si trova dentro ognuno di noi.

Monica Castellucci, Sara Muttoni

"Minorità"

“...Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro.” Kant


Filosofi di strada: Silvia Cambiago, Parham Asadbigi, Angelo Cardinale, Simone Tentori.



Nel corso della vita sarà sicuramente capitato a tutti, soprattutto attraversando un'età di passaggio come quella dell'adolescenza, di riflettere sul concetto di minorità: indica solamente una condizione imposta dalla legge o è qualcosa che va oltre?

Il filosofo tedesco Immanuel Kant, nel tardo Settecento, ha provveduto a fornirne una definizione:

“...Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro.”

Aggiunge poi: “Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto d’intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro”.

Sebbene Kant utilizzasse l'immagine del passaggio da minore a maggiore età per spiegare la nascita dell'Illuminismo, il suo pensiero ci fa pensare.

Cosa significherà, propriamente, che si esce dallo stato di minorità quando non è più necessaria la guida di un altro?

Kant afferma, inoltre, che è decisamente comodo essere minorenni, in quanto in presenza di un “tutore” che si prende carico delle decisioni riguardanti la mia persona, allora sicuramente non dovrò pensarci io, quindi sarò sollevato dalle conseguenti responsabilità.

Subentra quindi un ulteriore quesito: il cosiddetto “tutore” avrà più vantaggio nel momento in cui la persona a lui affidata continua a necessitare della sua presenza oppure quando, attraverso un percorso formativo da lui curato, riuscirà a conquistare l'indipendenza?

Nel Novecento, il filosofo francese Michel Foucault riprenderà questi concetti, ponendosi il problema dell'arte del governo, intesa come gestione delle masse, dell'economia, della famiglia.

Da qui nasce la critica come contromossa, come arte del non essere governati in generale, per autogovernarsi, o non essere governati nel modo dell’assoggettamento. In questo consiste il saper fare uso della propria ragione: esso consiste in un esercizio critico, che Foucault declina nella forma dell'arte del non essere governati per autogovernarsi.

Per il filosofo francese minorità è viltà, pigrizia, paura di pronunciare il vero. Ma anche timore dell’autorità, della politica opprimente, della tirannia.

Come soluzione a tutto ciò, studiando i filosofi classici, proporrà la cosiddetta “Società del vero”, fondata appunto sulla verità, la quale verrà identificata nella parresia (con un palese riferimento alla filosofia socratica).

Quest'ultima consiste nel parlare franco, esprimendo in modo chiaro, conciso e senza fronzoli il proprio pensiero.

Silvia Cambiago

"Parresia"

“Io voglio che le mie parole siano semplici e chiare, esse infatti non devono essere artificiose e false ma mostrare direttamente i miei sentimenti, come se sedessimo o passeggiassimo insieme” Seneca


Filosofi di strada: Aronne Moltrasio, Michele Ceroni, Alessandro Arosio, Abenezer Mandelli.


Mai sentito parlare di “parresia”? Ovvero “dire tutto”, francamente, semplicemente, senza ornamenti, correndo il rischio di dire qualcosa di spiacevole per chi ci sta ascoltando? Liberi e capaci di dire tutto il vero, senza mezze verità, senza mentire ed essere e, perciò stesso, quasi uno scandalo vivente della verità?

Ti è mai capitato da piccolo di nascondere un fatto a qualcuno con una bugia ed essere stato spronato a dire tutta la verità? Questa è la parresia.

Vediamo in breve la sua storia.

Presente all’epoca dell’antica Grecia nelle opere di Euripide, verrà ancora alla luce nella pratica filosofica di Socrate.

Il ruolo di Socrate fu un ruolo eminentemente parresiastico, poiché egli discusse tutta la vita, per strada con gli ateniesi, non rivelando loro una verità già data, ma intendendo trovarla insieme a loro, attraverso il dialogo. Socrate si opponeva ai sofisti, “astuti parlatori”, che cercheranno di imporre le proprie convinzioni attraverso l’uso della retorica, cioè attraverso parole suggestive che dovevano incantare le persone e portale verso le loro opinioni, le quali, in quanto opinioni, sono, per il parresiasta Socrate, false.

Il gioco parresiatico non ama lunghi discorsi ma, come afferma Socrate, usa quelle poche parole con “le quali son solito parlare in mercato ai banchi”: parole franche, sincere, non sofisticate.

Il dialogo di Socrate è, in definitiva, domanda e ascolto di una verità che nasce dentro di noi.

Il concetto di parresia viene ripreso nel Cinismo, il quale ne fa un principio fondamentale.

Per il Cinismo il fine naturale della vita umana è raggiungere l’indipendenza, uno stato di benessere e felicità, basato su diverse pratiche, tra le quali una vita frugale (una vita da “cani”, da cui cinismo) e la parresia, cioè un modo per dire coraggiosamente il vero. Il cinico è l’uomo con il bastone, con la bisaccia, con il mantello, l’uomo che cammina con i sandali a piedi nudi, l’uomo con la barba, errante, senza casa, senza patria, sulle strade del mondo.

Anche Seneca fu un cultore della parresia. In una sua lettera Lucilio dice: “Io voglio che le mie parole siano semplici e chiare, esse infatti non devono essere artificiose e false ma mostrare direttamente i miei sentimenti, come se sedessimo o passeggiassimo insieme”.

In tempi più recenti Michel Foucault, un filosofo sociologo e storico vissuto nel 1900, ha trattato con molta cura questo aspetto nei suoi corsi al Collège de France e, in particolare, nel corso intitolato “Il coraggio della verità”.

