Il termine “virtualescenti” è stato coniato da Vincenzo Cascino per descrivere una nuova generazione di adolescenti che vive, comunica e si forma all’interno di ambienti digitali e immersivi.
La parola nasce dalla fusione semantica di virtuale e adolescenti — virtual + lescenti – e indica in modo sintetico ma potente i soggetti in età evolutiva che costruiscono la propria identità, socialità e conoscenza nel mondo virtuale.
I virtualescenti non abitano più due mondi separati – reale e digitale – ma si muovono in un continuum fluido tra realtà fisica e realtà virtuale.
Le piattaforme online, i social network, i videogiochi interattivi e gli ambienti immersivi (come il metaverso o la realtà aumentata) rappresentano spazi di linguaggio e relazione in cui costruiscono senso, appartenenza e visione del mondo.
Questi ambienti generano nuovi linguaggi – non solo verbali, ma multimodali – che combinano:
codici visivi (emoji, meme, avatar, filtri, skin, ambienti 3D);
codici sonori (musica, effetti, remix, voice chat);
codici gestuali e simbolici, che si esprimono nelle dinamiche del gaming e della socialità online;
micro-linguaggi identitari, come abbreviazioni, slang digitali, o espressioni tipiche delle community virtuali.
Questi linguaggi non sono soltanto nuovi strumenti di comunicazione: sono forme di pensiero e rappresentazione del sé. Nei virtualescenti, infatti, il linguaggio non serve solo a dire, ma anche a costruire l’identità, a mettere in scena l’esperienza, e a negoziare il proprio posto nel gruppo.
Cascino, nei suoi studi, collega il concetto di virtualescenti al passaggio da un pensiero frammentario – tipico della comunicazione istantanea, breve e dispersa – a un pensiero megalogico, più ampio, integrato e complesso.
L’educazione ai nuovi linguaggi, in questa prospettiva, diventa una sfida pedagogica centrale: si tratta di insegnare ai giovani non solo a usare la tecnologia, ma a pensarla, a comprendere i suoi codici, a sviluppare una consapevolezza critica e creativa.
I virtualescenti rappresentano dunque la prima generazione che non “entra” nella realtà virtuale, ma nasce dentro di essa.
Comprendere i loro linguaggi — fluidi, visivi, interattivi e simbolici — significa capire come cambia il modo di pensare, apprendere e relazionarsi nel XXI secolo.
Il termine coniato da Vincenzo Cascino non descrive soltanto una condizione tecnologica, ma una nuova antropologia educativa: quella di adolescenti che vivono “in presenza nella distanza”, costantemente connessi, in un equilibrio sottile tra il reale e il virtuale.