Uomo e Identità
Zygmunt Bauman, sociologo polacco, nato a Poznań, in Polonia, il 19 novembre 1925 è conosciuto oggi come il teorico della cosiddetta “Modernità liquida”.
Egli ha paragonato il concetto di modernità e postmodernità rispettivamente allo stato solido e liquido della società. Mentre nell’età moderna tutto era stabile come una solida costruzione, ai nostri giorni invece ogni aspetto della vita è liquido e dunque facilmente modellabile. Nulla ha più contorni e confini definiti, nitidi e precisi. Tutto ciò influisce sulle relazioni umane, divenute ormai temporanee e vacillanti in quanto non ci si vuole sentire imprigionati. Bauman afferma quindi, che l’incertezza e la precarietà che tormenta la società moderna ha origine dalla trasformazione dei suoi personaggi da produttori a consumatori. Dunque «una società può definirsi liquido-moderna se le situazioni in cui operano gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure» .
Diventa così centrale il problema relativo all’identità , come afferma lo stesso sociologo «se il “problema moderno dell'identità" riguardava come costruire un’identità e mantenerla solida e stabile, il “problema postmoderno dell’identità” riguarda primariamente come evitare la solidificazione e lasciare aperte le opzioni.»
Il concetto di identità viene definito in sociologia come «una modalità dinamica di rappresentazione dell’Io.»
Per Zygmunt Bauman il sentimento principale che tormenta l’uomo postmoderno è il disagio, che deriva dal problema dell’identità. Nel postmoderno a differenza dell’epoca moderna , in cui l’obiettivo principale era quello di costruire un’identità stabile e fissa, diviene fondamentale evitare ogni tipo di fissazione e stabilizzazione. Bauman esemplifica nello specifico il problema attraverso figure, quali quella del pellegrino, del turista e del vagabondo per chiarire al meglio la questione.
Il pellegrino, simbolo dell’età moderna, è l’immagine dell’uomo che sta pian piano edificando la propria vita, il proprio futuro, la propria identità. Nonostante ciò la figura del pellegrino non trova ormai spazio nel postmoderno, poichè la realtà è troppo precaria e instabile affinché si possa costruire qualcosa di duraturo nel tempo.
Arriva dunque il turno del “flaneur” (il gentiluomo che vaga per le vie cittadine, provando emozioni nell’osservare il paesaggio) ma, soprattutto, quella del vagabondo. Considerato un vero flagello durante l’età moderna, nel postmoderno la figura del vagabondo viene rivalutata proprio per la sua mancanza di radici e di stabilità, specchio del mondo in cui è catapultato. Infine vi è il turista, che a differenza del vagabondo ha una casa, quindi delle radici, ma si sposta per brevi periodi alla ricerca continua e ossessiva di sensazioni e benessere.
Dunque il percorso che ha portato alla definizione di identità umana e personale è stato lungo e travagliato, iniziato oltre due milioni di anni fa e non è ancora giunto al termine.
È inoltre importante distinguere tra il concetto di identità umana, propria di tutti gli esseri umani, e identità personale, riguardante un solo individuo. L’identità umana riguarda un gruppo di esseri, mentre quella personale riguarda individui singolarmente considerati .
Fin dalla preistoria l’uomo prova a categorizzare il mondo che lo circonda per poter così anche definire la propria identità. Segni,incisioni, poi disegni e dipinti tentano di racchiudere il mondo, di descriverlo e pian piano procedendo con la maturazione psichica e biologica del genere umano, il processo di simbolizzazione è diventato sempre più efficace rendendo finalmente interpretabile e descrivibile la realtà. Il segno riproduce l’oggetto e lo rende presente e visibile anche quando assente. Poi anche emozioni e sentimenti, immateriali , inconsistenti ma da sempre padroni dell’uomo,trovano rappresentazione nelle pennellate e nelle incisioni. L’uomo diventa quindi in grado di dare identità al mondo che lo circonda , ai primitivi sentimenti che lo animano e di conseguenza anche a se stesso. Inizia dunque a rappresentarsi nelle pitture rupestri,in scene di caccia o di allevamento realizzando un’immagine rappresentativa di sé e della relazione con l’elemento esterno, individuando se stesso nelle proprie azioni e nelle interazioni con gli altri.
La creazione artistica è da sempre una caratteristica universale della specie:
“L’immagine è la forma che organizza l’insieme di elementi (rappresentazione affetti) provenienti da canali sensoriali diversi, e che rende possibile la percezione della relazione interiore con l’oggetto” (Peluffo 1984). L’arte permette dunque all’uomo di definire limpidamente la propria identità semplice ed elementare, ma stabile a differenza di quella dell’uomo postmoderno, sfibrata dalla frenesia consumistica,che tende ad assottigliarsi, a svuotarsi, a depersonalizzarsi sempre più.
