Il ministro, la preside, la lettera e la Storia

“È del tutto impropria, mi è dispiaciuto leggerla, non compete a una preside lanciare messaggi di questo tipo e il contenuto non ha nulla a che vedere con la realtà: in Italia non c’è alcuna deriva violenta e autoritaria, non c’è alcun pericolo fascista, difendere le frontiere non ha nulla a che vedere con il nazismo. Sono iniziative strumentali”. Così ha dichiarato il ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara nel corso della trasmissione Mattino 5 il 22 febbraio scorso, appena un giorno dopo la pubblicazione della circolare del 21 febbraio emanata dalla dirigente scolastica del Liceo “Leonardo da Vinci” di Firenze Annalisa Savino.

 

La circolare, in forma di lettera agli studenti, prendeva posizione sull’aggressione avvenuta nel capoluogo toscano il 18 febbraio, davanti al Liceo “Michelangiolo”, ai danni di due studenti impegnati in attività di volantinaggio, a opera di altri sei studenti riconducibili a Blocco Studentesco e altre associazioni di estrema destra. Il ministro non si è pronunciato su ciò, mentre il suo partito (Fratelli d’Italia), per bocca del presidente della Commissione Cultura della Camera, Federico Mollicone, lo ha derubricato a “rissa” o tutt’al più a “fronteggiamento”. Per inciso, nel vocabolario di chi scrive, il fatto che sei persone ne prendano a calci e pugni due anche quando sono per terra non si definisce né “rissa” né “fronteggiamento”, bensì “pestaggio”. Comunque sia, lo stesso ministro che non ha ritenuto opportuno intervenire immediatamente dopo questo gravissimo episodio, lo ha fatto in risposta alla preside Savino, la quale aveva scritto che “il fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate da migliaia di persone. È nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a sé stessa da passanti indifferenti. ‘Odio gli indifferenti’ - diceva un grande italiano, Antonio Gramsci, che i fascisti chiusero in un carcere fino alla morte, impauriti come conigli dalla forza delle sue idee. [...] Chi decanta il valore delle frontiere, chi onora il sangue degli avi in contrapposizione ai diversi, continuando ad alzare muri, va lasciato solo, chiamato con il suo nome, combattuto con le idee e con la cultura. Senza illudersi che questo disgustoso rigurgito passi da sé. Lo pensavano anche tanti italiani per bene cento anni fa ma non è andata così”. (1)

 

Come se non fosse già abbastanza, il ministro, oltre a definire “del tutto impropria” e slegata dalla realtà la lettera, ha aggiunto: “Trovo ci sia sempre più un attacco alla libertà di opinione e un alzare i toni trasformando la polemica in una campagna di odio, delegittimazione e falsificazione talvolta della realtà”. Orbene, il ministro non ha battuto ciglio di fronte a un vero e proprio atto di squadrismo fascista, lampante esempio di “odio” e “attacco alla libertà di opinione”. Però ha sentito la necessità di replicare dopo un solo giorno a una circolare che si limita ad affermare una realtà storica, cioè la colpevole acquiescenza di tanta parte dell’opinione pubblica e della cultura italiana che favorì l’ascesa del fascismo, e la condanna di ogni discriminazione, principio peraltro sancito dall’articolo 3 della Costituzione della Repubblica Italiana.

 