Colui che usa la parresia “preferisce essere uno che dice la verità, piuttosto che un essere umano falso con se stesso”.

La sincerità e la spontaneità sono le condizioni per raggiungere il cuore della persona a cui si rivolge la nostra parola, senza che questa sia qualcosa di superficiale, prevedibile e futile; ed è proprio perché corriamo il rischio di urtare o irritare

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l’interlocutore, siamo in grado di contribuire alla nostra e alla sua formazione morale e spirituale.

Insomma, la parresia è un modo di parlare ed interagire con gli altri consistente nell’utilizzare frasi e parole semplici, brevi, chiare e senza esagerazioni, dicendo tutta la verità, senza nascondimenti.

Non c’è dubbio che, a parole, la franchezza è sempre stata rappresentata come una virtù, un comportamento positivo, ma in pratica vediamo come invece sia molto difficile praticarla. Capita infatti nella vita quotidiana di imbattersi quasi sempre in situazioni dove le menzogne o le mezze verità siano di casa e sia molto difficile incontrare delle persone disposte a mettersi in gioco nel dialogo. Che cosa ne penserà la gente incontrata per strada?

Aronne Moltrasio

Filosofia ONDEROD

Il progetto SCONFINI è stato realizzato dalla classe 4G del Liceo "Grassi" di Lecco, nell'anno scolastico 2019/20.

Le interviste sono di passanti incontrati nelle piazze e lungo le strade di Lecco.

Le tracce audio originali sono a disposizione della scuola.

È stato realizzato un video con le interviste, doppiate dagli studenti, per partecipare al FESTIVAL dei BASKERS di Ferrara.

Il presente libretto, con il video allegato, parteciperà al “Premio internazionale della letteratura di Como”.

Grazie a tutti quelli che, in modo o in un altro, ci hanno permesso la realizzazione del progetto.

Un particolare ringraziamento al Dirigente Scolastico Sergio Scibilia.

“Stiamo solo perdendo tempo … non funzionerà mai!"

“Stiamo solo perdendo tempo … non funzionerà mai!”: sono certo di non sbagliare quando dico che questo pensiero era comparso nella mente di tutti durante la prima uscita. E come avrebbe potuto funzionare, d’altronde? La pioggia appena caduta aveva disperso la maggior parte dei passanti e il vento gelido di dicembre rendeva nervosi e scostanti i pochi rimasti. Per non parlare delle insicurezze dei gruppi che erano visivamente restii ad approcciare dei perfetti sconosciuti sulla strada, come lo si è ogni volta che ci si trova a fare qualcosa di diverso ed eccitante, ma di cui non si è ancora del tutto convinti. Come dargli torto comunque? Chi avrebbe mai avuto il tempo e la pazienza di ascoltare un gruppo di ragazzi poco convincenti, che si spacciavano per liceali intenti in un progetto scolastico? E anche se qualcuno si fosse fermato, quanti sarebbero stati disposti a perdere del tempo prezioso ragionando su improbabili tracce filosofiche?

La prima mezz’ora era passata così: tra scetticismo crescente, tentativi di approccio vani e rifiuti scostanti. Forse avevamo sbagliato a selezionare i luoghi, o forse nel metodo di approccio; certo il freddo e le nuvole non miglioravano la situazione … forse sarebbe cambiato qualcosa con anche solo un po’ di sole … e alla fine il sole è arrivato, e con esso la gente. Poco dopo che i primi raggi hanno fatto capolino dalle case più alte, le persone hanno cominciato a uscire, e stavolta per davvero. Non uscivano più per andare frettolosamente da un posto ad un altro, ma semplicemente per stare all’aria aperta, girare per i negozi, passeggiare con la propria metà.

Uomini e donne di età più disparate hanno cominciato piano piano ad affollare le vie e le piazze, portando con loro una nuova speranza. Il sole aveva cambiato l’umore alla città, e finalmente i nostri gruppi hanno cominciato ad ottenere i primi risultati. Non posso dire che smettemmo di ricevere rifiuti, ma insieme ad essi cominciavano a venire le prime vere interviste: contorte, divertenti, bizzarre e uniche nel loro genere. Non erano molte, ma sufficienti a motivarci, a cancellarne lo scetticismo e rimpiazzarlo con la curiosità pulsante di sapere la prossima intervista sarebbe stata ancora più strampalata della precedente. Strampalata sì, ma indubbiamente satura di un messaggio molto importante: che la filosofia, quella strana arte che ha spinto per migliaia di anni i filosofi del mondo a lanciarsi nei ragionamenti più disparati, non era morta, bensì viveva ancora dentro la mente o il cuore delle persone più comuni, aveva solo bisogno di essere risvegliata e alimentata. Chiedendo a semplici passanti di ragionare su temi vecchi di centinaia o addirittura migliaia di anni, ci siamo accorti che i loro ragionamenti non erano poi così diversi e sicuramente non meno contorti di quelli tramandatici da Socrate, Platone e Kant. Il motivo di questa similitudine è ben riconoscibile: la maggior parte di loro ha risposto sulla base di sentimenti e sensazioni derivanti da proprie esperienze personali … esperienze che si sono mantenute costati dall’età dei filosofi greci fino al secolo degli smartphone e del 5g … esperienze come l’amore, l’amicizia, l’empatia, la sincerità e il rispetto: componenti poi così non estemporanee della vita di tutti noi e sulla base delle quali ci è possibile affermare che la filosofia è ancora viva e che probabilmente vivrà per sempre.

Jacopo Perego

filosofi onderod

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