Incontri interculturalial di là della razionalità
*** Incontri interculturali al di là della razionalità
(Si tratta di un tentativo inteso ad aprire spazi più vasti nella quotidianità dei rapporti tra portatori di culture diverse)
Il primato della razionalità in educazione
Coloro che più recentemente si sono occupati a prendere in considerazione l'apporto dei sentimenti sul piano educativo, si sono mostrati critici rispetto alla riduzione dell'educazione alla sola razionalità, o quanto meno, alla sua prevalenza rispetto a sentimenti ed emozioni.
Per B.Rossi la "preferenza accordata all'ideale educativo dell'homo sapiens rispetto a quello dell'homo sentiens" è dovuta anche all'errore di Cartesio, convinto di poter interpretare l'uomo a partire dalle idee 'chiare e distinte' e dunque, "dall'accreditamento della separazione tra anima e corpo. Da tale separazione si sono originati il primato della razionalità, la prevalenza dell'oggettivismo positivistico sul soggettivismo umanistico, il privilegiamento del logos nei confronti del pathos, la supremazia del cogito nei riguardi delle emozioni, delle passioni e dei sentimenti stimati componenti irrazionali dell'anima e, dunque, da oscurare e mettere a tacere" (1). Il medesimo autore esplicitamente e drasticamente esamina la 'tirannia della razionalità': "Prestando attenzione in particolare all'esperienza scolastica, può essere rilevato che l'impianto curricolare, centrato sul 'pensiero organizzato', accredita sostanzialmente il primato della mente sul corpo, della logica sui sentimenti, del sapere e del saper fare sul saper essere, del quoziente intellettivo sul quoziente emotivo, delle competenze intellettuali e tecniche sulle competenze affettive ed etiche" (2).
Riconoscere il valore alla vita affettiva, non vuol dire negare il senso ed il valore della ragione; tuttavia occorre prendere atto dell'elevato potere conoscitivo di cui sono vettori le emozioni, le passioni, i sentimenti. "Le emozioni finiscono con lo svolgere un ruolo fondamentale all'interno dei processi del ragionamento, influenzandoli nel loro differenziato modo di manifestarsi" (3).
Per L.Perla "La nozione di 'comprensione' ha avuto sempre in Occidente un riferimento alla mente e alle idee della mente e non si è mai sospettato che le idee possono nascere all'interno di un orizzonte comprensivo pre-logico, prementale, simbolico nel senso greco di syn-bàllin (ciò che mette assieme) che, da Omero a Platone, designa quella capacità di avvertire le situazioni a un livello antecedente l'analisi razionale, e di agire e reagire ad essa in base a quanto è stato avvertito. Nella nostra cultura, insomma, non si è mai data rilevanza alla comprensione di cui è capace il nostro sentimento, ma solo alla comprensione della mente e delle produzioni della mente" (4)
L'A.avverte che negli ultimi anni anche in pedagogia la tendenza ad assumere modelli di sapere scientifico ha finito con l'indurre un pericoloso adombramento dei problemi di ordine pratico. Gli affetti sono ancora considerati come un territorio di ricerca 'improprio',e in educazione sono considerati come vettori di indottrinamento, quando non di manipolazione: insomma "come un 'qualcosa' di poco evoluto, da cui affrancare l'educando, pena la comprensione della sua crescita cognitiva. I dati che invece emergono prepotentemente dalla ricerca contemporanea, soprattutto educativa, evidenziano che è impossibile imprigionare qualsiasi processo formativo entro presunte logiche di 'inaffettività': cognizioni e affetti sono dimensioni fortemente correlate (e interagenti col piano morale) difficilmente isolabili nel progetto formativo, nemmeno quando quest'ultimo assuma come sue finalità prioritarie, o addirittura esclusive, lo sviluppo di attività cognitive e la trasmissione di saperi formali…Appare quasi un'ovvietà dichiarare che il processo educativo riguardi il soggetto nella sua interezza e si rivolga all'uomo nella totalità dei suoi aspetti e delle sue manifestazioni". L'A. lamenta che tutta la storia dell'educazione occidentale, compresa quella più recente è costellata da esempi di riduzionismi educativi, di umanesimi proclamati ma sostanzialmente mancati (5).
Quale corollario relativo alla considerazione da dare ai sentimenti come via alla conoscenza e all'incontro con l'altro, riscontriamo che taluni autori ne hanno fatto un problema puramente filosofico e quindi razionale, negando ai sentimenti una loro autonomia di tipo psicologico. (6).
