Capitolo III La socializzazione mortificante:
la volontà sociale
Desideroso di liberare l'uomo dai condizionamenti che gli impediscono di vivere a livello di dignità umana, Marx individua le "catene" nella realtà esistenziale procurata da una società resa inumana dalla divisione del lavoro, dalla divisione delle classi, dal predominio della proprietà privata.
Il mandato liberatorio appartiene alla classe del proletariato, considerato a pieno diritto rappresentante dell'umanità. Esso agisce in nome e per il bene di tutti gli uomini, avendo da solo la capacità ed il destino di fare le nuove sorti dell'umanità. La quale vedrà i giorni migliori quando la nuova realtà esistenziale, procurata e garantita da una società umanizzante, avrà abolito lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, cioè avrà vinto l'individualismo in tutte le sue forme, consentendo la piena socializzazione.
La ricchezza delle tematiche maxiane, per molti versi affascinanti, ci obbliga a focalizzare l'attenzione soltanto sul nostro tema e cioè sull'analisi di quegli aspetti del discorso che involgono il ruolo dell'uomo come tale nel procurarsi il nuovo stato di felicità e nel fruirlo, una volta raggiunto.
L'uomo "umano" e la volontà sociale
Anzitutto va chiarito cosa si intende per uomo come tale, proprio perché da questo chiarimento appaiono le prime difficoltà nel trattare il problema della volontà dell'uomo.
Per Marx l'uomo è essenzialmente un essere sociale, che "sviluppa la sua natura solo nella società" (Marx K.- Engels F., La sacra famiglia. Editori Riuniti, Roma, 1962, p.172). L'esistenza singolare è l'aspetto di una totalità, nella quale e in funzione della quale essa prende significato e valore. Tutto ciò che è ripiegamento dell'uomo su di sé, quasi che nella singolarità del suo essere potesse trovare la scaturigine e le potenzialità espressive di individuali risorse, è del tutto alieno dal pensiero marxiano.
"L'essere degli uomini è il processo della loro vita" (Marx K., Engels F., L'ideologia tedesca. Editori Riuniti, Roma, 1967, p.13) e sulla base di questo processo si spiega anche lo "sviluppo dei riflessi e degli echi ideologici" (Ib.). L'uomo è "socialmente creatura" (Marx K,mIl Capitale. Ed .Riuniti Roma 1964, vol. I, p.32) sia nel senso che "non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza" ( Marx K.-Engels F., op.cit.,p.13), sia nel senso che "ciò che gli individui sono dipende dalle condizioni materiali della loro produzione"(Ib.,p.9)
Marx rifiuta ogni metafisica e coglie l'uomo nella prassi, nella sua attività che è lavoro e produzione. Sarà il lavoro, o più esattamente la sua organizzazione, a plasmare l'uomo. Proprio per questo "se l'uomo è plasmato dalla circostanze è necessario plasmare umanamente le circostanze"(Manacorda M.A., Il mrxismo e l'educazione. Armando, Roma, 1971, vol. I, doc.4b, p.38).
La realizzazione dell'uomo avviene, dunque, nel sociale. Società ed individuo si identificano mettendo fine ad una separazione alienante; sarà "l'uomo sociale", cioè, "umano", a risolvere il conflitto tra natura e uomo, tra essenza ed esistenza, tra libertà e necessità, individuo e genere (Cfr. Formizzi G., La pedagogia di Karl Marx. Ed.La Scuola. Brescia, 1973, p.27). Ovvio,d'altra parte, che lo sviluppo di un individuo è condizionato dallo sviluppo di tutti gli altri con cui si trova direttamente in relazione.(Manacorda M.A.,op.cit.doc.7i, p.59)
La totalità diventa diventa inveramento dell'uomo, compiutezza senza residuo: totalità, cioè il sociale realizza l'individuale, in relazione esaustiva.. La relazione non tende all'appropriazione; altrimenti, l'io varrebbe per sé e per sé vorrebbe il termine della sua relazione: le cose in proprietà. L'uomo, invece, vale nel sociale, nella relazione che lo realizza in quanto lo accomuna. Se ne deduce che il volere per se stessi non autentica l'uomo ma lo aliena. Lo stesso volere in funzione di tutti deve dirsi equivoco perché potrebbe significare il riconoscimento di una possibilità di dono implicante una compiutezza indipendente dall'altro; per cui non resta che parlare di una volontà sociale, comune, che non precede, ma si fa nel momento sociale.
