Capitolo I - L'astrattismo vittoriano
La volontà può essere intesa come forza a disposizione del soggetto al fine di tradurre in atto qualsiasi progetto intenzionalmente elaborato. Quasi staccata da ogni altra componente della personalità, sia pure fatta per operare su e con le altre facoltà umane, essa appare separabile nel momento formativo e conseguentemente più o meno pronta, per ragion della sua forza acquisita nel tirocinio, ad essere impiegata in qualunque occasione quando il soggetto ne ravvisi l'opportunità o la necessità.
L'aspetto di forza fa passare in secondo ordine o addirittura ignorare le altre note. Solitamente è detta volontà "vittoriana" perché fu particolarmente in auge e chiama in campo in quel periodo, specie in educazione (Assagioli R., L'atto di volontà. Astrolabio, Roma, 1977, p.23;-May R., L'amore e la volontà, Astrolabio, Roma, 1971, p.179). Alla volontà come "energia", rafforzata con l'educazione quasi neutra rispetto agli obiettivi, si è demandato il successo ed il valore dell'uomo. Il potere dell'uomo fu valutato in rapporto al suo volere: mai il "velle est posse" si identificarono fino al punto da non accettare di conoscere limiti. Presa da sola, questa qualità può avere effetti nocivi e perfino disastrosi rispetto agli obiettivi che si intendono raggiungere. Questi effetti si verificano quando la volontà è usata in modo autoritario, oppressivo o repressivo.
Dal punto di vista pedagogico si deve dire che se la volontà è tutto e si può formare con se stessa, non resta che l'allenamento. Ogni forma di volontarismo che in diverse proporzioni ha privilegiato la volontà come forza rispetto alle altre funzioni psicologiche, in ultima analisi non può che risolvere l'educazione in "allenamento". Comprendiamo allora l'affidamento agli "esercizi" che vedono nella volontà come una molla da tenere pronta ed efficiente.
Un secondo errore di questa posizione sta nel considerare l'educazione della volontà come un problema del suo rafforzamento mediante esercizi considerati funzionali e neutri.
Non neghiamo l'importanza del rafforzamento della volontà: anche questo è rilevante per molti versi dal momento che la volontà può essere più o meno energica dipendentemente dalla situazione psichica che si è andata consolidando.
Il problema centrale sta nella direzione verso cui si volge la volontà, ossia la scelta. Non si è indifferenti ai comportamenti: questi hanno il loro ruolo nell'orientare i gusti e, conseguentemente, nell'inclinare la volontà verso determinate scelte. Per certo, essi dispongono all'abitudine; nondimeno non possiamo ignorare che il "puro" rafforzamento della volontà, quando di questo fossimo interessati, lo si ottiene mediante atti concreti che sempre si specificano per l'oggetto loro proprio. L'atto di volontà è sempre un determinato atto scelto, "voluto", e questo per quanto transeunte non è mai tutto caduco. Quello che lascia entra a far parte della vita del soggetto concorrendo a farne la storia, per cui non si può isolare la funzione "allenatrice" della volontà, come se altro non potesse lasciare nel soggetto.
Quanto lascia, segna il futuro; deve essere visto in linea col futuro: non ci sono "cose" da bambino, che si possano del tutto smettere da adulto come un vestito. Il valore che il soggetto accumula nella costruzione della sua personalità non può essere mai smentito, né da altri, né da lui stesso.
Le esperienze scelte per il bambino devono avere un certo rapporto con quello che verrà chiesto da adulto.
Da queste posizioni non si allontanano di molto anche gli aspetti dell'educazione cosiddetta "diretta" della volontà da parte di coloro che non si ritrovano nel volontarismo puro, ma che fanno capo a tutte quelle concezioni che vedono nella volontà il monarca dell'attività umana, la quale però dovrà essere quella che ha ufficialmente diritto di cittadinanza.
Per costoro la volontà va educata a rinforzarsi anticipatamente onde premunire il soggetto contro eventuali insidie devianti rispetto al sistema dei valori accreditati. Non si aspetta supinamente l'attacco delle suggestioni mondane e l'avanzarsi delle tendenze cattive. L'io degli istinti e delle passioni deve essere preparato ad obbedire all'io superiore medianti interventi decisi, ricchi di forza. Tutto può e deve servire a predisporre la prontezza della volontà, affinché questa sia "abituata" a rispondere a momento opportuno nel modo previsto.
Servono gli esercizi di dominio di sé nel lecito: sopportare la fame, la sete, astenersi da piccole soddisfazioni, attendere prima di aderire alle attrattive di questo o quel gioco. Fin da bambino si può riuscire a controllare la propria volontà, rinunciando ad un cibo preferito, superando la pigrizia, sopportando la scomodità e simili. Così pure rinsalda efficacemente le energie della volontà esercitarsi nel mantenere ordine nelle proprie cose, nel tacere, nell'alzarsi per tempo al primo segnale della sveglia, nell'affrontare compiti sgradevoli che altri cercano di evitare. Inoltre, la ginnastica, lo sport, i giochi in comune servono ad allenare alla prontezza delle mosse, alla decisione e alla vigilanza; l'osservanza delle stesse regole di galateo costituisce un esercizio notevole per la padronanza di sé (Testore C.,Volontà. In Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano 1954, vol.12°, p.1599; - Cfr.Léoncio Da Silva, Pedagogia speciale pratica, vol 1°, c. La formazione della volontà, S.E.I., Torino 1951, pp.344 ss:).