In poco più di quattro mesi dal suo insediamento, il ministro Valditara non si è mostrato nuovo a discutibili interventi di strumentalizzazione politica, o meglio partitica, del proprio ruolo. La missiva del 9 novembre 2022, giorno in cui si ricorda la caduta del muro di Berlino, sembrava scritta, più che da un ministro della Repubblica nonché docente di Diritto all’Università “La Sapienza” di Roma, da qualche oscuro copywriter dell’ufficio stampa di Forza Italia. Vi si ritrova il consueto ritornello del comunismo che “comporta ovunque annientamento delle libertà individuali, persecuzioni, povertà, morte” e dà vita a “regimi tirannici spietati, capaci di raggiungere vette di violenza e brutalità fra le più alte che il genere umano sia riuscito a toccare”. In breve, la solita miopia storica che identifica l’esperienza del movimento comunista mondiale con lo stalinismo - quasi come se la storia del cristianesimo coincidesse con quella dell’Inquisizione e della Controriforma - e al contempo tace sulla violenza e brutalità che per secoli le potenze coloniali occidentali, Italia compresa, hanno esercitato sulle popolazioni sottomesse. Il fine dichiarato è quello di sopprimere ogni aspirazione a una possibile alternativa all’ordine sociale esistente: “Il crollo del Muro di Berlino segna il fallimento definitivo dell’utopia rivoluzionaria. E non può che essere, allora, una festa della nostra liberaldemocrazia”. Rassegnatevi, dunque: non c’è alternativa. Valditara come Margaret Thatcher, quarant’anni dopo.

 

In risposta ad un tale intervento “a gamba tesa” su questioni che avrebbero meritato, specialmente da un cattedratico della caratura di Valditara, considerazioni di ben altro spessore e complessità, oltre che molto meno cariche ideologicamente, il segretario nazionale della FLC-CGIL, Francesco Sinopoli, ha parlato della lettera del ministro come di un “errore pedagogico, un atto contrario alla libertà dell’insegnamento e al senso della scuola”. Sinopoli ha affermato, tra l’altro, che “contrapporre, come fa il professor Valditara, il crollo del Muro di Berlino alla vittoria delle sorti ‘magnifiche e progressive’ della liberaldemocrazia non è altro che l’introduzione nelle nostre scuole di una indicazione e una mistificazione ideologica”. Per non parlare del riferimento ad “aggressive nostalgie dell’impero sovietico”, manifesta allusione alla guerra in Ucraina. Forse il ministro ignora o non tiene in debito conto che, come suggerisce Sinopoli, “il presidente russo Putin in tante occasioni, pubbliche e private, ha voluto presentarsi quale erede dell’epopea degli zar, della Grande Madre Russia, dell’identità linguistica, culturale e politica di ‘quel’ popolo russo. Quella stessa identità gli è servita quale pretesto per invadere l’Ucraina, nel tentativo, tutto propagandistico, di ‘denazificarla’ pretendendo territori, aree, città. Insomma, più Caterina seconda che Stalin”. (2)

 

Ma non basta. La sottosegretaria all’Istruzione e al merito Paola Frassinetti è riuscita a fare, se possibile, anche di peggio. Il 21 febbraio era programmato all’IIS “Guarasci Calabretta” di Soverato un incontro con Eric Gobetti, lo storico che negli ultimi anni ha contribuito con i suoi studi a gettare nuova luce sul fascismo, la guerra e la Resistenza in Italia e in Jugoslavia. Il suo ultimo testo, E allora le foibe?, uscito per i tipi di Laterza nel 2021, è un breve scritto in cui si analizza la questione delle esecuzioni sommarie avvenute nelle regioni nord-orientali del Regno d’Italia nel 1943 e 1945 e definite col termine di “foibe”. Nel testo, Gobetti analizza criticamente, sulla base di una ricerca coscienziosa e documentata svolta da anni, tali vicende, smontando una loro rappresentazione, di cui diremo tra poco, imposta negli ultimi vent’anni all’attenzione dell’opinione pubblica. Per questo motivo, Gobetti risulta indigesto alla destra italiana e in particolar modo alla sua componente più nazionalista e revanscista. Tant’è che Frassinetti è intervenuta dichiarando di trovare “gravissimo che sia stato organizzato un incontro con Eric Gobetti, noto scrittore negazionista (sic), con gli studenti del quinto anno dell’istituto Calabretta di Soverato. Questo convegno, evidentemente, non tiene conto delle parole di condanna contro il negazionismo e giustificazionismo pronunciate il 10 febbraio dal Presidente Mattarella, né delle indicazioni del ministero dell’Istruzione e del Merito e tantomeno della volontà della Camera che ha approvato una mozione affinché a parlare di questi fatti nelle scuole debbano andare solo gli appartenenti alle associazioni di Esuli” (cioè delle circa 250.000 persone che negli anni del dopoguerra abbandonarono i territori passati alla Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia per trasferirsi in altre zone d’Italia).