Se della educazione della volontà vogliamo parlare, dobbiamo trasferire il discorso al gruppo, momento in cui l'uomo è se stesso, perché libertà e necessità coincidono. E' il "comunismo" che fa il volere come esercizio di umanità, di educazione della volontà al gruppo, perché essa non precede il momento sociale nel suo farsi e nel suo autenticarsi. Così essa non potrà mai essere volontà individuale. Sarà sempre volontà sociale : risultato di un qualcosa che emerge nell'insieme. Non ci sono valori individuali e dati a priori. Se mai un a priori c'è, questo sta nel rifiuto di ogni a priori. E' il sociale "comunistico" che esprime i valori, il primo dei quali è
il farsi tale, scrollandosi di dosso l'impedimento che proviene da chi opprime l'uomo possedendo beni o alienandolo con la fede religiosa.
Il mandato della classe operaia: volontà rivoluzionaria?
Nella presente società borghese l'uomo è avvinghiato da legami politici e religiosi (Cfr. Formizzi G., op.cit.,p.52"Lo Stato borghese considera la religione e la politica – i principi giuridici e istituzionali che lo fondano – comodi espedienti per la sua sopravvivenza, per consolidare la propria potestà quale autoaffermazione della classe dominante. "La questione del rapporto tra l'emancipazione politica e la religione diventa per noi la questione del rapporto tra l'emancipazione politica e l'emancipazione dell'uomo"; Marx K, Die Fruehschriften, Kroener Verlag 1953, p.178. Cfr. Manacorda M.A., op.cit. p.14). La classe operaia è lo strumento pratico per rivoluzionare il sistema. "Essa ottiene per mezzo di un atto comune ciò che attraverso una somma di sforzi individuali isolati si rivelerebbe come inutile tentativo" (Cfr. Formizzi. G.,op.cit.p.94). "La classe operaia deve trovare nell'azione e nel pensiero una compatta unità che la guidi nel suo cammino rivoluzionario" (Ib.,p.60)
Quel che occorre sottolineare non è tanto che l'ambiente modifica l'uomo, quanto che l'attività dell'uomo modifica l'ambiente (Manacorda M.A., op.cit., p. 12; doc.4b, ivi p.38; doc. 6, ivi p.49) . La lotta rivoluzionaria dovrà da una parte abbattere la potenza del modo di produzione, di relazione e la struttura sociale esistenti fino ad oggi e dall'altra sviluppare il carattere universale del proletariato (Formizzi G., op.cit., p.26; ib. P.27, nota 30). Il passaggio si avrà per effetto del superamento della divisione del lavoro. La divisione, prodotta storicamente come un processo "naturale" indipendentemente dal volere degli individui, si annullerà al determinarsi delle condizioni del so superamento che è indipendente dal volere astratto dei singoli individui. Esso si avrà soltanto col pieno sviluppo di questo duplice contraddittorio processo. Di aumento delle forze produttive da una parte, di lacerazione dell'uomo e dell'intera società umana dall'altra. (Manacorda M.A., op.cit., p.10)
Se così stanno le cose, gli uomini assistono allo sviluppo della storia senza che la loro volontà possa fare qualcosa. Come conciliare l'impegno alla lotta rivoluzionaria del proletariato per mutare le cose, con la fissità delle leggi storiche che agiscono indipendentemente dalla volontà dell'uomo? In un primo tempo potrebbe avere senso parlare di una volontà rivoluzionaria; in un secondo questa sembra essere inutile. La inevitabilità della lotta di classe sembra legata alla possibilità ed al compito della classe proletaria di capovolgere il modo di produzione. Non risulta chiaro se la classe vada educata a prendere coscienza della sua situazione e del suo compito al fine di operare o accelerare il capovolgimento; sempre, tuttavia, essa ha il