Valorizzazione delle risorse più intime della natura umana: i sentrimenti
Il cammino educativo che stiamo affrontando, intende andare oltre l'utilizzo della razionalità, non tanto per negare il significato ed il valore di questa, che pur sempre rimane fonte di ricerca di comprensione reciproca, di dialogo e di accoglienza del meglio di ciascuna cultura, quanto piuttosto per scoprire e valorizzare le risorse più intime della natura umana, in cui non presiedono regole da adottare ma solo sentimenti da sostenere.
Intendiamo occuparci direttamente ed esclusivamente dei sentimenti, che teniamo distinti e separati dalle emozioni. (7) (Per conoscere la specificità delle emozioni La psicologia sembra non aver approfondito in modo adeguato il tema di cui ci occupiamo, avendo preferito lo studio delle emozioni. Oggi le realtà sociali e sociologiche interpellano la riflessione sull'interculturalità a farsi aperta a nuove ricerche mirate al vissuto quotidiano della gente comune.
La nostra scelta si precisa ulteriormente, e definitivamente, nel prendere in considerazione quei sentimenti che originariamente sono legati alla natura umana, ossia non prodotti da evenienze esterne all'essere. L.M.Lorenzetti nella sua ricerca sulla natura ed il significato dei sentimenti, annota: "L'uomo ha una disposizione alle passioni e ai sentimenti: una disposizione epistemica che è sostanzialmente qualità dell'essere, modalità dell'esperire e del conoscere" (7). Nella loro autenticità essi rivestano potenzialità inscritte in ogni essere umano, che non sia stato pregiudizialmente colpito da distorsioni o da altri influssi negativi. Essi sono presenti ed agiscono anche in chi ne ignora le potenzialità.
Caratteristiche dei sentimenti
I sentimenti, generalmente, sono intesi come dinamismi espressi da una facoltà spirituale contrapposta alla ragione: sono da considerarsi come stato psicologico di carattere affettivo.
Per Rousseau il sentimento è la forza prima, primitiva e primordiale, dell'uomo. Egli denuncia l'antitesi tra un'educazione di tipo intellettuale –sviluppo dell'attività razionale- e l'educazione del cuore: l'unica vera educazione è l'educazione del cuore. Identifica il mondo dell'infanzia con il mondo dell'immediatezza, in contrasto col mondo dell'adulto che si fonda sulla mediatezza: il sentimento è immediatezza, la ragione è mediazione (8).
Se è vero quanto dice Rousseau che noi 'sentiamo prima di conoscere', ha senso richiamarsi alle sue riflessioni ove afferma: "per quanto le nostre idee ci vengano di fuori, i sentimenti che le valutano sono dentro di noi".
Che se poi, come vorrebbe Freud, le esperienze dei primi anni di vita condizionano il comportamento futuro, noi disponiamo di una forte risorsa della natura umana per avviare fin dall'infanzia un nuovo processo di socializzazione e collaborazione tra bambine e bambini di diversa etnia e religione creando esperienze di vita, che si proiettano anche verso la vita adulta.
Sappiamo in antecedenza che i sentimenti possono essere colti nella loro genuinità 'naturale', pura, ma possono anche essere già stati rivestiti e orientati da esperienze, da ideologie o da altri particolari interessi. Le nostre riflessioni oltrepassano questa ultima ipotesi e, quindi, non intendiamo instaurare una ricerca della loro eziologia e meno ancora dell'ipotesi del loro originario recupero. La nostra attenzione va piuttosto, esplicitamente, alle risorse originarie dei sentimenti, alla loro identificazione ed al loro apporto nell'esperienza del vissuto umano, con particolare riferimento all'incontro tra appartenenti a cultura diverse.
Lo sviluppo delle potenzialità naturali
A scapito di ogni equivoco va subito annotato che l'elenco che andremo a fare, mentre per un verso esprime la naturalità originaria di determinate potenzialità, dall'altro queste abbisognano dell'apporto educativo per la loro migliore affermazione. Così eliminiamo ogni sospetto verso uno spontaneismo automatico.
Secondo Kurt Lewin, ognuno di noi vive in un campo psicologico che, come un campo magnetico, è occupato da oggetti verso i quali sentiamo una attrazione positiva o una repulsione negativa. Questi legami positivi o negativi verso quanto ci circonda si espandono grazie all'aiuto degli adulti, ed in particolare dei genitori, che formano, cioè educano a realizzare questi legami positivi. (9). La scuola behaviorista su questo argomento parla, con Bandura, di modellamento, di assunzione di modelli per imitazione. In altre parole, se un bambino osserva che la sua insegnante, per la quale ha stima, realizza legami positivi verso alcuni oggetti o persone, o negativi verso altre, il bambino per imitazione assumerà lo stesso modello comportamentale, gli stessi legami.
Erikson nella sua opera "Infanzia e società", reputa importante e decisivo, iniziare fin dalla prima età l'avvio ad un positivo atteggiamento verso il mondo, gli altri, le cose, che potrà diventare sentimento permanente nella vita.