 

Tralasciando il fatto che uno studioso serio e competente come Gobetti venga declassato a “scrittore negazionista”, il che la dice lunga su quanto Frassinetti conosca le sue opere, ciò che desta preoccupazione non è solo il tono di censura dall’alto, ma soprattutto la pretesa che l’esecutivo possa decidere chi abbia titolo di collaborare con i lavoratori della scuola nell’offerta formativa e chi no, in barba all’articolo 33 della Costituzione. Come ha fatto notare acutamente un lettore del sito web Tecnica della Scuola, “non si capisce bene perché gli studenti dovrebbero beneficiare maggiormente del racconto, poniamo caso, del nipote di una persona emigrata dalla Jugoslavia nel ’55, che le foibe non le ha neppure mai viste, piuttosto che del contributo di un vero storico. Ma, cosa ancora più grave, non si capisce con quale diritto la Commissione Cultura si permetta di vietare a qualcuno di parlare nelle scuole, se chi ci lavora ogni giorno ritiene, in base alle proprie competenze, che quella persona possa dare un contributo formativo importante ai propri studenti”. (3)

 

L’uso del termine “negazionista”, nato per definire coloro i quali negano che la Shoah sia mai avvenuta, non è casuale. Il negazionismo non nasce alla fine degli anni ‘70 con La guerra di Hitler di David Irving, ma già nel secondo dopoguerra (4); e se allora poteva trovare qualche credito, in un’epoca in cui non erano ancora entrate nella pubblica coscienza l’idea dell’unicità della Shoah come progetto scientemente pianificato e organizzato di cancellazione di un intero gruppo umano, e soprattutto della sua effettiva storicità, oggi il negazionismo è del tutto screditato e resta confinato alle frange più oltranziste della reazione a livello mondiale.

 

Con l’uso di tale termine si pretende, quindi, di equiparare chi contesta la narrazione della destra su foibe ed esodo dal confine orientale a chi nega la fattualità della Shoah. L’intenzione appare ancora più evidente se si tiene presente il dichiarato intento di mettere sullo stesso piano le foibe da una parte e la Shoah dall’altra: operazione che, per l’evidente sproporzione tra i due fatti, e ancor più per le motivazioni che ne stanno alla base (per tacere del fatto che i fascisti furono parte attiva nello sterminio degli ebrei), costituisce un esercizio di uso politico della storia. L’obiettivo è infatti quello di mettere sullo stesso piano vittime e carnefici, con un duplice scopo. Da un lato, far passare in secondo piano i crimini commessi durante l’occupazione italiana della Slovenia, di assolvere il regime fascista da essi, giacché gli italiani, in quanto tali, sarebbero stati vittime di una “pulizia etnica” (o addirittura di un genocidio) perpetrata dagli “slavo-comunisti”. E allora, che dire dei circa 40.000 cittadini jugoslavi di origine italiana rimasti entro i confini della neonata Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia? Oppure delle 30.000 persone di origine italiana che fecero parte dell’Esercito di liberazione jugoslavo e di cui un terzo perse la vita combattendo contro il nazifascismo? La lapide in italiano e in sloveno alla Risiera di San Sabba a Trieste, in memoria dei partigiani italiani e sloveni ivi trucidati e bruciati nel forno crematorio, è là per ricordarlo. Dall’altro lato, si vuole gettare fango sui partigiani, in quanto considerati gli alleati di coloro che mettevano in atto tale presunta “pulizia etnica”.