compito di agire in funzione di un nuovo ordine da stabilire, anche quando sarà abolito il capitale. E' l'educazione a volere adoperarsi per un tipo rivoluzionario di umanesimo, in cui l'uomo realizza onnilateralmente (Il concetto di uomo onnilaterale o polivalente si ricava dal complesso del discorso marxiano, ma esso trova una più esplicita dichiarazione ne Il Capitale. Cfr. Formizzi G., op.cit., pp.62 ss.). E' questo concetto di uomo destinato a realizzarsi onnilateralmente che indica qual è l'essenza dell'uomo. Ma se tale è la sua essenza, il discorso sembra volgersi all'intelligenza più che alla volontà. Il nuovo ordine, infatti, risulta rivoluzionario rispetto al precedente, ed umanizzante, perché il lavoro, il quale crea l'uomo e ne attua la sua essenza umana ( Manacorda M.A., op. cit., p.8), non sarà più diviso. Ciò si compie attraverso la cooperazione di più individui, che entrano così tra loro in rapporti sociali determinanti (Ib.). Ma anche questo processo è indipendente dal valore astratto dei singoli individui. Diremo, dunque, che non importa tanto il risultato del lavoro, ma il processo dell'attività lavorativa; allora, se quel processo è determinato dalla correlazione tra oggetto e mezzi di lavoro e, precisamente, dall'attenzione, consiste nella capacità di conformare la volontà allo scopo e l'uomo dovrà essere educato alla formazione della medesima attenzione. Per essere umano, il lavoro va affrontato e svolto nella conoscenza della correlazione tra fini e mezzi, secondo quanto esige la natura intelligente dell'umana attività (Peretti M., op.cit., pp.58-59).
Qui, però ritorna il problema di fondo, quello cioè di sapere se e che cosa possa dipendere dall'uomo, dalla sua volontà per cambiare, "rivoluzionare" le cose. Nella morsa della sua classe, la dominata, la condizionata, la impedita a realizzare rapporti sociali degni dell'uomo, in grado di liberamente muoversi ed esprimersi, che può fare l'uomo per poterne uscire? Potrà essere aiutato a prendere coscienza della sua importanza per risvegliare la volontà di ribellione alla sua situazione, potrà aspirare ad unirsi a tutti gli altri proletari per forzare la situazione. E non è questo un ammettere un volere proprio, una volontà d'azione precedente l'azione? Si riconosce l'insufficienza della volontà del singolo per la riuscita sul piano sociale, ma la si richiede perché si unisca alle altre volontà; fermo restando che le volontà singole solo quando unitamente mirano all'eliminazione della classe borghese hanno significato umano, vero valore. Questo potere e questo merito, esclusivamente legati alle finalità della causa del proletariato, sembrano d'altra parte esclusi dal processo storico, che per sua legge s'impone portando il proletariato ai suoi traguardi. Pare, dunque, che per altro verso le cose debbano andare da sé, lo voglia o non lo voglia la borghesia e lo stesso proletariato.
Se nella prima precedente considerazione vedevamo una via d'uscita dalla necessità, anche se era inevitabilmente una sola; qui, nel secondo richiamo appare l'inutilità d'un impegno personale poiché è fatale che la storia, obbedendo alle sue leggi scientifiche, risolva da sé. Fino, dunque, alla parusia del proletariato come totalità sociale si educa alla volontà di liberazione; ma da un altro punto di vista appare che non è necessario un contributo personale perché tutto avverrà per necessità di cose. Nella contraddizione l'unica cosa che rimane è la fede messianica. Ha dunque senso parlare di suscitare una volontà rivoluzionaria o di attendere che essa esploda?
L'esperienza proletaria: Volontà di classe?
