Qualche riflessione sul termine “teoria” e sui suoi usi
Nel mondo dell’istruzione e nell’attuale società, il declino delle competenze linguistiche è un problema con cui si confrontano insegnanti e pedagogisti. Ci si trova non di rado al cospetto di alunne ed alunni che, pur non prive e privi di capacità logiche, di doti intuitive, di attitudini e di curiosità culturali, sono tuttavia carenti nel settore espressivo, nel lessico come nella sintassi. I docenti universitari, nonostante riconoscano una discreta
preparazione delle matricole, rilevano gravi lacune nel momento in cui gli iscritti al primo anno sono chiamati a comporre un testo. Tale limite può impedire agli adolescenti ed ai giovani di esternare il mondo interiore, di padroneggiare gli strumenti utili nello studio, nelle relazioni sociali, nel mondo del lavoro, più in generale nelle diverse occasioni della vita. E’ compito quindi di tutti i professori, non sono quelli di Lettere, promuovere l’acquisizione di abilità linguistiche, un apprendimento corretto e preciso dei codici e dei sottocodici. Fra i tanti esempî riguardanti una crisi del linguaggio, che è anche deterioramento del pensiero, si può individuare l’uso improprio di vocaboli il cui valore è completamente stravolto spesso a causa dell’influsso e del deleterio carisma esercitato dai più diffusi media di oggi: televisione, testate telematiche, canali con contenuti multimediali, piattaforme, enciclopedie “libere”della Rete… In questo contributo si dedica qualche riga ad un caso emblematico, ossia la deviazione semantica e lo snaturamento del termine “teoria”. Secondo la prestigiosa enciclopedia “Treccani”, la “teorìa s. f. [dal gr. ϑεωρία, attraverso il latino tardo theorĭa] è una formulazione logicamente coerente di un insieme di definizioni, principî e leggi generali. Essa consente di descrivere, interpretare, classificare, spiegare a varî livelli di generalità, aspetti della realtà naturale e sociale e delle diverse forme di attività umana. In genere, le teorie stabiliscono il vocabolario stesso mediante cui descrivono i fenomeni e gli oggetti indagati, riconducono tali aspetti ad alcune leggi o proprietà generali da cui essi appaiono
deducibili come casi particolari e talvolta (soprattutto nelle scienze naturali), permettono di prevedere la loro evoluzione futura in condizioni controllate.[…] In questo senso, le teorie delle scienze empiriche (incluse le scienze sociali) si traducono sovente in modelli (i due termini sono talora intercambiabili), ossia in descrizioni di strutture ipotetiche, più o meno concrete dalle cui proprietà sono deducibili le caratteristiche essenziali dei fenomeni noti. In contrapposizione ad esperimento, il termine si precisa come atto del pensiero razionale riflessivo, che si propone di interpretare e spiegare risultati sperimentali già ottenuti, oppure anticipa risultati da sottoporre a controllo empirico per essere da questi confermata o falsificata (la predicibilità, n.d.a.), o anche è applicata alla risoluzione di determinati problemi tecnici […] Nella lingua ordinaria il termine diventa ‘sinonimo’ di parere, si riferisce ad un modo soggettivo di pensare, a un’opinione”. (1)
La “teoria” è dunque un modello interpretativo della “realtà” o di una sua parte. Purtroppo è invalso di adoperare tale parola come equivalente di “opinione”, “idea”, ma siamo in presenza di un uso all’interno di un registro informale, per lo meno discutibile, poiché una teoria, in quanto formulazione ed accurata sistemazione dei principî generali concernenti una scienza o un suo settore implica un’esegesi della realtà, una peculiare visione del mondo: è proprio il contrario di un’impressione soggettiva, di un giudizio (o pregiudizio) affrettato.
D’altronde il lessema in questione discende dal verbo greco “theoréo” (θεωρέω) che vale “guardare”, “osservare”, “esaminare”. La radice è “ωρ”, la stessa del verbo “ωρ“vedere”. (2) Tralasciamo questioni complesse di taglio epistemologico a proposito dell’intersezione e talora antitesi tra modelli e “fatti”, tra teoria e prassi, dobbiamo ribadire che la prima è una concezione, un tentativo di organizzare dati e fenomeni per includerli in un corpus. E’ evidente che tale organizzazione è selettiva, ossia alcuni aspetti della realtà sono scartati affinché non minino la coerenza del quadro di riferimento. Inoltre, come ci ricorda lo storico e filosofo della Scienza, T. Kuhn (1922-1996), le teorie sono paradigmi, non scevri talora di declinazioni e derive ideologiche, paradigmi che possono essere superati o addirittura smentiti, attraverso salti che generano discontinuità. Si pensi al modello geocentrico rimpiazzato, grazie a N. Copernico (1473-1543) dal sistema eliocentrico. E’ chiaro che le teorie sono astrazioni con cui si tenta di razionalizzare la “realtà”, di estrapolare un disegno da una congerie di elementi disparati ed eterogenei. Sono un po’ come mappe rispetto al territorio.