Tendenza alla benevolenza
Una prima risorsa, inscritta nella natura umana ed in grado di apportare utili benefici all'uomo, qualora sia debitamente indirizzata e sostenuta, ravvisiamo in quella che gli studiosi umanisti chiamano "tendenza alla benevolenza". E' un sentimento, cioè un 'sentire' che l'uomo spontaneamente avverte verso i suoi simili, indipendentemente dal sesso, dalla loro età e dalla loro cultura. Esso rappresenta una disposizione all'incontro con l'altro, per quanto diverso, in termini di serena fiducia.
Per Rousseau "Non c'è affatto perversità originale nel cuore dell'uomo"."Il fanciullo è naturalmente incline alla benevolenza" (10). Kriekemans fa eco dichiarando "No, l'uomo non è malvagio per natura. Esso è animato da una tendenza spontanea, quella di partecipare all'altrui sorte. A codesta tendenza è intimamente legato il movimento che lo spinge a recare aiuto dovunque si manifesti un bisogno o una debolezza…Restiamo così protesi verso il bene…Chi ne ha la possibilità, almeno in linea di principio, assiste spontaneamente chi ha bisogno di aiuto"(11). Fromm E., approfondisce questi concetti richiamando all'amore come sentimento attivo, non passivo: amare è soprattutto 'dare' e non ricevere. "Per la persona attiva, dare è la più alta espressione di potenza. Nello stesso atto di dare, io provo la mia forza, la mia ricchezza, il mio potere. Questa sensazione di vitalità e di potenza mi riempie di gioia. La sfera più importante del dare non è quella delle cose materiali, ma sta nel regno umano". Si può dare la propria gioia, il proprio interesse; sapendo che l'amore è una forza che produce amore (12). Continua Fromm: "L'amore è un'attitudine, un orientamento di carattere che determina i rapporti di una persona col mondo, non verso un 'oggetto' d'amore. Se una persona ama solo un'altra persona ed è indifferente nei confronti dei suoi simili, il suo non è amore. …Eppure la maggior parte della gente crede che l'amore sia costituito dall'oggetto, non dalla facoltà di amare" (13) E conclude: "Amare qualcunonon è solo un sentimento, è una scelta, una promessa, un impegno"(14). E' anche atto di generosità: "Mentre il mondo insegna ad avere per essere, la generosità offre una diversa lezione: quella di dare, per avere se stessi. Ma cosa dare? Amore, anzitutto, più che denari. Dare solidarietà, sostegno, pensieri, partecipazione"(15).
L'educatore può far leva su tali disposizioni come a prerequisiti per la comprensione ed accettazione dell'altro, incominciando dal bambino, quando ancora non sono presenti ed operanti pregiudizi. L'esperienza concreta vissuta con gioia, con simpatia, con risonanza gratificante negli incontri amicali quotidiani, rafforza gli atteggiamenti di benevolenza nei riguardi del diverso. Il bambino, e anche l'adulto, sono propensi alla gioia e a fissare stabilmente nella loro interiorità le esperienze vissute 'gioiosamente'.
La benevolenza parla di apertura positiva verso l'altro, di offerta gratuita di sé, di dono, di accoglienza dell'altro non solo come un proprio simile, ma anche come apportatore di ricchezza. Gli studiosi dell'intercultura ormai condividono tutti nel ritenere che il portatore di altra cultura costituisce una ricchezza per tutti. Oltre tutto l'incontro col diverso consente, pure, di sviluppare una delle più qualificanti caratteristiche dell'uomo: la realizzazione di sé attraverso l'amore, inteso come offerta, come dono. In altri termini si verifica il riconoscimento di quello che ciascuno di noi propriamente è, quindi delle proprie virtù, delle proprie risorse e capacità: fenomeni che potrebbero indurre anche nei più scettici quella gioiosa curiosità di scoprire se stessi e trovar senso in questa scoperta. (16). Giova appena ricordare che si esclude la riduzione dell'altro a sé: sarebbe una falsificazione della benevolenza. Porterebbe ad un asservimento dell'altro che implica presunzione di una compiuta eccellenza propria tale da giustificare l'antagonismo verso l'altro e la pretesa del suo possesso. Il rapporto con l'altro cercato solo per imporre la propria volontà blocca i sentimenti di benevolenza e di accoglienza. Tanto occorreva ricordare perché tali devianze non sono del tutto sparite dalla vita sociale anche di oggi.