Quell'umanizzazione dell'uomo – preoccupazione fondamentale di Marx - che la classe dominante, non importa quale essa sia stata, ha sempre impedito nel corso della storia, vedrà il suo realizzarsi con l'avvento dei rapporti nuovi che la classe operaia riuscirà, unica, a instaurare. "Il vostro diritto – è questo il rimprovero fatto alla classe borghese - non è che la volontà della vostra classe innalzata a legge, una volontà il cui contenuto è determinato dalle condizioni materiali di vita della vostra classe. Questa concezione interessata, grazie alla quale voi trasformate i vostri rapporti di produzione e di proprietà da rapporti storici come essi sono, che appaiono e scompaiono nel corso della produzione, in leggi eterne della natura e della ragione, questa concezione voi l'avete in comune con tutte le classi dominanti scomparse. Ciò che voi comprendete quando si tratta della proprietà antica, ciò che voi comprendete quando si tratta della proprietà feudale, voi non potete più comprenderlo quando si tratta della proprietà borghese"(Manacorda M.A., op.cit., doc.11a, p.72)
Chiaramente, l'interpretazione della storia in termini storicistici, ma contemporaneamente avviata alla parusia della classe operaia quale inevitabile sfocio, ci mostra il passaggio da una classe dominante a un'altra non potendoci sottrarre dalla considerazione che saremo di fronte ad una altra classe dominante, anche se eletta ad essere la santa. E questo a danno non soltanto di chi appartenendo ad altra classe viene eliminato, ma anche degli stessi componenti della nuova classe dominante, che non potranno volerne una diversa, successiva. Nella classe borghese l'educazione si deve ritenere tutta condizionamento perché quelli che sono i rapporti storici venivano sostituiti da leggi eterne della natura e della ragione. Per l'avvento della nuova società occorre lottare per rimettere in movimento il dinamismo dei rapporti storici. La classe operaia deve trovare nell'azione e nel pensiero una compatta unità che la guidi nel suo cammino liberatorio. Essa è il nuovo tutto. Ogni proletario stringe le fila entro la classe per riuscire a eliminare la opposta ed emarginare chi si sottrae alla strategia della classe. Qui emerge una "volontà di classe" intesa più che come la volontà di ciascuno in favore del bene comune, come volontà della classe cioè del tutto ove ognuno ha il suo ruolo, ove ognuno è parte di un tutto. I singoli sono elementi essenziali al suo farsi ed al suo vivere, contribuendo ciascuno con le sue forze e capacità. Si tratta di una macchina che ha bisogno delle parti, nessuna delle quali può sussistere per conto suo.
In questa direzione Marx fa il discorso dell'educazione "onnivalente", cioè dell'uomo sviluppato in tutte le sue parti cosicché egli sia pronto e cosciente nei suoi compiti entro il tutto. Tuttavia, osserviamo che l'onnivalenza viene di fatto ridimensionata nel momento della specifica collocazione del singolo nel tutto, di cui è parte, quella parte in funzione del tutto. Non gli resta che il recupero sul piano intellettuale, cioè conoscendo il processo del tutto; ma ciò non apre a possibilità diverse e non modifica il comportamento se non quello di un maggior impegno nel suo lavoro perché ne capisce il senso compiuto. Basta questo a gratificare l'uomo? Gli consente di esplicare qualità e comportamenti propri al di fuori delle prestazioni richiestegli d'ufficio? Potrà essere assegnato ad un posto più giusto per prestazioni proficue al gruppo, ma la restrizione di fondo rimane.
Non è dunque da sorprendersi davanti alla critica che ha denunciato questo modo di inserimento come annullamento del singolo nel tutto. Vorremo anche evidenziare la contraddittorietà: il singolo, parte di un tutto, ritroverebbe se stesso quando giunge al giusto posto di quel tutto, però ha bisogno di scavalcarsi come parte avendo coscienza del tutto, cosicché sul piano operativo è tutto, ma sul piano intellettuale non è tutto.
Questo conformismo del singolo nel tutto, sia sul piano operativo che intellettuale, non lascia spazio alla volontà personale.
La volontà personale è sostituita da quella sociale, del tutto, del tutto che reca in sé esigenze, richieste, cioè quanto occorre al costituirsi e all'organizzarsi del tutto, del collettivo.
Potremo ancora sostenere che il lavoro libera l'uomo quando non è diviso? Marx vede la connaturalità dell'uomo col lavoro; in esso fonda e giustifica lo sviluppo dell'uomo, a condizione che sia fatto a livello di dignità umana e questa c'è quando il lavoro non è diviso; cosicché è il tipo di lavoro che rende schiavo o libero l'uomo.
