Riflessioni sulla Luna -testo che ha partecipato e vinto una menzione speciale al Convivium Galileianum organizzato da Liceo Galilei di Potenza ad Aprile 2024
di Ambra Alberti
Ammaliatrice argentea, la Luna avvolge la Natura in un candido abbraccio che irradia mistero, complice muta e solidale con il desiderio doloroso e tipicamente umano di assaporare il sublime.
La sua metamorfosi, rappresentata nell’arte sin dall'antichità, suggestiona gli uomini che da millenni come stregati volgono gli occhi al cielo notturno nel tentativo di instaurare un dialogo con lei.
In Notte stellata emerge chiaramente il senso di potenza vorticosa cui la Terra è soggiogata e al contempo affascinata.
Per Van Gogh la Luna è metafora del mistero dell’universo, che (s)travolge emozionalmente nel suo volteggiare sopra le nostre teste.
Per alcuni è solo un ammasso di roccia o un punto nel cielo.
Per i più piccoli un pezzo di formaggio.
Per altri un riferimento fisso, utile a realizzare il calendario per scandire i ritmi dell’agricoltura. Infatti, benché in modi diversi, il culto della luna si manifesta nelle civiltà antiche di tutto il mondo, sempre associato alla crescita e al rinnovamento.
Per Galileo, Luna è amore per la scoperta.
Che si esprima con una narrazione cosmologica o con linguaggio scientifico, l’attrazione verso la luna deriva dal tentativo umano di comprendere ed entrare in armonia con il ritmo del cosmo governato dalle stelle e dai pianeti.
Tuttavia la metamorfosi lunare rimane un processo inafferrabile, che supera i meri meccanismi di previsione umana. Calvino riflette sul pomeriggio, fase liminale per la luna, momento di sospensione tra essere e non-essere: “Chi ci assicura che ce la farà anche stavolta a prendere forma e lucentezza?”.
È la sua evanescenza a mantenere inalterato il suo potere ammaliatore.
La prima menzione della luna nella letteratura italiana proviene dal Cantico delle creature di Francesco d’Assisi e prosegue fino a Dante, che le dedica il canto II del Paradiso.
Persino Galileo ha subito il fascino della Luna in quanto scienziato, scrittore e pittore, anche dopo aver scoperto l’essenza sua: una superficie ineguale, scabra, con macchie, cavità e sporgenze.
Il gesto rivoluzionario di puntare il cannocchiale al cielo deriva dalla “natural curiosità" che muove dal desiderio di imparare, secondo il motto provando e riprovando.
Il Sidereus Nuncius, breve trattato che enuncia grandi cose, è accompagnato da acquerelli, che lo rendono sintesi tra parola e immagine, di cui il cannocchiale è emblema, se non metonimia dello stesso Galileo.
Nel secolo della meraviglia per gli artifici retorici, lo sfarzo e l’irregolarità, il cannocchiale appare uno strumento dimesso, capace però di mostrare fenomeni grandiosi! Un po’ come l’ingegno, avvicina cose lontane.
Con il suo approccio poliedrico Galileo ha sfidato la capacità degli uomini di adattarsi a un sapere sempre più ampio, insegnando a lasciarsi sedurre dalla curiosità e a mantenere un atteggiamento di flessibilità intellettuale, evidenziando i pericoli di una mente ignorante e assiomatica. Ad esempio se da pittore non avesse conosciuto la teoria del chiaroscuro non avrebbe saputo interpretare correttamente le asperità della superficie lunare come altissima montium iuga o cavitates.
Cultura per Galileo significa imparare a modificarsi, a evolvere, proprio come la luna durante il suo ciclo, anche se ciò comporta sgomento.
In realtà già Bruno, filosofo naturalista, ha intuito per via speculativa che la Terra è della stessa sostanza della Luna e ha superato la teoria copernicana teorizzando l’esistenza di infiniti mondi. Galileo scienziato ne trae la prova empirica attraverso il metodo sperimentale e lo strumento.
La differenza cruciale tra Bruno e Galileo è che il primo crede mentre il secondo sa. Una verità ritrattata muore, l’altra resiste a qualsiasi tentativo di estinguerla, perché oggettiva e universalmente valida, indipendente dal tempo e da chi la sostiene (perlomeno finché qualcuno non la smentisca sperimentalmente).
