Il Mostro di Milwaukee

Il successo della serie Netflix “Dahmer: mostro” ha portato alla luce le malefiche azioni dell’omicida, suscitando polemiche sui social tra critici e sostenitori.

di Luka Cikic e Therese Gaye - 21/11/2022

Jeffrey Dahmer adolescente.

Uccideva le persone. Le scorticava, le confezionava, le mangiava e ne preservava gli organi. Jeffrey Dahmer, considerato da tutti un ragazzo educato, gentile e rispettoso, nascondeva un lato inimmaginabilmente oscuro e tremendo. Quando la sua ultima vittima riuscì a scappare e ad allertare la polizia, la storia del terribile assassino rimase nell’ombra per anni. Soltanto con l’uscita della serie, il mondo venne a sapere chi era veramente il Mostro di Milwaukee.


LA VITA

Sin dalla tenera età Dahmer iniziò a sviluppare un carattere chiuso e apatico a causa dell’eccessiva mancanza e dei continui litigi dei genitori. Data tale situazione, trovò sfogo in quella che inizialmente doveva essere solo una semplice curiosità: la tassidermia, una tecnica per conservare corpi di animali morti. Come se non bastasse questa attenzione per la morte, all’età di 13 anni cominciò a coltivare fantasie sessuali che avevano come oggetto cadaveri. Quando raggiunse la pubertà iniziò a consumare quantità elevate di alcolici e di tabacco, arrivando anche a capire di essere omosessuale. Subito dopo il divorzio dei genitori, una volta raggiunta l’età dei 18 anni, Dahmer andò a vivere da solo e mise in atto il suo primo omicidio; una volta uccisa la vittima egli compì atti sessuali con il cadavere, finendo poi per smembrarlo. 

Passato un po’ di tempo, si arruolò come volontario nell’esercito, specializzandosi come soccorritore medico e, trascorsi due anni di servizio, fu dimesso a causa del suo alcolismo. Una volta tornato a casa, il padre lo mandò a vivere da sua nonna - unico membro della famiglia al quale Jeff mostrava affetto - dove trovò lavoro come flebotomo, ma venne licenziato solo dopo 10 mesi, rimanendo disoccupato per oltre due anni. Durante questo periodo Jeff continuò a coltivare le proprie passioni, custodendo manichini rubati e sciogliendo animali morti nell’acido. Frequentava anche locali gay. 

Il killer di Milwaukee commise circa 17 omicidi, tutti messi a segno seguendo sempre la stessa metodologia di addesco e squartamento di cadavere, con l’aggiunta di esperimenti sulla mummificazione e zombificazione. Il 22 luglio del ‘91 adescò un’altra vittima, le somministrò un sonnifero dentro una bevanda, la ammanettò e la costrinse a guardare assieme a lui un film. La vittima, accortasi della nauseante e pungente puzza, degli strani oggetti sparsi in giro per la casa come martelli, mannaie e trapani, teschi umani dipinti e foto di cadaveri smembrati, colpì l'aggressore con un pugno e riuscì a scappare chiamando la polizia che poi avrebbe arrestato il killer. 

Dahmer dovette rispondere a 15 capi di imputazione davanti al giudice, il quale gli conferì la pena di 15 ergastoli (957 anni) da scontare nella prigione del Columbia Correctional Institute di Portage, dove, dopo due anni, venne ucciso da un detenuto schizofrenico.

La famosa foto dell'assassino.

L’immagine, tratta da un fotogramma della serie, ritrae l’interpretazione del processo dell’omicida Jeffrey Dahmer. 

PERCHÈ SE NE PARLA DOPO TRENT’ANNI DALLA CONDANNA

L’assassino si fa conoscere grazie alla serie tv uscita il 21 settembre su Netflix dal titolo “Dahmer: Mostro”, dei registi statunitensi Ryan Murphy e Iann Brennan. 

La storia viene raccontata in 10 puntate e da subito suscita molto interesse soprattutto sui social, in modo particolare su TikTok, dove si accende un dibattito pieno di critiche tra persone che lo difendono e altre che invece lo condannano.                

Moltissime persone hanno giustificato Dahmer e provato empatia nei suoi confronti, affermando che non avesse commesso i propri crimini per volontà propria ma a causa della solitudine in cui viveva, della sua infanzia difficile e senza affetto, e anche dei disturbi di cui soffriva, come parafilia (desiderio costante di soddisfare gli istinti sessuali), schizofrenia, narcisismo e antisocialità. Altri spettatori, invece, hanno semplicemente trovato qualche giustificazione insensata per crimini orribili che Dahmer aveva commesso, come la considerazione sulla sua figura estetica, ritenuta attraente dal pubblico femminile.

Ad ogni modo, la storia del Mostro di Milwaukee è esplosa anche per un altro motivo: la completa e totale ingenuità delle forze dell’ordine che spesso hanno arrestato il giovane per violenze sessuali e tentati omicidi, ma non hanno mai davvero approfondito le indagini sul caso. I motivi? Operavano in maniera molto svogliata e davano poca importanza alle vittime ed ai testimoni appartenenti a minoranze etniche e sociali, come gay, neri e ispanici. 

Il comportamento superficiale della polizia, unito al razzismo, manifestato in molte forme, ha portato Dahmer a uccidere indisturbato per anni. Per questo molte persone hanno visto la serie come una denuncia contro la polizia americana.

LE POLEMICHE SUL SUCCESSO DELLA SERIE

Dalla serie sono spuntate numerose polemiche, ed in primis quelle delle famiglie delle vittime, le quali hanno accusato Netflix di aver pubblicato contenuti riguardanti la loro storia senza il consenso, di aver sfruttato il loro dolore per fini commerciali e di aver dato notorietà, nel mondo dei social, all’assassino.

Il cugino di una delle vittime, in modo particolare, ha commentato quanto accaduto su Twitter scrivendo: ”Vuol dire rivangare il trauma ancora e ancora, con quali scopi? Di quanti film e serie e documentari abbiamo bisogno?”, tuttavia è evidente come i suoi richiami non siano serviti a nulla. Un paio di settimane dopo l’uscita della serie, infatti, Netflix ha distribuito un nuovo documentario di tre puntate, dal titolo ‘Conversazioni con un killer: Il caso Dahmer’. Si tratta del terzo capitolo della serie di Joe Berlinger (dopo ‘Il caso Bundy’ e ‘Il caso Gacy’) con l’obiettivo dichiarato di fornire un pezzo della psiche contorta di Dahmer e rispondere alle domande rimaste aperte sulla responsabilità della polizia. La produzione ha potuto accedere anche in questo caso ad archivi vocali inediti - dialoghi tra Dahmer e i suoi avvocati - registrati subito dopo l’arresto, che hanno aiutato a far luce sul caso e sui turbamenti che hanno gradualmente condotto l’omicida da un’infanzia difficile a una fine tragica

Gli interni del suo appartamento.

Chi scrive appartiene alla categoria che ha trovato questa serie fortemente romanzata ma allo stesso tempo molto interessante. 

Sorprendente è il fatto che esistano persone che cercano di trovare una scusa alle azioni del protagonista, nonostante le cose orribili che ha fatto. Quasi sicuramente, se fosse stata una persona nera a compiere le azioni di Dahmer le cose sarebbero andate completamente in modo diverso, dato che sarebbe subito stato incarcerato ai primi capi d’accusa, a causa dei pregiudizi nei confronti delle minoranze etniche. 

Non si riesce ad immaginare il dolore che dovranno sopportare per sempre i parenti delle vittime. Ci si augura che la serie ed il successivo polverone abbiano mostrato l'inefficienza della polizia americana degli anni passati.