 

Non si tratta di tesi nuove: come faceva notare Galliano Fogar quasi vent’anni fa (5), sono quelle avanzate già dalla propaganda della RSI, quando all’indomani dell’8 settembre 1943 si verificarono i primi episodi spontanei di attacchi e di vendette contro esponenti fascisti nella provincia di Lubiana costituita dopo la capitolazione del Regno jugoslavo nell’aprile 1941 e la spartizione del suo territorio tra gli invasori, tra cui, è bene ricordarlo, c’era anche il Regno d’Italia. Tesi che oggi, grazie allo “sdoganamento” del fascismo operato da Silvio Berlusconi nel 1994, come da lui ammesso non troppo tempo fa (6), e all’acquiescenza di buona parte degli eredi del PCI, passano per verità assiomatiche. Chiunque provi a metterle in discussione viene sbrigativamente tacciato di “negazionismo” o di “giustificazionismo” e va censurato con un apposito intervento dall’alto, come è successo a Gobetti. Che questi non abbia mai negato, in nessuna sede, l’effettività degli avvenimenti comunemente indicati come “foibe”, evidentemente non basta per salvarlo dall’accusa di “negazionismo”. Né serve che si sia ben guardato dal giustificare tali eventi.

 

A proposito di “giustificazionismo”. Sempre secondo la visione dei fatti imposta dalla destra di governo, dire che foibe ed esodo siano l’esito finale di un quadro di violento scontro tra opposti nazionalismi, rinfocolato in primis dalle vicende susseguitesi in quell’area dall’avvento del fascismo (7) all’occupazione italiana in seguito all’invasione della Jugoslavia il 6 aprile 1941, significherebbe “giustificare” tali vicende. A questo punto ci sarebbe da chiedersi se l’affermare che all’origine della Shoah vi fosse un pregiudizio antisemita strutturale nella cultura europea, amplificato e artatamente sfruttato dai nazisti per distogliere a proprio vantaggio l’attenzione del popolo tedesco dalle reali cause della crisi sociale ed economica in cui versava la Germania della Repubblica di Weimar e guadagnare consensi, voglia dire giustificare lo sterminio degli ebrei e degli altri cosiddetti Untermenschen. E ancora: affermare che l’imperialismo di Vladimir Putin sia stato alimentato anche da certe scelte strategiche degli USA e dei loro alleati europei, operate a partire dalla presidenza Clinton, che hanno progressivamente esteso l’influenza geopolitica statunitense nell’Europa centro-orientale invece di andare nella direzione di una reale cooperazione paritaria tra USA, Russia e Unione Europea, significa forse giustificare l’invasione russa dell’Ucraina?

 

Quanto poi foibe ed esodo siano strumento di uso politico della storia da parte della destra lo rivela anche un’altra circostanza, evidenziata sempre da Gobetti: “Appare sempre più evidente che la giornata commemorativa è dedicata oggi più alle foibe che all’esodo, ovvero agli esuli e ai loro eredi, le principali vittime di questa storia, che hanno pagato più di altri la sconfitta dell’Italia in una guerra che aveva contribuito a scatenare. Le foibe fanno più audience, suscitano maggiore raccapriccio, sono più facilmente strumentalizzabili, specie se con l’aggiunta di particolari macabri (stupri, fili di ferro, cani neri…) mai realmente confermati dalle fonti, ma ripetuti costantemente in maniera ossessiva tanto da diventare inconfutabili. L’esodo invece rischia di suscitare empatia verso chi lascia le proprie terre per necessità, cozzando quindi con l’altro stereotipo strumentalizzato da quella stessa classe politica che ha voluto il Giorno del Ricordo: quello dei migranti che oggi rischiano la vita in viaggi infernali, ma lo farebbero, secondo una vulgata nazionalista e razzista, solo per il gusto di attentare al nostro benessere e alla presunta purezza della nostra identità”. (8)

 