Fra le conseguenze più gravi della debolezza umana ed esistenziale, Bauman ha rintracciato il decadimento delle strutture fondamentali della società. Entrano in crisi le famiglie e i rapporti umani; le istituzioni politiche, che pongono innanzi i propri interessi piuttosto che quelli dei cittadini; l’identità nazionale e partitica che si annulla a vantaggio di logiche di mercato; e la qualità del tempo che si perde del tutto, costringendo l’individuo a vivere apaticamente la propria esistenza ,per sfuggire alla paura del domani. La perdita di consistenza, di concretezza dell’individuo e il suo isolamento costringono l’uomo a non rispondere ai suoi compiti di cittadino attivo, padre o madre, intellettuale o scrittore, politico o insegnante, scompare così la funzione dell’etica sull’individuo e sulla società.
Nel mondo greco-romano le istituzioni avevano invece un ruolo di primaria importanza nella formazione degli uomini come cittadini e regolavano quindi il ritmo della vita di ognuno.
Non si può dunque parlare di liquidità nel mondo greco-romano, la stabilità data dalle istituzioni permetteva all’uomo di creare la propria precisa identità,di fondare le proprie radici in un terreno di principi e valori ben definiti.
L’identità dell’uomo greco costituisce infatti un microcosmo autonomo e irriducibile alle categorie contemporanee, caratterizzata da un diverso rapporto tra privato e pubblico, tra mondo degli dei e mondo terreno. Nel mondo antico si parla di uomo come entità individuale , ma soprattutto di uomo come cittadino poiché era la comunità a ricoprire il ruolo di guida .
Stabilità era data anche dai precisi confini territoriali, il confine della città rappresentava quindi anche il confine dell’identità,infatti Aristotele nella Poetica afferma:«Fuori dalla città si è bestia o Dio». Al giorno d’oggi invece non vi sono più confini territoriali, poichè sono stati spazzati via dalla globalizzazione, che come afferma il sociologo polacco è un fenomeno negativo poiché “gli strumenti per la regolazione dei processi economici e sociali non sono stati sufficientemente consolidati per affrontare le conseguenze della globalizzazione”, ciò ha portato alla scomparsa di un potere centrale stabile e fisso e dunque allo smarrimento del genere umano.
È importante poi analizzare la celebre affermazione di Aristotele all’inizio della Politica, riguardo la definizione della società nei suoi vari equilibri: “ogni stato (polis) è composto di famiglie (oikiai)” a loro volta, le famiglie sono costruite intorno a tre rapporti umani fondamentali: padrone/schiavo, marito/moglie, padre/figli. Dunque allora era fondamentale la comunità e il senso di appartenenza a un gruppo, a un insieme , l’uomo trovava così affermazione non nella propria individualità ma nella collettività. Il senso civile era inevitabilmente fortissimo , come testimonia Socrate nel Critone, affermando che è meglio morire, seppur ingiustamente, per decreto della polis piuttosto che vivere contro il suo volere: “Socrate obbedisci a noi che ti abbiamo allevato e non apprezzare la vita più della giustizia”.
L’identità dell’uomo era poi influenzata dai miti, creati al fine di delineare e definire l’uomo,la sua origine e il suo ruolo nel mondo, dunque per rispondere a quei millenari interrogativi esistenziali ancora oggi irrisolti. Il mito offriva dunque dei valori,delle norme comportamentali, dei principi , modelli di vita da seguire. Guidava l’uomo immerso in una paura accecante dell’ignoto, tentava di mostrargli la retta via da seguire, rassicurandolo con storie di uomini lontani ma vicini a lui. La finalità ultima che l'importanza dei miti nella cultura greca si pone risulta essere esattamente quella di celebrare un passato glorioso e allo stesso tempo di esprimere le riflessioni di uomini che, prima di noi ma come noi, hanno provato il dolore, il timore, l’angoscia, la gioia della vittoria, il rispetto degli dèi, l’amore per la patria, lo spirito di sacrificio.
Il teatro poi rappresentava un altro efficace veicolo per istruire i cittadini ed era finalizzato anche a farli riflettere su temi politici e morali, plasmando così la loro identità.