Lo spirito di dedizione
Notevole interesse riveste lo studio di M.Peretti sulla "singolarità della persona". Analizzandone le caratteristiche trova in essa la scaturigine dello spirito di dedizione, che si identifica nella corrispondenza tra il proprio bene e il bene altrui. "Tutti gli uomini trovano nell'ispirazione della legge della condotta autenticamente personale la certezza dell'armonia e della solidarietà dei loro intenti. Agendo per me e gli altri per sé, ci troviamo tutti uniti nel vincolo della solidarietà universale, basata non tanto sulla convenienza o sulla legalità, quanto sulla consapevolezza della medesima natura e, quindi, della medesima dignità" (17). Nella valutazione di sé la persona riconosce nell'altro la medesima dignità per cui gli incontri non avvengono in termini di concorrenza e di rivalità, ma di reciproca valutazione positiva della dignità personale d'ognuno: siamo nell'esaltazione dello spirito di dedizione. Nella natura della persona si radica,dunque, un'economia di offerta, non di competizione o di calcolo; l'essere personale è generosità, disponibilità.
Se questa è una risorsa ed una esigenza della natura umana, noi abbiamo qui un aiuto per rendere possibile lo stabilirsi di rapporti interumani, i quali, più che essere una faticosa conquista, sono un sereno e gioioso affermarsi di ciò che è più degno dell'uomo in quanto tale, di ogni uomo. La volontà di bene verso l'altro, promossa e sostenuta dall'educazione, toglie il soggetto da quell'egoismo che mal dispone nei riguardi dell'altro. Interagendo con gli altri ed agendo per gli altri si conferma la "volontà di sé" come "volontà di ogni sé".
Nella pratica degli incontri la volontà di bene fa scorgere le diversità ed accoglierle senza pretese di assimilazione ed adeguamento alla propria visione della vita. E' la legge dell'amore che considera un bene grande la presenza altrui, ossia viene esaltata la convinzione, ormai generalmente acquisita, che l'altro, il diverso è una ricchezza. Capacità di sentire ed agire qualifica i sentimenti in gioco ed in questo senso il sentimento è un giudizio, che però differisce da quello intellettivo, in quanto non ha per oggetto stabilire una relazione concettuale ma di compiere l'atto soggettivo di accettazione o di rifiuto (18).
Qui possiamo richiamare il rapporto tra sentimento di dedizione e valori interculturali. Non sono questi ultimi a dettare scelte e comportamenti: sarebbe un rovesciare tutto il discorso fin qui fatto. D'altra parte il sentimento che presiede l'incontro con l'altro, non è né dettato né inteso come egoistica acquisizione di qualcosa di utile per sé o di avvantaggiamento sull'altro. E' un sentimento che porta all' altruismo cioè al dono sé.
c) La tendenza alla socializzazione
Da sempre è stata riconosciuta all'uomo la tendenza alla socializzazione. Essa mira a far uscire l'individuo dal suo isolamento, ad apportare la gratificazione di sentirsi partecipi del consorzio umano. Ciò avviene attraverso l'incontro con la cultura dei propri simili, secondo modalità e contenuti idonei a far giungere il soggetto alla piena realizzazione di sé: è il passaggio, cioè, dall'immaturità alla maturità ossia all'autonomia, ove libertà e responsabilità consentono all'individuo di poter disporre pienamente di sé.
Nessuno può raggiungere indipendenza e maturità isolandosi dai propri simili. Il pieno sviluppo della personalità implica, da parte dell'individuo, l'accettazione del bisogno fondamentale che ciascuno ha degli altri. Ci troviamo di fronte al paradosso secondo cui l'uomo attinge il massimo della sua individualità proprio grazie al profondo contatto con i suoi simili, con la loro cultura.
Che cosa c'è allora di così importante nei rapporti con gli altri, se l'uomo non riesce a sviluppare senza di loro la propria personalità? Come fin da bambino non può fare a meno dell'affetto e dell'amore dei suoi genitori, così crescendo non può vivere senza sentirsi inserito nella cultura dei suoi simili. Condividere e interagire sul piano dei significati e dei valori della vita, ossia tenersi aperto verso la cultura del sociale, pur nell'identità del proprio essere personale, vuol dire diventare capaci di accettare se stessi e pertanto di essere se stessi fra gli altri e con gli altri e di realizzare la propria personalità(19). In una società pluralistica come la nostra, non è concepibile il disinteresse per l'altro culturalmente diverso: sarebbe una socializzazione monca o povera. La pedagogia interculturale ci ha indicato le forme e le condizioni per un incontro reciprocamente arricchente. Sulla base di questa necessità ed opportunità avanziamo le nostre considerazioni per l'apertura e l'utilizzo dei sentimenti verso il culturalmente diverso.