Anche senza conoscerne scientificamente l’orografia, la luna da sempre è oggetto di contemplazione, spesso trasfigurante, capace di dar luogo a visioni fantastiche.
Ad esempio nell’Orlando furioso l’equazione amore-follia conduce il prode cavaliere alla perdita del senno, recuperato da Astolfo sulla Luna, da cui è possibile osservare le velleità delle azioni umane.
La luna appare l’esatto complemento della Terra e suo specchio (“acciaio senza macchia”) dalle cui immagini riflesse e rovesciate emerge drammaticamente il carattere di vizio e follia dell’agire umano.
Per Leopardi la luna è interlocutore privilegiato, testimone malinconico, lontano, ma empatico del dramma umano, cui assiste nel suo “corso immortale”. Specchio del dolore esistenziale, è uno scrutare rovesciato diretto verso se stessi e amara illusione.
Anche per Saffo la luna è conforto e la solitudine sopraggiunge straziante al suo tramontare, metafora del declino della bellezza e delle passioni.
Curioso vero come più si guardi alla luna e più si scopra su se stessi?
Si tratta di un dialogo intimo, talvolta inquietante, che fa emergere paure legate agli aspetti più bui e profondi di noi, nonché i più singolari, ma che spesso reprimiamo. Occorre del coraggio per guardare la luna e accettare il riflesso della propria vulnerabilità.
Bagnata da una luce spettrale e innaturale, la coscienza emerge vivida e pulsante dei chiaroscuri, dell’ambivalenza di desideri torbidi e del vano sforzo di dominare razionalmente le nostre valli e montagne.
Ma la luna ammalia e proietta nell’inconscio il desiderio di illuminazione e risveglio da un sonno perpetuo.
L’effetto collaterale e incompreso è la lunaticità, che significa assecondare le fasi lunari, accettare l’evoluzione di sé e gioire nel rinnovamento, amandosi nella propria totalità composta da due metà, una conoscibile, l’altra invisibile e oscura.
Dualismo che riflette i chiaroscuri dell’anima, gli stessi che rendono i dipinti di Caravaggio o di Artemisia Gentileschi così pieni di pathos e tridimensionalità.
La luna pertanto è una fedele maestra che insegna l’umiltà: da tenue pallore raggiunge il massimo fulgore e poi, mansueta, muore lentamente. Ma la morte è preludio di una rinascita, in un ciclo eterno bagnato di mistero.
Insegna a non avere una forma mentis statica: tutto in Natura è ciclo, ripetizione mai uguale a se stessa, ma anche polémos.
Come diceva Eraclito nulla persiste identico per più di un istante, la natura è regolata dal divenire, principio di giustizia razionale che è anche conflitto in quanto niente esiste in assenza di qualche differenziazione o contrasto.
Come la salita è la discesa, il plenilunio è il novilunio: elementi apparentemente antitetici sono complementari di un unico flusso e l’armonia sgorga dal polémos illusorio.
Da questa prospettiva il passaggio dalla luce all’ombra non appare una condanna, bensì la garanzia dell’equilibrio di un mondo caratterizzato dall’interconnessione degli opposti.
Luce e buio, proprio come la nostra psiche.
E la luna.“Chi ama la luna davvero non si accontenta di contemplarla come un'immagine convenzionale, vuole entrare in un rapporto più stretto con lei, vuole vedere di più nella luna, vuole che la luna dica di più”.Potremmo annoverare Calvino nella schiera dei poeti da lui definiti lunari quali Dante, Ariosto, Galileo e Leopardi. Li accomuna il “rapimento lunare” di cui fa esperienza anche il cugino di Qfwfq nelle Cosmicomiche, oltre al fatto che scienza e filosofia naturale sono la vocazione profonda della letteratura italiana. Calvino connette la devozione lunare alla spinta conoscitiva che caratterizza letteratura e scienza, una tensione verso una dimensione extra-umana. Secondo lui Galileo incarna la massima sintesi di tale binomio ed è persino il più grande scrittore della letteratura italiana d’ogni secolo, che quando parla della Luna innalza la sua prosa ad un grado di precisione e di evidenza ed insieme di rarefazione lirica prodigiose. Anche Calvino ha affrontato il grande tema lunare ed uno degli aspetti ricorrenti nei suoi racconti è l’inviolabilità della luna, il cui allontanamento la trasforma in un Altrove irraggiungibile. Tuttavia la distanza produce effetti notevoli sul piano gnoseologico: la sosta temporanea di Qfwfq sul satellite gli consente di guardare il mondo da un punto di vista esterno che gli fa capire che era l’esilio. È l’avere una prospettiva terrestre che rende le cose quali sono: privati delle coordinate terrestri gli uomini sentono nostalgia di punti di riferimento certi, “un dove, un intorno, un prima, un poi"; occorre riposizionarsi. Una riflessione che riguarda l’identità e suggerisce di valutare tutte le angolazioni, senza precluderne alcuna.