Tratto precipuo dei modelli scientifici – i paradigmi filosofici e religiosi saranno meglio denominati “dottrine”, anche se si possono rintracciare tangenze tra teorie scientifiche e dottrine filosofiche e benché la distinzione tra Scienza e Filosofia possa essere in alcune situazioni piuttosto sfumata – è il principio di falsificabilità (o falsificazione) introdotto dal filosofo austriaco Karl Popper (1902-1994). Tale principio è una concezione secondo cui un’ipotesi o una teoria acquisisce uno statuto scientifico solo quando è suscettibile di essere confutata dai “fatti” dell’esperienza. Popper, sin dalla sua prima opera, “La logica della scoperta scientifica”(1935), evidenziando un’asimmetria tra verificazione e falsificazione, per cui un numero per quanto elevato di conferme non è mai sufficiente a dimostrare in modo definitivo un’asserzione universale, mentre un solo esempio negativo è bastevole per confutarla, ravvisa nel criterio di falsificabilità la caratteristica delle teorie scientifiche (tratto che le distingue dalle dottrine metafisiche) e nel metodo ipotetico-deduttivo il procedimento tipico della conoscenza scientifica: piuttosto che per generalizzazioni induttive, la conoscenza procederebbe tramite ipotesi che sono sottoposte a severi tentativi di falsificazione, volti a saggiarne la validità, mediante il
costante controllo delle conseguenze empiriche. L’applicazione di tale percorso, implicante o la temporanea ratifica delle ipotesi o la sostituzione delle teorie falsificate dall’esperienza con nuovi modelli, è per Popper espressione della natura mai conclusiva ed apodittica del sapere scientifico, ma al tempo stesso garanzia della crescita della conoscenza e del suo indefinito avvicinarsi alla verità.
Quanto più un sistema è generale e prova ad illustrare un amplissimo settore dell’universo, tanto più esso è astratto, laddove l’empiria è situata agli antipodi delle strutture concettuali. Così al vertice dei modelli teorici si collocano gli impianti deduttivi della Matematica e della Logica, contrapposti alle discipline ancorate alla percezione, all’analisi ed alla classificazione dei fenomeni. Il matematico e pensatore britannico, Alfred North Whitehead (1861-1947), nota che la Filosofia prende le mosse dalla complessa e multiforme Erlebnis della vita per tentarne una generalizzazione teorica, consapevole che ogni teoria è un “azzardo” ed una semplificazione ideale e, in parte, imperfetta, bisognosa di continui aggiustamenti.
Considerata quindi la pregnanza del termine “teoria”, è auspicabile non avvalersene ad indicare un’ipotesi che è, invece, una proposizione, un dato iniziale ammesso provvisoriamente per servire di base ad un ragionamento, ad una spiegazione e che saranno giustificati dalle conseguenze, dall’esperienza.
Ancora più arbitrario e forzato è l’impiego del lessema “teoria” per designare, spesso in modo sprezzante, un’idea stimata come balzana, bizzarra, destituita di ogni valore ed in contrasto con la versione autorevole di un avvenimento. Nel 1964, a seguito dell’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, crimine perpetrato il 22 novembre del 1963, furono coniati i sintagmi “teoria del complotto” e “teorici del complotto” per stigmatizzare e schernire chi, per lo più giornalisti investigativi, dissentiva dal punto di vista ufficiale sull’omicidio, secondo cui sarebbe stato progettato e commesso da un solitario, lo squilibrato Lee Harvey Oswald. Tali espressioni - in Inglese “conspiracy theory”, “conspiracy theorists”- ci sembrano scorrette per varie ragioni: in primo luogo, un evento, nella fattispecie un delitto, insieme con la sua ricostruzione, non ricade nel sapere scientifico, bensì nella cronaca.