Il teatro rappresentava quasi un rito, un’occasione di incontro,di aggregazione e aveva l’obiettivo non di effetto scenico, ma di mostrare nel modo più chiaro e semplice le implicazioni morali della scena rappresentata. Gli spettatori potevano identificarsi nei personaggi, nei loro difetti e nei loro pregi, modellando la propria identità grazie agli insegnamenti e agli ammonimenti proposti. Così Euripide,Eschilo e Sofocle mettono in scena tragedie con eroi mitici ma incredibilmente umani che effettuavano una“catarsi” dai cattivi sentimenti: gli spettatori, essendo incredibilmente partecipi allo spettacolo, vivevano le emozioni che venivano rappresentate, liberandosi da esse. La letteratura, le parole sono il mezzo attraverso il quale modellare le menti, creare uomini, singole identità che costituiscono una comunità:“La lingua è più potente della spada.” -Euripide.
Al giorno d’oggi non sono più la letteratura o il teatro a ricoprire un ruolo di guida per le menti umane, poiché come sostiene Bauman la società postmoderna è divenuta tanto frenetica, schiava del consumo e vittima dell’industria della paura da aver perso ogni punto fisso,ogni occasione di incontro e di scambio. Bauman rileva quindi la crescente presenza di spazi pubblici ma non civili, sempre più presenti sono infatti centri commerciali, nei quali si incontrano consumatori, ma non uomini cittadini.
Non sono più presenti quegli eroi epici, che come dei libri aperti, sempre presenti guidavano gli uomini offrendo loro un sistema di principi ben chiaro,quali l’onore (TIME), la gloria(KLEOS) e il valore(ARETE), marcando l’importanza delle relazioni e della reputazione. Chiunque poteva identificarsi in quegli eroi di un passato lontano ma con caratteristiche estremamente contemporanee, da Achille,giovane ,leale con un forte senso del dovere, ad Ettore padre di famiglia sensibile e valoroso, ad Odisseo uomo curioso e assetato di conoscenza.
Con l’uomo greco si assiste dunque alla distinzione tra identità personale e identità umana , la prima modellata attraverso la letteratura mentre la seconda attraverso il suo essere cittadino.
Nel mondo romano poi, gli uomini erano distinti da molteplici statuti e categorie, da appartenenze ed esclusioni. Ciascuno valeva in funzione del tutto e l’identità del singolo era definita dal posto che occupava nell’insieme sociale. Simbolo di questa esperienza è l’evoluzione del termine ‘persona’. Prima di diventare termine che definisce l’eguaglianza degli uomini pensati come soggetti di diritto, significava nel linguaggio romano ‘ruolo’, secondo una metonimia basata sul significato di persona come membro di una società.
L’identità dell’uomo romano era data soprattutto dal suo essere cittadino, cittadino di quella città considerata “Caput mundi” . L’identità contava dunque molto sull’aspetto esteriore,l'uomo ideale romano doveva lavarsi e radersi. Il romano si radeva tutti i giorni, anche negli accampamenti militari, anche in guerra. Radersi significava ricordarsi di essere romani. Mentre gli ausiliari dell'esercito potevano far crescere capelli e barba, i legionari non potevano, perché loro erano "romani", cioè un popolo superiore. Cesare diceva: "I miei soldati si profumano ma combattono bene."
Per un romano combattere o almeno aver combattuto per la patria era un dovere indiscutibile. Non solo non era possibile fare carriera pubblica senza il cursum honorum delle armi, ma anche per fare una carriera privata come ad esempio un avvocato o un medico, non ci si fidava di lui se non avesse combattuto onorevolmente.
L’uomo politico insomma coincideva con il cittadino, infatti non ci sono parole latine che traducono il termine “politico” se non quella di civis; l’uomo politico ideale faceva parte della fazione dei boni e inoltre era un optimus civis.
Dopo questo excursus sul mondo greco-romano risulta fondamentale riportare le parole del sociologo in merito alla questione potere-politica nel post-moderno: “Al momento il potere è svincolato dalla politica, e la politica è priva di potere. Il potere è già globale, mentre la politica rimane pateticamente locale” (p. 19). Bauman non si limita qui ad una attenta analisi delle condizioni in cui viviamo e del tempo in cui siamo immersi, ma propone una risposta, una soluzione di tipo politico e su scala globale, auspica una ricerca di senso come comunità globale, forse quindi a una ripresa dei valori degli antichi.
Facendo un ampio passo avanti nella storia, si giunge al Medioevo, dove l’individualità non era conosciuta e soprattutto non era valorizzata come tale; l’uomo non aveva valore se non come membro di un popolo, di un partito, di una corporazione, di un ordine (oratores, bellatores e laboratores), della Chiesa.