L'interrogativo che ci poniamo è di sapere se il lavoro non diviso è la condizione o la causa della libertà dell'uomo. Rifiutando Marx ogni discorso di metafisica, la risposta non potrà essere marxiana, ma dovrà riconoscere il valore prioritario dell'uomo sul lavoro, altrimenti non ha senso privilegiare un tipo di lavoro rispetto ad un altro. In altri termini vi sono dei valori che possono, anche per Marx, essere riconosciuti solo quando un tipo di lavoro ne consente l'espressione: si tratta, quanto meno, di potenzialità che l'uomo intende far valere, intervenendo a modificare una certa realtà. Che egli possa più o meno incidere su quella realtà mediante la conoscenza o l'intervento attivo, lo precede un'intenzionalità ed una capacità operativa dipendente dalla sua volontà di adoperarsi, o per esasperazione o per convinzione, ma che lo pongono arbitro della decisione.
A Marx il discorso non serve; forse il suo pragmatismo, che poi non è del tutto puro (e come lo potrebbe essere?) è troppo suggerito dall'efficientismo, cioè dalla volontà di successo, che il singolo da sé non può conseguire, proprio perché il singolo, deprivato dei valori intimi e personali, è spinto a cercare la sua (?) riuscita sul piano sociale.
Tuttavia l'iniziativa dei singoli non può essere ignorata né sottovalutata. Marx ne fa conto, proprio in funzione di ciò che gli sta maggiormente a cuore, cioè la liberazione dell'uomo per opera della sua capacità di elevarsi al di sopra dei rapporti di necessità. Indubbiamente, non si potrebbe parlare di movimento rivoluzionario senza il riconoscimento della capacità dell'uomo, quanto meno, di spingere alle estreme conseguenze una situazione che porta alla caduta dei rapporti resi fissi quando sono fatti per essere storici. Senza questa possibilità non si uscirebbe dal determinismo: perderebbe significato il movimento di speranza della classe proletaria ed ogni valore l'appello al suo impegno rivoluzionario (Cfr. Peretti M., op.cit., p. 66: "Non è fatalismo…Con il fatalismo nessun movimento rivoluzionario potrebbe giustificarsi. Per tale giustificazione risulta, quindi, indispensabile l'iniziativa dei singoli, i soli capaci di 'soggettivamente elevarsi al di sopra' dei rapporti di necessità. A nostro parere, questa è l'esigenza fondamentale di Marx, avvertita e sostenuta dal suo sentimento, dalle sue persuasioni intime, ma non coerentemente sostenuta dalla sua sistemazione dottrinale"). Ma esso è espressione di manicheismo storico, potendo alcuni, cioè i migliori, ossia la classe operaia ribaltare le condizioni sociali nelle quali la borghesia ha cacciato l'uomo, mettendo le catene alla sua umanità.
Il discorso marxiano, che ha tutta una sua organicità, rinvia ad elementi che diventano determinanti al fine del raggiungimento degli scopi, ma che non trovano giustificazione all'interno del sistema. Quegli elementi, da cui Marx stesso non poté prescindere per sostenere il suo discorso, diventano anche il tallone d'Achille: il bisogno di riconoscere una forza originaria, cioè una forza singolare in grado di consentire il superamento della situazione di stallo propria di ciascuno in quanto precedente e condizionante l'avvento del sistema, testimonia che l'individualità, destinata a negarsi nel comunistico quale strumento dell'individualismo, è pur presente e operante a monte. Il che vuol dire: per guadagnare il socialismo ci vogliono le forze singolari dell'uomo, ma per vivere il socialismo, non soltanto esse non sono più necessarie, ma diventano nocive, anzi addirittura alienanti perché, volendo qualcosa di proprio, non possono volere più la totalità. Per cui, o ammettiamo che l'uomo può volere qualcosa di individuale, o ammettiamo che solo volendo il tutto e non il proprio si educa e si realizza.