Se si definisce “teoria della cospirazione” la spiegazione non canonica di un accadimento - non importa qui stabilire se sia un’esegesi plausibile o no - si rischia di accreditarla come modello, elevandola ad un rango scientifico che è del tutto fuori contesto, dal momento che un reporter si limita a riferire e ad indagare episodî della cronaca ed i loro addentellati. Se si ritiene che certe ricostruzioni senza il sigillo dell’ufficialità siano fantasiose e inverosimili, esse si possono denominare “leggende urbane”, “leggende metropolitane” o, se si vuole essere incisivi, delirî di paranoici, elucubrazioni di visionari. Sono definizioni aderenti a quanto si intende esprimere.
Un’altra ragione per cui è bene evitare il sintagma “teoria del complotto” è la seguente: il termine “complotto”, comunque adoperato con intento dispregiativo, assieme ai raccapriccianti ed immotivati neologismi “complottista” e “complottismo’, tende ad eclissare i vocaboli “congiura” e “congiurato” nonché gli scenari ricompresi in queste voci. Sono parole che hanno qualche volta la loro ragion d’essere e valenza in ambito
storiografico: si pensi alla congiura di Catilina (63 a.C.), alla congiura dei Pazzi (1478), alla cosiddetta “congiura delle polveri” o “congiura dei Gesuiti” (5 novembre 1605) per citare solo tre cospirazioni, una di età antica, un’altra ordita alla fine del Medioevo e l’ultima risalente all’età moderna. Sono accadimenti analizzati dagli specialisti per tentare di comprendere le motivazioni e gli obiettivi sia di singoli individui sia di gruppi di potere, i loro rapporti di forza in particolari contingenze politiche, economiche e sociali, col fine di inquadrarli in cornici che non escludono i retroscena della Storia, gli arcana imperii. (3)
Il pressappochismo linguistico perciò può riverberarsi in alcune anomalie o omissioni interpretative: si evocano trame oscure che, in fondo, possono essere ricondotte a mere manifestazioni di Realpolitik, mentre non ci si concentra su talune scabrose circostanze del passato come del nostro tumultuoso presente. Esse rivelano, quando non si tratta di vere e proprie congiure, che, dietro la facciata della Politica e dell’Economia, si possono
nascondere finalità pragmatiche o anche interessi e scopi non proprio cristallini per opera di multinazionali, apparati, servizî segreti deviati.
Questa riflessione non ambisce ad essere esauriente né approfondita, ma è intesa soprattutto come uno sprone ad agire in favore dell’”igiene della lingua”. Sono le allieve e gli allievi, più in generale gli esponenti delle nuove generazioni, i destinatarî ed i futuri latori di un compito fondamentale, quello di restituire, nei limiti del possibile, all’idioma il suo ruolo di descrivere e, per così dire, agganciare la “realtà” in tutte le sue sfaccettature nella maniera più onesta e rigorosa possibile, combattendo pratiche grossolane, esibizionismi verbali costellati di termini inglesi o presunti tali, trascuratezze semantiche, frivole mode lessicali. Scrivere bene non significa produrre testi con un linguaggio ampolloso, involuto, astruso: fondamentali in un elaborato sono la correttezza e la comprensibilità. Chi scrive - un filosofo, uno scienziato, un saggista, un artista, un critico, un opinionista, persino chi manda un messaggio alla fidanzata o al fidanzato - si prefigge come scopo la verità, l’espressione sincera di quanto gli sta a cuore. Ammiano Marcellino (330 d.C. ca. - 400 d.C. ca.), storico romano, ci insegna: “Il linguaggio della verità è semplice e disadorno”. Aggiungiamo libero da brutture terminologiche, da scorie
mistificanti e da distorsioni concettuali.
(1) La definizione del lemma è desunta da https://www.treccani.it/vocabolario/teoria/ Pure il chiarimento
circa il criterio di falsificabilità è per lo più tratto dalla stessa fonte, ma con alcune rielaborazioni.
(2) G. Devoto, Avviamento alla etimologia italiana Dizionario etimologico, Milano, 1979, s.v. inerente
(3) Si potrebbe aggiungere un misfatto della storia contemporanea, cioè il colpo di stato occorso il giorno 11
settembre 1973 ai danni del Presidente cileno, Salvador Gossens Allende (1908-1973). L’ormai quasi
universalmente ammesso coinvolgimento statunitense nel golpe si può reputare un esempio di cospirazione.