Fin dai suoi primordi l’umanità sa dell’esistenza della Luna e secondo Leibniz tale consapevolezza è reciproca.
Egli concepisce una realtà profondamente unitaria composta da monadi, entità chiuse inserite in una rete di precisi rapporti che le collega tutte e animate da un principio energetico, la forza viva.
Per spiegare i fenomeni fisici occorre ipotizzare la presenza di vita nelle cose, nata dal desiderio di tali forze. Ecco che ogni monade è un vivente e perpetuo specchio, ricapitolazione dell’universo da una precisa e unicissima prospettiva.
Sicché la Luna come percepisce la Terra attraverso i suoi punti di forza?
Forse non ne ha grande stima e si diverte a prenderla in giro: “È tutta colpa della luna, quando si avvicina alla Terra fa impazzire tutti”, direbbe Shakespeare.
Galileo non concorda con Leibniz e osserva la natura dal suo peculiare punto di vista meccanicistico. L’elaborazione di leggi che spieghino la regolarità dei fenomeni naturali è la base della sua ricerca scientifica, che lo conduce a puntare il cannocchiale al cielo stellato.
Ma se è dimostrabile che la luna è una, è vero che ognuno ha la propria! È ben visibile nel dipinto di Magritte I misteri dell’orizzonte, che suscita straniamento poiché sono raffigurati tre uomini davanti a tre spicchi di luna perfettamente uguali, ma intimamente diversi nella personale prospettiva di ciascuno.
I tre uomini non comunicano, assorti nella contemplazione. Si riprende il tema pirandelliano della verità personale: i frammenti (o le monadi) di cui è composto il mondo sono assemblati in modo singolare da ogni mente, procedimento che però impedisce di comprendere appieno la visione dell’Altro.
Una, nessuna e centomila lune, metafora dell’incomunicabilità umana.
Così, nella propria solitudine non resta che dialogare con la Luna.
Montale in Fine del ‘68, confuso dall’allegria del Capodanno, immagina di spostarsi sull’allora inesplorato satellite. Da tale prospettiva distorta e distante può cogliere le imperfezioni e le follie di un’umanità bizzarra inconsapevole di sé.
È il luogo dell’ottica rovesciata, rifugio per chi non si sente più parte del modesto pianeta e da cui con disincanto si intuisce che, mentre gli scienziati credono di avere tra le mani la comprensione dell’universo, l’unico eterno segreto è la Terra.
E soprattutto l’animo umano.
Ancora oggi la Luna ripone tale segreto.
Tuttavia da Galileo i progressi della scienza hanno svelato tutto su di lei e su molte zone del cosmo.
Ma la freddezza dei dati scientifici non ha forse reso il nostro rapporto con la Natura “artificiale”?
Kant risponderebbe che qualcosa è sublime finché è irraggiungibile e trabocca dai confini della forma, del finito. Per questo una volta ottenuta la Luna perde gran parte del suo fascino, ma solo agli occhi di chi reputa di non avere null’altro da imparare.
Il rimedio offerto da Galileo è la custodia della curiosità, bagliore che instilla il seme del dubbio, e che quando, irrequieta, inciampa nell’ignoto o nell’incerto cattura l'essere umano in profondo stupore.
Così è con la Luna.
Tra infinite possibilità, una è adatta a chi non teme l’ombra: munirsi del cannocchiale e dialogare con la mutevolezza della Luna, per addentrarsi nel magico mondo chiaroscurale della conoscenza.
Parola chiave?
Meraviglia.