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Viaggio nel “Placido” treno della follia
Recensione del film "Eterno Visionario" di M. Placido (2024)
a cura di Adam Fauzia
‘Eterno Visionario’ è un film diretto da Michele Placido che, antologicamente, ci porta in una frenetica sequenza attraverso le gioie e, soprattutto, i dolori di Luigi Pirandello.
La vita privata dell'autore siciliano, prima ignota ai più, grazie a questa opera cinematografica è ora divulgata attraverso immagini che colpiscono nell'animo l’osservatore lasciando un lascito residuale che permette a chiunque di porsi la domanda: che cos'è la normalità?
Gli eventi biografici di Pirandello vengono narrati attraverso una serie di flashback che ha come sfondo, nell’intreccio narrativo, il viaggio verso Stoccolma dell'8 Dicembre 1934 per la premiazione del Nobel. Durante questa traversata dell'Europa Settentrionale Pirandello ripensa a tutti quei personaggi che gli hanno permesso di raggiungere l'obiettivo del riconoscimento internazionale.
Volendo ricostruire i passaggi fondamentali i personaggi essenziali sono tre: Antonietta Portulano, Marta Abba e i tre figli; questi ultimi racchiusi in uno solo poiché, spesso, arrivano allo spettatore come personaggio corale.La prima figura di spicco all’interno del film è Antonietta Portulano, la moglie di Pirandello. Fin dalle prime scene è possibile osservare che ella è in preda alla follia totale, nata dal tentativo più disperato di sopportare la mancanza del figlio Stefano, partito per la Grande Guerra. Anche al ritorno del figlio, nel 1918, però, Antonietta è afflitta, in un crescendo di degenerazione, dalla malattia. Nonostante sia madre, arriverà a rifiutare e dubitare dell'amore di Stefano e Fausto e immaginerà un rapporto incestuoso tra Luigi e Lietta, figlia femmina della famiglia che tenterà anche il suicidio. Sebbene la malattia della moglie invalidi il rapporto di affetto all'interno della famiglia, Pirandello ne prende spunto: durante una serata in cui Antonietta è in preda ad una accecata lussuria, Luigi, chino sulla scrivania, sembra sentire delle voci che si trasformano, poi, in figure vere e proprie in un gioco, quasi macabro, di luci e ombre. Nel mezzo di questa nottata di follia e libido scrive “Sei personaggi in cerca di autore”.
La pazzia di Antonietta è insopportabile per Pirandello e i suoi figli, che decidono, in ultimo, di rinchiuderla in un ospedale psichiatrico. Il personaggio della Portulano tornerà verso le ultime battute, quando incontrerà per la prima volta i suoi nipoti e un vecchio e canuto Pirandello, e dopo questo incontro scapperà per ritornare all'ospedale rendendosi conto, forse, della sua fragile condizione. In Antonietta Pirandello trovò una musa ispiratrice caotica e, al ricovero di lei, cerca qualcuno che la possa sostituire. La novella musa di Pirandello è Marta Abba, una giovane e bellissima ragazza che farà di Pirandello un fanatico della sua bellezza, a tal punto da cercare di intrecciare con lui un rapporto romantico che, però, mai avrà luogo per il desiderio di lui di mantenerla lontana da un “vecchio” come lui era già al tempo: i due avevano una differenza di età di 33 anni.
Marta è un personaggio emblematico e, a mio parere, opportunista. Pirandello riesce a far fortuna grazie alle doti attoriali di Abba, ma ovviamente anche alla genialità del suo teatro, troppo innovativo per l'epoca in cui visse. Grazie a Luigi, Marta riesce a diventare una delle attrici più famose della metà del Novecento, approdando anche in America. Ma è proprio l'America il tratto opportunistico di questo personaggio. Il viaggio verso Hollywood avviene nel momento in cui, in Germania, Pirandello scopre che Friedrich Wilhelm Murnau, un noto regista tedesco, ha deciso di annullare la loro collaborazione che, se fosse andata in porto, avrebbe portato l'autore siciliano sugli schermi televisivi del globo. Al fallimento della possibilità di Pirandello di avere un successo internazionale Marta Abba decide, probabilmente anche a malincuore, di abbandonarlo.
Il grande successo di Pirandello lo porta anche ad aderire al Fascismo. Questa adesione era per molti inaspettata e sorprese anche alcuni dei suoi amici più stretti. Probabilmente Pirandello accettò Mussolini come Duce sia per un certo conservatorismo che egli comunque aveva, ma, soprattutto, per mantenere un senso di libertà nella sua arte.
Tra i mille litigi e problemi, ma anche nelle più grandi gioie, i figli Stefano, Fausto e Lietta gli sono sempre stati accanto, se non fisicamente, almeno con il cuore. Stefano, in particolare, è stato un vero e proprio aiutante per il padre che, arrivato a una veneranda età, iniziava a percepire la difficoltà di intrecciare rapporti lavorativi vantaggiosi, come, per esempio, la registrazione de “Il Fu Mattia Pascal”. Il figlio Fausto, d’altra parte, è quello che sembra essere meno analizzato all'interno della pellicola. Decide di non aiutare il padre, come invece fa il fratello, per trasferirsi a Parigi e vivere come artista. All’interno del gruppo familiare è quello che, più di Stefano e Lietta, agisce da ponte nel rapporto genitori-figli, cercando, talvolta impetuosamente, un punto di incontro valido.
La più giovane, Lietta, da una parte è molto legata al padre, dall'altra sente stretta la dimora familiare in cui ha sofferto molto. Incontra, nel mezzo di uno spettacolo del padre, un generale cileno con cui si sposerà e, per questo amore, vorrà trasferirsi in Cile, dove piangerà la distanza dalla famiglia. Allo stesso modo Pirandello è estremamente addolorato per la lontananza dalla figlia. Manda molte lettere, ma a poche riceve risposta.
Il treno è arrivato, siamo a Stoccolma. Nel giubilo della folla Pirandello riceve il Premio Nobel per la Letteratura. Alcuni giorni dopo il telegramma che annunciava il successo all'Accademia Reale Svedese, gli venne chiesto cosa ne pensasse della vittoria del Premio ed egli rispose “pagliacciate! pagliacciate!”, dimostrando la sua incredibile dote di autoironia. Dopo il Nobel la vita continua e gli eventi sono molteplici, ma proprio durante la registrazione de “Il Fu Mattia Pascal” la salute di Pirandello si fa sempre più precaria.
Luigi aveva scritto un breve testo intitolato “Mie ultime volontà”, composto qualche anno prima: «Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiera non che di parlarne sui giornali, ma di non farne pur cenno. Né annunzi né partecipazioni. Morto, non mi si vesta. Mi s’avvolga, nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun cero acceso. Carro d’infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni, né parenti, né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta. Bruciatemi. E il mio corpo appena arso, sia lasciato disperdere; perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui».
E così fu, alla camera funeraria vi erano la moglie, i figli e Marta, nessun altro. La vita di Pirandello si spense così come era trascorsa, nell'eccentricità e nella stranezza.