Questo potrebbe, al limite, far pensare che per sottrarsi alla alienazione serva l'alienazione e per conservare l'umanizzazione occorre rinunciare al sé (al volere secondo un proprio modo, diverso da quello esigito dall'organismo nelle sue complesse esigenze) cioè negare se stessi ( anche se questo non è passività). E' indubitabile che Marx questo non intendeva, anche perché egli vuole l'uomo creativo; ma il volerlo tale entro il sistema, ordina la creatività individuale entro l'efficienza del tutto. Si precisa così un significato del tutto proprio: l'attività originaria si risolve in una concreta trama di rapporti sociali ma non individuali, cioè l'attività propria è sempre entro una logica di relazionalità da cui l'attività del singolo e la sua stessa creatività prendono senso ed anche alimento.
Insomma quella capacità dell'uomo di "elevarsi al di sopra" serve a far passare dalla preistoria alla storia, ma il suo protrarsi non ha più senso poiché il diviso entra finalmente nel tutto. E' l'uomo parte che trova il suo posto, il suo vero essere, nel tutto.
Essendo "parte" dovrà volersi nella classe totalizzante; anzi, più esattamente, vorrà la classe per ritrovare se stesso. In questo senso parleremo di volontà di classe, cioè volontà di negarsi come separato e voler la classe perché esso lo completa, lo fa.
Possiamo allora parlare di volontà personale?
Marx ha messo davanti all'uomo la prospettiva della liberazione e della realizzazione di sé, stimolandolo a farsi attivo. "L'uomo s'adoperi perché da semplice mezzo e strumento diventi motore, da oggetto il soggetto, da passivo esecutore si trasformi in attivo fattore della storia personale e sociale" (Formizzi G., op.cit., p.30)
Ottime dichiarazioni: esse rispondono alle aspirazioni dell'uomo; ma per evitare che con la divisione del lavoro o con la divisione in classi, o con l'appropriazione dei beni, un uomo o una classe imponga il suo volere ed impedisca ad altri la libera e compiuta affermazione di sé, si ricorre a soluzioni che sono negatrici del valore della persona come singolo e della sua libertà individuale, proprio quando, mentre verbalmente si affermano, teoricamente e praticamente si fanno coincidere col momento sociale. Poiché questo solo scrive la storia, una "praxi" individuale si pone al di fuori, impedendo il progresso dell'umanità: la volontà individuale, distinta e separata da quel cammino, non ha senso; essa aliena l'individuo e frena il ruolo ascensionale della storia.
Marx non vede altra via, per liberare l'uomo dalle catene e togliere gli abusi, che portare i singolo entro il tutto eliminando completamente chi non vi si immerge per intero. Il personale e il sociale nel momento della praxis, che l'unico autentico umano, si identificano.
Una volontà personale, che consenta una libera iniziativa, una scelta propria ed originale fino al punto da non ritenersi condizionata da esigenze di gruppo che impongono certi condizionamenti, non ha né senso né spazio; non ha senso perché significherebbe il riconoscimento di una priorità dell'interiorità e dei suoi valori rispetto al sociale e alla prassi considerati gli unici elementi costitutivi l'essenza dell'uomo; non ha spazio perché il singolo prende valore nel tutto: il suo essere "umano" si fa entrando in un tipo si esperienza di classe, cioè nel "conformismo".
Semmai un'iniziativa individuale c'è, essa consiste nel prendere coscienza dei dati dell'analisi storica in chiave marxista e per passare dalle proprie posizioni alla conquista della coscienza di classe. E' la via attraverso la quale l'uomo si inserisce nella classe del suo recupero dalla alienazione. Ma anche quella presa di coscienza, che ha due momenti, quello intellettuale e quello decisionale, è condizionata dalla accettazione della ideologia, che, in quanto tale, rientra più facilmente nella suggestione e, facendosi prassi, mortifica la capacità di distacco.
Da questo punto di vista, pertanto, ne risulta una socializzazione frustrante la singolarità e la volontà personale. D'accordo: siamo in prospettive diverse. Quella marxista vede una volontà degradata nella società preistorica, la quale subisce remissivamente; ma una volta esasperata e resa consapevole del suo stato, può essere educata dalla storicità dei rapporti, che assorgono a valore scientifico e non più individualistico.