Piuttosto, la riflessione critica sulle vicende del confine orientale dal 1920 al 1947 conferma, a detta di chi scrive, che da una politica basata sull’imposizione forzata di una determinata visione del mondo, sul disprezzo verso tutto ciò che è considerato diverso da sé, sulla violenta repressione del dissenso non può mai venire nulla di buono. E questo - ci tengo a sottolinearlo - tenendo sempre presente che ci sono momenti nella storia in cui non si può restare indifferenti, come giustamente ricorda la preside Savino: bisogna rendersi conto che c’è una parte giusta e una sbagliata. I partigiani e gli antifascisti stavano dalla prima, i fascisti e i nazisti dalla seconda. Episodi di vendette, esecuzioni sommarie, atti guidati da interessi personali di vario tipo si sono verificati anche nella nostra Resistenza, il che non ne inficia il valore di lotta per la liberazione e per il riscatto del nostro paese e di fondamento della nostra Repubblica. Perciò non può esservi alcuna “memoria condivisa” su fatti che sono e restano “divisivi”, ed è bene che lo siano. Altrimenti, ed è stato proprio questo l’obiettivo della destra post-missina, si fa confusione tra chi intendeva sostenere un mostruoso disegno socio-politico fatto di sopraffazione e di violenza elevate a sistema e chi invece voleva combatterlo. Confusione ispirata al principio falsamente pietistico secondo cui “i morti sono tutti uguali”. Viene in mente, piuttosto, la celebre immagine di Hegel della “notte in cui tutte le vacche sono nere”.

 

A proposito di “nero”: Piero Sansonetti, sulle pagine del Riformista (9), definisce esplicitamente Valditara “fascista”. Personalmente non arriverei a definire il ministro in tal modo, ma certamente la minaccia di “provvedimenti” nei confronti della preside Savino, l’uso della propria posizione per veicolare messaggi che distorcono la realtà storica presentandone interpretazioni palesemente di parte come se fossero realtà inoppugnabili, le vere e proprie censure operate da parte del suo staff nei confronti di uno storico come Gobetti il cui unico torto è quello di smentire, con la forza dei fatti, il catechismo della destra su foibe ed esodo, fanno sollevare più di un dubbio sulla sua effettiva capacità di presiedere a un dicastero così complesso e importante per il paese.

 

Né tantomeno gli alleati della Lega si distinguono in meglio, vista la recente affermazione del deputato Rossano Sasso – l’ex sottosegretario all’Istruzione nel governo Draghi che scambiava Topolino per Dante (10) – secondo cui “non si può fare politica a scuola”. Per prima cosa, a scuola non si può non fare politica: “politica” non nel senso di propaganda (per quella già ci sono i vari Blocco Studentesco, Azione Studentesca, Azione Universitaria, Lotta Studentesca, stranamente sfuggiti a Sasso), ma di riflessione e di confronto sulle forme di aggregazione sociale ed economica degli esseri umani e sulle idee che vi sono connesse, argomento della ricerca filosofica dal VI-V secolo a.C. fino a oggi. In secondo luogo, andrebbe ricordato a Sasso che c’è già stato un tempo in cui in questo paese era vietato parlare di politica nei luoghi pubblici: sotto il fascismo. Per essere precisi, allora nelle scuole si faceva politica, con il non trascurabile dettaglio che l’unico pensiero non solo ammesso, ma permeante la teoria e la prassi educativa, era quello del regime.

 

La valanga di critiche abbattutasi su questa e sulle altre dichiarazioni ricordate dimostra che nel nostro paese è (ancora) presente una solida cultura democratica e antifascista. Detto questo, mi sembra evidente che il revanscismo della destra post-fascista sia maldestro, ma non vada sottovalutato. Vorrei sbagliarmi, ma non sono del tutto sicuro che ci si possa aspettare altro che un rispetto poco più che formale dei principi fondamentali della Carta costituzionale nata dalla lotta di liberazione da parte di coloro che fino a ieri bollavano il 25 aprile come “apologia di tradimento”. Su questo, e ancora di più su di un certo clima sociale e culturale favorito dalla presenza di questa parte politica ai vertici delle istituzioni - clima cui non mi pare estraneo il pestaggio di Firenze - occorre essere vigili e prendere una netta posizione, come ha invitato a fare la preside Savino. La notizia dell’irruzione, lo scorso 1° marzo, della polizia all’Istituto superiore “Majorana-Cascino” di Piazza Armerina e dell’identificazione dei rappresentanti d’Istituto durante una regolare assemblea studentesca condotta in collaborazione con l’associazione “Meglio legale”, impegnata in campagne di informazione, anche nelle scuole, per la legalizzazione della cannabis, è un segnale per nulla rassicurante.