Di sua natura il sentimento esprime l'aspettativa di un gioioso rapporto con gli altri. Occorre che questi sentimenti non siano bloccati da pregiudizi e da concetti della propria superiorità. Per questo va detto che la spinta alla socializzazione senza barriere, va guidata e orientata. L'esperienza, infatti, di contatto con portatori di culture diverse non è per se stessa benefica, lo potrà e dovrà essere quando essa viene sostenuta da motivazioni di plausibilità. In primo luogo vengono chiamati in causa quei sentimenti, che nella prima età possono essere spontanei e addirittura sostenuti dalla curiosità sul diverso e che nell'età che sale possono nutrirsi di esperienze gratificanti, cominciando dalla gioia di condividere taluni valori, di simpatia nutrita dalla esaltazione di una reciproca intesa, pur rispettosa delle diverse identità, anzi orgogliosa della diversità, interpretata come forma di umanità diversa ma ugualmente degna di considerazione. Su questa linea i sentimenti aprono la porta dell'integrazione.
d) Lo sguardo d'amore
Avvalendoci del contributo di Nédoncelle ci troviamo ancora nel campo delle tendenze inscritte nella natura umana, che noi consideriamo come risorsa da sostenere e valorizzare. Si tratta della tendenza di vedere nell'altro un essere da amare. Nédoncelle la chiama "sguardo d'amore" proteso verso la promozione dell'altro visto come essere uguale a sé al di fuori e al di sopra delle differenze d'ogni genere: "L'amore è una volontà di promozione. L'io che ama vuole anzitutto l'esistenza del tu; vuole inoltre lo sviluppo autonomo di questo tu e per giunta che questo sviluppo autonomo armonizzi, fin dove è possibile, col valore intravisto per esso dall'io" (20).. L'altro è considerato per la dignità del suo essere persona amabile, indipendentemente dalla sua etnia di appartenenza e della sua cultura; queste diversità, coincidenti con la sua identità, finiscono poi per essere accettate e valutate in positivo come una ricchezza "umana".
Siamo nella esaltazione dell'amore come tipica qualità umana, destinata ad estendersi a tutte le persone: ne è sicuro esempio il fanciullo, che non è stato irretito da pregiudizi e che, pertanto, può far prevalere la sua forza ed il suo bisogno di amare. L'amore è in grado di estendersi a tutte le esperienze della vita: ogni cosa si può fare con amore e per amore. Ciò è dovuto al fatto che il bisogno e la capacità di amare vengono prima e al di qua di ogni altra qualità umana acquisita: in questo senso ogni persona può essere guardata e trattata amorevolmente.
e) La proesistenza come attitudine a vivere per gli altri
Le riflessioni di G.B.Mondin ci aprono un ulteriore orizzonte sulle possibilità, o meglio dire sulle risorse, che ogni individuo ha a disposizione per incontrare l'altro. Egli parla di "Proesistenza" come capacità propria di ogni individuo di "di trasformare il vivere con gli altri in un vivere per gli altri. Egli descrive la proesistenza come generosità, dedizione, spirito di sacrificio, rinuncia di se stessi, dare precedenza all'altro e preoccuparsi dell'altro più che di se stessi
Perché la proesistenza possa diventare un tratto dominante della persona occorre un forte impegno della volontà e l'esercizio quotidiano.
La proesistenza che giova alla realizzazione degli altri (del prossimo) si ripercuote positivamente anche sull'essere del proesistente stesso. E' una via, anzi è la via ideale alla realizzazione della propria persona: quanto più ci si impegna nel dare attuazione all'umanità dell'altro, tanto più si cresce nella propria umanità.
La coesistenza proesistenziale ha come suo ambito di esercizio il prossimo. Prossimo riguarda tutti i rappresentanti della specie umana, senza distinzione di razza, di lingua, di colore, di sesso, di religione, di cultura, di età. "Prossimità' non connota una relazione spaziale o temporale (vicinanza nello spazio e nel tempo), bensì una relazione personale: quella per cui l'altro è trattato come noi stessi. S.Tommaso lo esprime egregiamente affermando che si tratta di 'compiere la volontà del prossimo come la propria' (2a 2ae29,3)".
La categoria della prossimità ha per tutti, e soprattutto per il cristiano, una estensione illimitata. Essa infrange ogni barriera causata dalla cultura, dalla religione e da qualsiasi diversità.