L’uomo medievale non fu un individuo completamente assorbito dalla dimensione comunitaria ma non fu nemmeno una personalità totalmente indipendente, sviluppata solo in se stessa, a prescindere dall’ambiente che lo circondava .
Egli viveva infatti immerso nella paura, la sua identità, dunque il suo pensiero e i suoi comportamenti erano completamente plasmati da quei racconti della chiesa che sottilmente si insinuavano nella sua mente.
Jacques Le Goffes afferma:”«A legittimare l'evocazione di un uomo medievale sta il fatto che il sistema ideologico e culturale in cui egli è inserito, l'elemento immaginario che porta in sé, impongono alla maggior parte degli uomini (e delle donne) di questi cinque secoli, chierici o laici, ricchi o poveri, potenti o deboli, delle strutture mentali comuni, degli oggetti simili di credenza, di fantasticheria, di assillo.”
L’uomo dunque doveva mostrare un’identità “comune”, conforme ai valori del tempo,non più offerti dalla vita politica o militare bensì dalla chiesa e come un attento esecutore delle direttive doveva sopprimere ogni pensiero divergente, perché diversità era sinonimo di demoniaco.
Non tanto diversa risulta la condizione dell’uomo post-moderno, il quale si trova obbligato a seguire e rispettare i ritmi convulsi proposti dalla società e la logica del consumo, per non essere escluso e reietto, da quel ciclo frenetico che è diventata la vita.
Nell’umanesimo si assiste poi a una riscoperta dell’uomo nella sua individualità.
L’uomo appare sicuro e ricco di forze, capace di contrastare il gioco del fato con la propria intelligenza e di costruirsi il proprio destino. Per tale motivo una delle tematiche predilette dalla cultura quattrocentesca è proprio l’esaltazione della dignità dell’uomo. Così come l’uomo può regolare il mondo esterno, così può dominare se stesso: non si scorge più un conflitto tra facoltà spirituali e corpo bensì un armonico equilibrio.
L’uomo dunque assume un’identità individuale,iniziando a valere non più in quanto parte di una collettività ma in quanto uomo nella propria singolarità. Oggi invece, nell’epoca del post-moderno, l’uomo è disarmato, spogliato di ogni certezza e fragile e quando un elemento è fragile si omologa all’insieme, alla massa, perde la propria singolarità e si appiattisce nella collettività.
Situazione analoga è quella che si è presentata durante il novecento, l’uomo del novecento è infatti un uomo in crisi, che vive in una condizione di angoscia e di ansia. La sua condizione esistenziale viene al meglio rappresentata dall’”Urlo di Munch”,una rappresentazione della sofferenza dell'uomo, del sentimento di irrequietezza interiore e del disagio .
Numerose durante questi anni sono le scoperte sull’inconscio dell’uomo, che permettono di approfondire come mai fino ad ora la complicata psicologia dell’uomo.
Un grande studioso dell’ origine dell’angoscia umana del Novecento fu certamente Sigmund Freud (1856-1939), il quale si interessò alle malattie mentali e da lì scoprì l’oscuro mondo dell’inconscio.
Freud scoprì insomma che l’identità di ciascuno è un’intricata commistione di più elementi,un groviglio impossibile da dipanare.
Lo studioso scopre che sono spesso le forze profonde e inconsce a guidare l’individuo nelle sue scelte, come rispondendo ad un oscuro richiamo.
Secondo Freud dunque, la personalità umana è il prodotto della lotta fra gli impulsi distruttivi e la ricerca del piacere. La personalità indica il modo in cui ciascuno agisce a livello sociale e come affronta i propri conflitti: interni ed esterni. Il tema dell’identità viene poi affrontato da Pirandello il quale giungerà alla conclusione che non esiste un’identità univoca, perché i pilastri sui quali si fonda sono troppo fragili, bensì una molteplicità di identità. In Il fu Mattia Pascal e Uno nessuno centomila, Pirandello rappresenta i due protagonisti alle prese con la scoperta dell’inesistenza della propria identità.
L’identità è definita come l’immagine nella quale si riconosce l’individuo, caratterizzata da elementi distintivi. L’identità poggia quindi su caratteristiche e valori ritenuti incontestabili dalla percezione dell’individuo. Pirandello fa crollare questa sicurezza, mostrando come le proprie convinzioni siano estremamente fragili: basta un commento della moglie di Moscarda sul suo aspetto per turbare l’idea che egli si era creato di se stesso. Così inizia a indagare sulla propria immagine, cercando di coglierla nel suo momento più autentico, ma scopre che gli è impossibile; comprende che ognuno ha una concezione della sua persona che non coincide mai con la propria. Attraverso questa situazione tragicomica, Pirandello evidenzia l’impossibilità dell’uomo di vivere nella veridicità, obbligato alla finzione. Così si originano le maschere, i ruoli e gli atteggiamenti in cui la società rinchiude ogni individuo, proiettando alla comunità un’immagine approssimativa.