Alessandro Grussu (segreteria provinciale FLC CGIL Messina)



Note

 

(1) Testo completo: https://www.lanazione.it/firenze/cronaca/lettera-preside-firenze-testo-integrale-am8m39el

 

(2) https://www.flcgil.it/attualita/lettera-ministro-valditara-giornata-liberta-errore-pedagogico-atto-contrario-liberta-insegnamento-e-senso-scuola.flc

 

(3) https://www.tecnicadellascuola.it/convegno-sulle-foibe-a-soverato-alcuni-appunti-sulla-nota-di-frassinetti

 

(4) Una cronologia del negazionismo della Shoah si trova qui:

https://encyclopedia.ushmm.org/content/it/article/holocaust-denial-key-dates

 

(5) “Se non si racconta quello che è avvenuto prima come si può capire, si sposano solo tout court le tesi di An che sono quelle del Msi, che sono poi quelle repubblichine che perseguitano queste terre dal 1943, dalle prime foibe istriane. Tralasciamo pure - rileva lo storico - le nefandezze del fascismo tra le due guerre e partiamo dal 1940, quando l'Italia entra in guerra. La causa storica della nostra disgrazia delle foibe e del calvario dei profughi è la guerra fascista, l'occupazione della Jugoslavia, la politica di persecuzione, di deportazione e di stragi, come nel 1942 a Podhum, vicino a Fiume quando 91 abitanti del paese, considerato "sospetto" dall'esercito e dalla milizia fascista, furono fucilati e gli 800 abitanti deportati. La destra attuale, gli ex missini - incalza Fogar - ben si guardano dallo storicizzare le foibe e l'esodo con i quali tanto si riempiono la bocca, perché dovrebbero per primi fare ammenda di quanto è successo.” Matteo Moder, Quella tragedia non giustifica le colpe del fascismo, il manifesto, 11 febbraio 2004.

 

(6) https://www.ilpost.it/2019/09/29/silvio-berlusconi-fascisti-governo/

 

(7) Si intenda qui “avvento del fascismo” nel senso del movimento, non del regime. Il cosiddetto “fascismo di confine”, fondato sulla nozione della superiorità razziale degli italiani sui “barbari” slavi (come ebbe a definirli Mussolini stesso nel discorso tenuto a Pola nel settembre 1920, quando affermò, tra l’altro: “Io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani”), ebbe fin dalla costituzione del fascio di combattimento di Trieste, il 3 aprile 1919, il secondo in Italia dopo quello di Milano, un carattere marcatamente antislavo. Basti ricordare l’incendio del Narodni Dom di Trieste, la “casa del popolo” sede delle associazioni culturali e sportive slave locali, il 13 luglio 1920 ad opera delle squadre fasciste: “drammatico episodio che a ragione può essere considerato il vero battesimo dello squadrismo organizzato” (Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario, Laterza, Bari 1965, p. 624).

 

(8) Eric Gobetti, Il giorno dell’oblio, su Jacobin Italia: https://jacobinitalia.it/il-giorno-delloblio/

 

(9) https://www.ilriformista.it/giuseppe-valditara-e-fascista-puo-fare-il-ministro-della-scuola-345185/

 

(10) https://bari.repubblica.it/cronaca/2021/02/25/news/rossano_sasso_sottosegretario_all_istruzione_cita_dante_ma_e_topolino-289117525/