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Recensione del film "Megalopolis" di F. Ford Coppola
a cura di Eros Catanzaro
C'era una volta un vecchio satiro che sognava di essere il Sole e di volare in alto nel quarto cielo della volta celeste, dunque alcuni lo chiamavano genio per le pregresse glorie, altri Icaro per l'eccessiva smania, altri ancora stella cadente, ma se chiedeste a me, io vi direi che ho visto solo un borioso capitombolo dalla finestra. Titolano: MEGALOPOLIS "visionario", "coraggioso", "audace". Nel deserto pure l'acqua rancida sembra ambrosia. Acqua stagnante con qualche petalo di rosa, essa non porta cura ma perpetua un inesorabile prurito. Tanto tedio, ma non si tocca mai il fondo, forse ci vuole ammonire e dirci che dovremmo diffidare dalla mediocrità che veste la toga?
Si vuole fare politica con l'arte, ma si razzola male perché invece sembra che si faccia "art attack". Il Maestro, anche se lui stesso rifiuta questo titolo, parte da un ottimo soggetto che sarebbe potuto essere brillante eppure si diverte troppo con un collage comme ça vient, ça vient che pretende di rompere il linguaggio cinematografico, ma non gli riesce "Bene". È un film che non porta nulla di nuovo sul tavolo, un'avanguardia hollywoodiana (si noti l'ossimoro), che gioca con i colori ma lo fa con un'ingenuità da amatore, sebbene alcune scene e singoli scatti siano appunto da maestro (ecco cosa ha portato a credere che sarebbe potuto essere un capolavoro) il film nel suo insieme è disarmonico e per niente innovativo, come invece sostiene da giorni la critica "che conta". A riguardo sorge il dubbio che per alcuni l'amore del “politicantesi” valga più dell'amore per la bellezza; quest'ultima è evidentemente una creatura olistica e di certo non basta incollare piccole belle cose per dar vita ad un capolavoro, soprattutto se la malta si chiama cattivo gusto: la vetusta satiriasi manca del giusto tempo musicale e risulta noiosa, la riflessione politica scontata ed incoerente, l'architettura banale. È vero, questa utopia ci fa sognare, garantendoci un letargo eccezionale!
Eppure a volte quando il tedio ci ha già attanagliato, ecco che il film fa harakiri col fuoco ricordandoci in ogni parte e modo quanto il suo grigiume sia nascosto dall'ombra dei Giganti: in questa favola più si raccolgono i pezzetti di pane che ci vengono lasciati sul sentiero, ossia le citazioni ai vari Lang, Wiene, Menzies, Wells, Hitchcock, Shakespeare, Dante, Freud, Emerson, H.G. Wells, Saffo, Ovidio, Sallustio, Cicerone, Marco Aurelio, Rousseau, Petrarca e altri, più si fa indigestione e si comprende come questa operetta s'inginocchi rispetto alla sua stessa scolastica. Così in sala lo spettatore attonito riflette su l'imitatio mal riuscita e si chiede: perché essere così esagerati? Ed evidentemente il problema qui è di quantità più che di qualità. Dal canto nostro crediamo che ci sia un limite fra la buona citazione ed uno specchio per le allodole, quest'ultimo è il grossolano autoerotismo dell'intellighenzia che si seduce con le sue roboanti "sciccherìe", la linfa nutritiva dei mal gustai par excellence, che godranno immensamente dalla visione grazie ad uno speciale gusto per il bitume e per il combustibile fossile, io ricordo invece che l'arte della citazione esiste ed essa è molto fine. Dopo tutto sembra che in questo film ci sia ancora un'altra "cosa grande" al di là del titolo di espressionista memoria, ed è proprio questa "grandezza" che ci offre un ultimo sorso di amarezza, si tratta di un inciso ad una possente e scontata rivelazione: la rivoluzione non può giungere dai grandi nomi del cinema passato. Continuiamo a diffidare dal passatismo contemporaneo che veste nuove camicie al neon, in nome di una vera rivoluzione che deve giungere dagli autori estranei all'aria pesante: giovani spiriti. È necessario un mutamento e ciò non può partire dal cinema d'annata e dai suoi famosi autori; non basta che un ottimo regista americano di estro intellettuale provi a fare il profeta per cambiare tutto, questo cinema non apporta nulla di nuovo e non apre un'avvenire in nessun ambito. Ai suoi tempi il caro Francis Ford Coppola la sua piccola rivoluzione francese la fece con la scuola della Nuova Hollywood, oggi è veramente troppo vecchio per pretendere di ispirare una rivoluzione copernicana. I troppi anni non fanno bene alla creatività, ma sicuramente possono creare delle buffe "crisi di tarda età".
Costumi pregevoli, regia di indubbia esperienza, attori convincenti, ma anche originalità solo apparente, scrittura confusa, montaggio deludente, effetti speciali mediocri, citazionismo morboso, incoerenza, paternalismo, solo una parola: pretenzioso. Sicuramente, e si sapeva in anticipo, una partita Coppola l'ha già vinta, perché si parla e si parlerà a lungo del suo film anche se le sale rimangono vuote, ma dopotutto chi vorrebbe andare in queste sapendo che al banco gli viene offerto un flusso di coscienza da baretto, mal condito con una preconfezionata utopia e con l'aggiunta di un agitato non mescolato di confuse "considerazioni" sul tempo, che però di tempo ce ne sottraggono in abbondanza, facendoci chiedere ad un certo punto "Quousque tandem abutere, Coppola, patientia nostra"?