Il novecento è pero ricordato principalmente come il secolo dei totalitarismi: in Germania il Nazismo, in Italia il Fascismo e in Russia il Comunismo. L’annullamento della persona,la cancellazione delle identità e delle individualità, rappresentano gli obiettivi dei totalitarismi,volti a creare una società silente e obbediente. Una società piatta, nella quale le individualità non hanno libertà di parola né di espressione, dove l’identità viene soffocata e l’uomo diventa numero. Non vi è il pluralismo politico né culturale, quindi vi è un unico partito un’unica ideologia e vengono cancellate tutte le libertà dell'uomo. Vi è sempre un capo che deve essere carismatico, cioè con forte personalità, così da vincere su tutte le altre. L’obiettivo è la ”distruzione dell’uomo”, per renderlo ”docile, senza idee,senza pensieri,senza identità,così da non avere più nulla da temere non uno sguardo giudice”, ma un sguardo vuoto di annullamento, così Primo Levi in “Se questo è un uomo” descrive il processo di annullamento e distruzione dell’uomo messo in atto dai Tedeschi nei campi di concentramento. Tutti questi totalitarismi condividono un obiettivo comune: l'affermazione del consenso. Raggiungono questo obiettivo tramite la formazione di miti e di rituali. La conseguenza di questo è il controllo assoluto e demagogico dei mezzi di comunicazione di massa e si ha un primato dello stato sulle individualità.
All’interno del regime totalitario gli individui provano un totale isolamento dalla sfera politica e un forte senso di straniamento nei rapporti sociali. Si annienta, infatti, in primis la vita politica democratica, la libera espressione tra cittadini. Subentra unicamente la paura e il sospetto reciproco, che portano alla distruzione dei legami affettivi.
Il percorso affrontato dall’identità dell’uomo, per la propria affermazione, è stato come sopra detto travagliato e labirintico a volte progredendo mentre a volte tornando indietro nei propri passi si è giunti al periodo del post moderno.
Il quadro che viene tratteggiato da Bauman è di un mondo in cui la spinta globalizzante si è affermata e ha strappato dalle mani della politica ogni potere ed il singolo si trova completamente solo. “Le istituzioni dello Stato sociale vengono progressivamente smantellate e ridotte, mentre le limitazioni un tempo imposte alle attività imprenditoriali e al libero gioco della concorrenza del mercato e alle sue disastrose conseguenze vengono eliminate una ad una” (p. 140). Con il venire meno dello Stato scompare “un’assicurazione collettiva e sottoscritta dalla comunità contro le disgrazie individuali e le loro conseguenze” (p. 11): il singolo è svantaggiato e costretto ad affrontare da solo qualcosa che non potrà sopportare. Questo porta ad una condizione di continua paura e di incertezza costante. L’identità non si basa più sul concetto di “cogito ergo sum”, ma su quello di “Consumo, dunque sono” (2007).
Si intitola così una delle ultime pubblicazioni di Zygmunt Bauman e descrive al meglio la logica della società postmoderna e la vena consumistica insita nella nostra morale , che ha cancellato tutto ciò che vi era di stabile e sicuro.
I macroscopici cambiamenti degli ultimi decenni hanno portato infine alla scomparsa delle grandi ideologie,dottrine e delle principali istituzioni morali (quali ad esempio Stato e famiglia), producendo nella coscienza umana un profondo senso di smarrimento. Non sapendo più in cosa identificarsi l’uomo si fa fragile, debole, la sua identità multiforme e liquida e proprio come un liquido che cambia forma a seconda del contenitore che lo ospita.
Il cammino dell’identità dell’uomo può essere quindi paragonato al moto di una parabola, dal punto primo, più basso e primitivo, durante la preistoria, è giunta al suo apice durante l’età greco-romana, portando finalmente a una maggiore consapevolezza, per poi vivere un lento e graduale declino, iniziato nel Medioevo e conclusosi nell’età del post-moderno, giungendo alla liquefazione di valori, istituzioni e relazioni.
Siamo tutti quindi immersi in un mondo liquido alla continua e ossessiva ricerca di se stessi, sperando di trovare un punto fisso al quale ancorarci per non lasciarci travolgere e trasportare dalla corrente di notizie, falsi valori e ideali della durata di un click !