Tutti coloro che hanno studiato la struttura della prossimità concordano nel dire che essa è una relazione primaria che si radica direttamente nell'essenza stessa della persona, per cui si impone, di per sé, immediatamente nell'incontro con l'altro (21).
f) Le virtualità della coscienza e la sua formazione
Dire che la coscienza è un sentimento, è dire poco; essa è una delle più delicate risorse della natura umana. Il massimo della sua esaltazione l'ha fatto Rousseau, che nella professione di fede del Vicario savoiardo 22) la proclama 'istinto divino': "Coscienza!, coscienza!, istinto divino, voce immortale e celeste; guida sicura d'un essere ignorante e limitato". Rousseau rimette alla coscienza la risoluzione di tutti i problemi della vita. Ma anch'egli riconosce la necessità della sua illuminazione: "Cominciate col mettere la vostra coscienza in grado di volere essere illuminata". Non entriamo a chiarire quale tipo di illuminazione Rousseau postula. A noi, comunque, interessa far risaltare che il ruolo della coscienza è fondamentale nella vita dell'uomo e chela sua "attitudine" attende una debita formazione. Appellarsi alla coscienza vuol dire far leva su di essa come punto nodale del comportamento umano. Nel nostro caso tale appello riguarda pure la sfera degli incontri interculturali e diremo subito come e perché.
Partiamo dalla considerazione che l'uomo è fatto per il bene e, quantunque la natura umana possa essere disturbata da ciò che non è bene o giusto, tuttavia in essa risuona, per naturale costituzione, l'appello a ciò che è bene sia per sé che per gli altri. Qualora così non fosse dovremo cercare le motivazioni al di fuori di ciò che è naturale.
Tutti noi nasciamo dotati di coscienza, intesa come capacità di percepire il bene e di orientarsi verso di esso. Nessuno nasce naturalmente cattivo, portato alla malvagità. Questo criterio apre a credere alla positività delle diverse culture.
Dire che la coscienza è fatta per il bene non significa e non comporta che il bene, i valori, tutto ciò che è positivo sia già iscritto in essa: possiamo immaginarla come una struttura in cui nulla è scritto, ma che è in attesa di essere istruita e illuminata, o come direbbe il primo pedagogista dell'epoca moderna Comenio essa reca in sé i semi per la conoscenza della verità, della virtù e della bontà. Così entriamo nel campo della "formazione della coscienza".
E', dunque, un compito educativo. La conoscenza dei valori costituirà definitivamente il punto di riferimento per i suoi pronunciamenti: essa va "educata" o più esattamente "formata". La sua dinamica propulsiva verso il bene, i valori, la bontà, attende di essere messa in attività.
Agli educatori ed agli insegnanti spetta "formare" una retta coscienza nei propri figli e nei propri allievi attraverso una obiettiva e serena illuminazione. Ricordiamo che si può ferire la coscienza del giovane sia omettendo l'istruzione, sia attribuendo un peso esagerato o minimizzato rispetto alla obiettiva importanza di questo e di quel valore. E quel che è peggio si può sfalsare la coscienza del giovane facendo passare per valore ciò che valore non è.
Quando poi il giovane cresce, tocca a lui rivisitare i propri convincimenti per verificarne la verità ed il valore, soprattutto di fronte ai problemi posti dall'età che sale e dalla società in cui va a inserirsi. E' importante che egli possa dire: "la mia coscienza mi dice", in quanto qui si esprime il vertice della propri autonomia e responsabilità.
Come pure tocca agli incontri interculturali non tanto valutare le coscienze altrui quanto piuttosto sostenere la radicale disponibilità ad abbracciare ciò che è bene. Sarà un'opera fatta con delicatezza ma con certezza del suo valore. Fermo restando che la coscienza non va violentata e che la responsabilità rimane sempre personale. Anche per questa via si esalta la dignità della persona umana e ed il rispetto dovuto alle sue scelte. Quando la benevolenza e lo spirito di dedizione risuonano nella coscienza come appelli al dono di sé all'altro, la coscienza ben formata avverte il senso della doverosità: quella cioè del potere che diventa dovere.
Il metodo educativo ed i sentimenti
Altro apporto, che va al di là della razionalità, riguarda le modalità con cui l'educatore instaura i suoi rapporti con gli educandi: si tratta del metodo educativo. A sostegno dell'affermazione e dello sviluppo dei sentimenti, l'insegnante può dare un grande contributo con l'esemplarità del suo modo di fare, cioè con quanto in pedagogia si dice a proposito dell'"amore pedagogico", che ama e rispetta le possibilità insite nell'educando E' doveroso richiamare come nel metodo educativo, fin dal Rinascimento, si è chiesto all'educatore di operare con 'amore', con 'amorevolezza', con 'soavità': modalità riconosciute rispettose del soggetto educando ed efficaci per evocare i suoi sentimenti.
Ricordiamo Pestalozzi: tutto il suo discorso educativo ruota attorno all'amore nella duplice dimensione dell'amore verso l'educando e dell'amore che sostiene l'attività dell'educando stesso (23).
