Un nuovo modo di vedere la filosofia o un ritorno alle sue origini? Una grande partecipazione lo scorso sabato al prestigioso Teatro Cavour di Imperia, dove Simone Regazzoni, docente di filosofia e allievo di Jacques Derrida, ha presentato il suo spettacolo "La Palestra di Platone" come parte del Progetto SPRINT "Corsa verso un futuro inclusivo e sano", per la regia di Sergio Maifredi e con le musiche dal vivo eseguite da Eugenia Canale (pianoforte), Luca Falomi (chitarra acustica) ed Edmondo Romano (percussioni e fiati). I cuori degli atleti battevano per il desiderio di vittoria, i loro nervi erano tesi e lo sguardo ardente e fiero preannunciava sprezzante la lotta e la fatica - così si potrebbe descrivere un evento sportivo recente e ritrarne degnamente l'atmosfera ricca di tensione, ma alla stessa maniera potremmo anche tratteggiare gli agoni atletici dell'antichità restituendo la loro dimensione eroica; questo è ciò che ha scelto di fare il professor Regazzoni creando un percorso diacronico fra passato e presente dove il punto di contatto è la filosofia, in particolare Platone. Quest'ultimo viene spesso ricordato dall'immaginario collettivo come un individuo di età avanzata, con una lunga barba e una chioma canuta, come lo ha dipinto Raffaello Sanzio nella Stanza della Segnatura prendendo spunto dal suo contemporaneo Leonardo da Vinci, ma tale figurazione tradizionale del filosofo è stata messa recentemente in crisi. Stephen Miller, professore di studi classici all'Università di Berkely, rese pubblici nel 2003 i risultati delle sue ricerche su un busto di Platone conservato nel museo dell'università dal 1902 e ritenuto da tempo un falso; il docente ritiene, invece, che la statua sia una copia romana di un originale greco proveniente direttamente dall'Accademia platonica. L'opera ridefinisce la raffigurazione dell'aspetto di Platone, infatti nonostante rimangano l'abbondante barba e lo sguardo severo, si aggiungono nuovi dettagli atipici: orecchie rigonfie "a cavolfiore", da lottatore, e una fascia a circondargli il capo, il simbolo degli onori sportivi nell'antica Grecia. Un Platone non solo sportivo, ma un vero e proprio atleta, e la storiografia antica già riportava lo stretto legame fra il filosofo e l'agonismo fisico, infatti già Diogene Laerzio nelle Vite dei filosofi ci ricorda la sua partecipazione ai Giochi Istmici e la pratica giovanile della πάλη, la lotta, infatti sarebbe forse proprio per il suo vigore fisico che Aristocle assunse l'appellativo di Platone, da πλατύς, largo. L'Accademia, oltre ai luoghi di culto e al bosco sacro di ulivi, comprendeva un grande ginnasio, quello che oggi definiremmo palestra, lo spazio dove i giovani maschi greci praticavano le attività fisiche, soprattutto lotta e pugilato - πάλη καί πυγμή - fondamentali per allenare il θυμός, la forza vitale, quella che i latini chiamano fortitudo, una parte mediana fra razionalità e primitivo istinto. Secondo Regazzoni il legame fra il sudore del ginnasio e la filosofia platonica è strettissimo e indissolubile. Ecco quindi che le anime 'sudate' e cadute di Platone devono lottare, combattere e sforzarsi per tornare nella propria sede iperuranica, praticando una filosofia il cui scopo è rendere forti le anime deboli e in cui la vittoria è riaffermazione. Nei testi Platonici anche il dialogo è una forma di lotta, fra Socrate e l'interlocutore, ma non bisogna sorprendersene, infatti non sarebbe sbagliato definire lo spirito greco uno spirito agonistico, ricordando quello che fu un popolo amante tanto delle gare poetiche e dell'oratoria quanto dello sport, come ci illustra anche il sommo Omero. Reinterpretare in tal modo l'opera antica rivela sfumature rimaste nascoste, ad esempio la componente motoria nel conosciuto mito della caverna, nel quale la forza che libera l'uomo sarebbe quella che gli dà il coraggio di compiere un gesto, alzarsi, ἀνίστημι - mi alzo, guarisco da un malanno, risorgo - termine che appare anche nei Vangeli alludendo alla Resurrezione, quindi emanciparsi dalla sedentaria quotidianità composta da ombre e illusioni, non solo spiritualmente, ma anche e in primo luogo a livello fisico. I cuori degli atleti battevano per il desiderio di vittoria, i loro nervi erano tesi e lo sguardo ardente e fiero preannunciava sprezzante la lotta e la fatica: era il 1996 i Chicago Bulls erano pronti per giocare una storica partita contro gli Orlando Magic, era il 1974 "Rumble in the Jungle" Muhammad Ali stava per sconfiggere il colosso George Foreman, era il 720 a.C. Acanto di Sparta vinceva le gare di dolico e diaulo. Costoro inconsapevolmente stavano tutti praticando alcune delle più alte virtù filosofiche, quelle del coraggio e della disciplina, le quali Platone conosceva bene e proprio per questo istruiva i suoi allievi in un ambiente pregno di quella fatica e di quell'operosa disciplina che più di ogni altro mezzo era ed è la chiave di una vita filosofica, quindi saggia. L'educazione giovanile del mondo antico ha molto da insegnarci, i nostri predecessori non scindevano totalmente l'attività dell'anima dall'attività del corpo, allora si percepiva attraverso un'intuizione semplice e spontanea la diretta correlazione fra fenomeno mentale e corporale, oggi la ricerca e gli studi sembrano riproporci, in una nuova veste, un sapere millenario, già posseduto e applicato da filosofi come Platone. Così φιλοσοφία - amore della sapienza - sarebbe nient'altro che un calco da φιλοπονία - amore della fatica, sia mentale che fisica.