Non possiamo dimenticare che tutto questo affidamento all'esercizio "disciplinaristico" della volontà è suggerito da nobili motivazioni ed espletato verso tematiche in sé oggettivamente non negative. Resta comunque la riserva sull'astrazione cioè sul fatto che si vuol "abituare" alla forza di volontà, alla sua prontezza, cioè a conferire al soggetto, per questa via, la capacità di dominio di sé.
Lo steso Foerster che apprezza l'esercizio della volontà per la sua educazione, avverte la necessità di legarlo agli impegni più produttivi ed ai sentimenti più elevati.
Si tratta di risvegliare la coscienza cui la volontà dovrà richiamarsi. Un'educazione unilaterale dell'intelletto può nuocere alla coscienza; quello, sperato da questa, serve come la lanterna al ladro, per cercare e illuminare alle passioni la via del soddisfacimento. Richiamandosi ad Aristotele, colloca l'etica al centro dell'attenzione umana nell'orientamento alle scelte. La volontà si esercita nel momento di quell'attenzione: il suo non è un esercizio vuoto in sé, ossia solo funzionale all'esplicazione della forza di volontà. L'attenzione con le sue esigenze di concentrazione chiede l'esercizio della volontà. In questo senso comprendiamo il riferimento alla filosofia indiana relativo alla "concentrazione" come frutto di volontà ed il riferimento alla disciplina ("ti servirà") che favorisce l'apprendimento ed il pensare contro l'abbandono a tutti i possibili stimoli esterni ed interni che impediscono ogni feconda attività intellettuale (Foerster F.W.,Scuola e carattere. La Scuola, Brescia, 1957, pp.38-42) L'educazione della volontà si fonda sull'"inesauribile forza dello spirito nel dominare gli stimoli", essa va "allenata positivamente" per essere pronta al momento opportuno a "sostenere una lotta cosciente e coraggiosa contro ogni limitazione della libertà interiore, provenga essa da passioni, istinti, mollezza, loquacità, oppure da malattia, sfortuna, pigrizia, viltà e così via"(Ib.,p.207).
J.Lindworsky, che pure crede all'esercizio della volontà fino ad apprezzare la trasformazione in abitudine l'atteggiamento nel quale ci si era esercitati, vuole che non si cada in un addestramento privo di motivi per l'educando: "solo quando, insieme a qualsivoglia esercizio della volontà, si apporta simultaneamente un motivo, una ragione motrice per l'allievo, tale esercizio h per noi valore educativo". La ragione di questo legame è offerta dall'esperienza: "Ogni volta che si portano gli alunni a un adempimento esteriore del dovere senza una premurosa preoccupazione di inculcare al tempo stesso le ragioni motive di tale concetto, dopo l'uscita dall'istituto rimane ben poco delle buone abitudini; per cui l'espressione "educazione da collegio" venne a significare per molti un inefficace addestramento esterno che va dimenticato il più presto possibile" (Lindworsky J., L'educazione della volontà. Morcelliana, Brescia, 1956, pp.105-106)
Le conclusioni del nostro sono esplicite: "Decisamente respingiamo quell'esercizio puramente esteriore, che ha luogo per esempio quando gli educandi vengono portati in qualsiasi modo a un atto di vittoria su se stessi, per es. al silenzio; e dove, fosse anche solo con la costrizione della sorveglianza, già con questo avrebbero acquistato un po' di forza di volontà per vincere se stessi nella vita avvenire" (Ib.,p.106).
e) V.Marcozzi, s'interroga sul perché delle manifestazioni alterne di volontà forte e di volontà debole nel medesimo soggetto, mentre "la volontà è una". Un giovane, che davanti a certe richieste si mostra debole, può manifestare una "volontà indomita" di fronte ad altre; vuol dire che non si tratta di volontà forte o volontà debole, ma di "impiego" o "non impiego" della volontà. La determinazione proviene dall'interesse o meglio dall'amore: "Ci si determina per quello che è, nelle particolari circostanze, ossia nel caso concreto, si sente o si ama di più. Se in un dato momento si "sente" o si "ama" di più il dovere che il gioco, ci si determina per il dovere, ma se, in un altro momento, si "sente" o si "ama" di più la colpa (o il piacere proibito) che la virtù, ci si determina per la colpa. In altre parole, il problema della determinazione della volontà e quindi della riuscita è un problema di amori contrastanti. Vince l'amore soggettivamente più forte, ossia l'amore che in quelle determinate circostanze prevale sugli altri ". Tale
prevalenza non è imposta dal valore oggettivo; essa dipende dalla libera scelta della volontà, per cui sta in noi far prevalere l'una o l'altra della scelte. E' in gioco la nostra libertà intesa come potere attivo di rendere prevalente l'amore che vogliamo e di rendere soggettivamente più forti (più sentiti) alcuni motivi piuttosto che altri (Marcozzi V.,Ascesi e psiche, Morcelliana, Brescia, 1958, pp.20 ss.)
Marcozzi supera il concetto di motivo preso in senso intellettualistico come fa pensare il Lindworsky, e lo rende comprensivo di tutto ciò che è atto a muovere l'individuo. Siamo, dunque, entrati in un modo di concepire la volontà assai diverso per cui non se ne imposta l'educazione in termini di "allenamento" mediante esercizi "preventivi". Anzi il soggetto educando viene considerato nella sua realtà soggettiva innervata in un temperamento ed in un carattere e collocata in una situazione ambientale che è la vita reale.