In Don Bosco, l'amorevolezza mira a "che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati". (24) Il metodo proposto dai gesuiti risale alla loro antica tradizione di accattivarsi l'adesione degli educandi attraverso la "soavità" ("Soaviter in modo, fortiter in re"): soavità vuol dire comprensione delle condizioni umane dell'educando ancora fragile, vuol dire rapporto educativo radicato nella ferma e dolce volontà dell'educatore di far amare anche lo sforzo. (25) "Amore", "amorevolezza", "soavità" sono modalità riconosciute rispettose del soggetto educando ed efficaci per evocare i suoi sentimenti.
Se queste riflessioni riguardano il bambino, non sono estranee all'umanità dell'adulto: solo che nell'adulto i sentimenti sono già stati caricati di contenuti, per cui il discorso, per questi aspetti, è da considerarsi di recupero. Quando gli adulti, portatori di culture diverse, vengono stimolati al reciproco incontro, chiaramente sono impegnati a considerazioni di rispetto, di stima, di ricerca d'intesa fondati sulla comune umanità. Tutto il discorso fa leva sulla capacità di razionalizzazione. Ma l'attività di razionalizzazione, nel momento operativo, quando cioè si trova di fronte ai vari elementi della propria cultura, scopre i suoi legami con i sentimenti, le affezioni e le risonanze individuali con cui ha rivestito i suoi convincimenti e le sue esperienze. Così ci troviamo di fronte più spesso al gioco ed alla forza dei sentimenti che condizionano i ragionamenti.
Pertanto, la realtà culturale può essere passata al vaglio solo se alla base mettiamo i discorsi fatti per i più piccoli, altrimenti si incontrano o scontrano individui alla ricerca di convenienze più o meno vantaggiose per i propri interessi e convinzioni. Vogliamo dire che ancora una volta, anche nell'adulto giocano i sentimenti, non puri come all'origine, ma già modulati attorno ai suoi convincimenti ed alle sue esperienze. Occorre che l'adulto recuperi l'originario e naturale sguardo d'amore, per rigenerare la capacità di offrirsi alla promozione del tu come dono di sé, nell'altruismo.
Suggerimenti educativi
Sul piano educativo si richiedono interventi opportuni e adeguati in quanto le facoltà vanno stimolate al loro esercizio e non lasciate a se stesse: lasciate a se stesse rattrappiscono e nulla di buono producono.
A noi interessa agire su quelle facoltà che sono in grado di operare precedendo le valutazioni (o quanto meno da esse prescindono) e che si esplicano attraverso l'approccio sociale. E' importante, infatti, arrivare prima dell'ingresso dei pregiudizi, ossia prima che le risorse positive connaturali vengano distorte. L'interrogativo è quello di sapere quali sono le occasioni e gli elementi costruttivi del cammino di reciproca accoglienza, stima, collaborazione. E' uno studio esplorativo da fare. In particolare è da studiare e verificare quale risonanza abbia nell'altro l'attività di amore e di benevolenza. Amiamo immaginare – e non senza fondate ragioni- che l'amore dell'altro possa essere ridestato da un altro atto di amore: l'amato avverte ridestarsi il suo cuore. Così anche l'altro risponde e corrisponde in sintonia con i migliori sentimenti.
a) La messa in attività e lo sviluppo delle facoltà originarie connaturali, in grado di operare secondo la loro specificità, riguardano le disposizioni alla benevolenza nei rapporti con i propri simili, alla dedizione, all'altruismo, allo sguardo d'amore, al primato della coscienza: sono i sentimenti, che nella nostra ricerca abbiamo privilegiato, sulla scorta degli studiosi umanisti che di essi si sono esplicitamente e analiticamente occupati. Ci si preoccupa di far apprendere il buon rapporto con l'altro attraverso esperienze che colgono l'essenzialità dell'essere personale, al di là dell'etnia, del sesso, delle doti, della cultura del gruppo di appartenenza e della particolare religione. Evidentemente ciò vale per tutti sia autoctoni che immigrati; ma è indispensabile che gli adulti, particolarmente i genitori si aprano a questo genere di atteggiamenti.
b) Un'occasione favorevole per esaltare i sentimenti del reciproco amore è fornita anche dai giochi sociali fra bambine e bambini, fra ragazze e ragazzi di diversa etnia. Giocare è un bisogno proprio di ciascuno e la sua realizzazione, fatta insieme, apre la porta alla reciproca benevolenza. Questi giochi sovente si verificano spontaneamente quando sulla via o nella piazza i bambini si trovano insieme. Tuttavia, opportunamente scelti si possono suggerire sia a scuola che nelle differenti famiglie.(26). E' chiaro che è indispensabile da parte dell'adulto, specie genitore, il superamento della chiusura negli usi e costumi o meglio nella mentalità più o meno tribale che impedisce il contatto col diversamente acculturato. Tutto ciò perché i sentimenti, di cui stiamo occupandoci, possano liberamente operare.
c) Alcune esperienze, pur settorialmente limitate, sono state segnalate per la loro positività nel convegno internazionale di Verona del 20-23 aprile 2005. Si tratta di esperienze di vita vissute insieme tra appartenenti a culture diverse. Il progetto di dette esperienze si era fondato nella considerazione che dove e quando le persone si sforzano di vivere in uno spirito di apertura e di buon vicinato, condividendo le loro gioie e le loro pene, i loro problemi e le loro preoccupazioni umane, quando si parlano e si ascoltano in questo modo, creano sentimenti di reciproco rispetto e accettazione L'esperienza s'era svolta sul contatto diretto e non direttivo, nel convincimento che l'incontro tra persone diverse, che si relazionano in questo modo, approderà a nuove realtà. Si era convinti che l'incontro tra vissuti diversi induce ad interrogarsi sui propri pregiudizi, a discutere le proprie valutazioni sull'altro, a superare gli stereotipi, i luoghi comuni e ad evidenziare le valenze umane dell'altro e ad epurare la mente dall'illusione di possedere il monopolio della verità assoluta e dei valori perenni. (27) Il nostro interesse per l'esperienza riportata sta nella considerazione della forza propulsiva e dominante dei sentimenti che precedono qualsiasi valutazione, o meglio pregiudizio. Ad ogni buon conto, queste forme del vissuto comune, in grado di far prevalere il ruolo dei sentimenti, hanno bisogno di ulteriori verifiche e, soprattutto, di epurare lo stato culturale pregresso per conoscere eventuali indisponibilità ad approcci liberi e aperti, oppure se si debba riconoscere che i sentimenti di reciproca comprensione prevalgono in ogni caso e su tutto. In quest'ultima ipotesi, la valorizzazione dei sentimenti acquista una dimensione molto ampia e la sua efficacia, oltrepassando anche le eventuali resistenze, entra nei rapporti interculturali in modo decisivo e "fraternizzante".
Luigi Secco
Note
Rossi B., Avere cura del cuore. L'educazione del sentire. Carocci editore. Roma. 2006, p.29.
2) Ib.,p. 30-31.
3) Ib., p.43
4) Perla L., Educazione e sentimenti. Ed. La Scuola. 2002. pp.75-76)
Ib.77.
Cfr. Franzini E., Filosofia dei sentimenti. Mondatori. Milano. 1997, pp.318).
7) Lorenzetti L.M., La ragione dei sentimenti. Franco Angeli. 1997. Pag. 26).
8) Cfr. Flores D'Arcais G., Il problema pedagogico dell'Emilio. Ed. La Scuola. Brescia. 1954, pp. 35 . 40. 72.
9) Cfr. C.S.Hall C.S. e Gardner Lindzey. Teorie della personalità. Boringhieri, Torino 1966. La teoria del campo di Lewin, pp.199 ss..
10) Rousseau J.J., Emilio. Libro 2.
11) Kriekemans A., Trattato di pedagogia generale. La Scuola. Brescia. 1971. pp.44-45).
12) (Fromm E., L'arte di amare. Il Saggiatore. Milano 1976 pp.37-39).
13) Ib.p.63
14) Ib.p.74
15) Castellaneta C.. Dizionario dei sentimenti. Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1986. p.111.
16) Cfr.Galimberti U. L'ospite inquietante. Feltrinelli editore Milano. 2008.p.14.
17) Peretti M.,Educazione e carattere, Ed. La Scuola. Brescia, 1976, p.53.
18) Cfr.Nuttin G., La structure de la personalité. PUF. Paris.1965 p.134.
19) Cfr. A.Storr. L'integrazione della personalità. Astrolabio. Roma. 1969, pp.19-26.
Nédoncelle M., Verso una filosofia dell'amore e della persona. Ed. Paoline. Roma. 1959. p.13
21) Mondin G.B., L'uomo progetto aperto. In Pedagogia e Vita
2005,n.4, pp.37-50.
22) Rousseau J.J., Emilio, cap.IV.
23) Cfr. Pestalozzi E., Il Canto del Cigno, La Nuova Italia. Editrice Firenze. p.135.
Cfr.Grzadziel D., La pedagogia di don Bosco, In Orientamenti Pedagogici, Nov.-dic.2009).
Cfr.Secco L., La pedagogia dell'amore. Ed. Città Nuova. Roma 2006, p. 154).
Cfr. Romano R.G., L'arte di giocare. Pensa, Lecce, 2000, pp.229-232.
L'organizzazione del Convegno veronese ha prodotto un dischetto con le relative relazioni: Il dischetto IAIE Conference (E) in CD-ROM.
Luigi Secco
Pubblicato nella Rivista Pedagogia e Vita, n.5-6 settembre-dicembre 2010, pp.109-122