Il percorso CAI

Il percorso 029/029A del CAI

Il percorso 029 e 029A del CAI

Il percorso inizia dal piazzale sottostante il Santuario delle Grazie. All'interno di un parco le stazioni di una Via Crucis conducono al Santuario stesso. Dal lato opposto della strada si trova l'impianto per la distribuzione dell'acqua di Ridracoli, dove è possibile rifornirsi. Si dice che la Via Crucis delle origini, risaliamo al 1554, sia posteriore solo alla Via Crucis di Gerusalemme. Le stazioni attuali sono del 1954; di un certo interesse i bassorilievi di Elio Morri, ceramicati da Anselmo Bucci. L'arrivo al Santuario, specialmente nei tranquilli giorni infrasettimanali, infonde una sensazione di serenità e raccoglimento. Il complesso francescano fu edificato alla fine del Trecento (1391-1396) grazie al mecenatismo della famiglia Delle Caminate, alleata dei Malatesta, nel luogo di una celletta in ricordo di un evento prodigioso avvenuto nel 1286. La prima chiesa fu consacrata nel 1430. Alla struttura a pianta rettangolare, coincidente con la navata di destra della chiesa attuale, fu aggiunto il soffitto ligneo a carena di nave di tipo veneziano. Successivamente la chiesa fu ingrandita e arricchita di notevoli opere d'arte.

Fra il 1569 e il 1578 fu realizzata una nuova chiesa, con trasferimento del soffitto ligneo. La chiesa venne affrescata internamente nel XVII secolo. Parte degli affreschi visibili all'esterno, sotto il porticato, appartengono alla fase tre-quattrocentesca. Furono scoperti nel 1919 e raffigurano un'Annunciazione di scuola umbro-marchigiana. La chiesa conserva presso l'altare maggiore una tela raffigurante l'Annunciazione dell'Arcangelo Gabriele a Maria, attribuita al pittore eugubino Ottaviano Nelli, dipinta nel terzo decennio del Quattrocento.

Altra opera importante è il Crocifisso su tavola risalente agli anni trenta del Quattrocento, di scuola emiliana, conservato presso la seconda cappella di sinistra. Dalla chiesa provengono alcune piccole sculture quattrocentesche in alabastro raffiguranti il Calvario, oggi conservate nel museo di Francoforte sul Meno in Germania. La seconda guerra mondiale ha danneggiato notevolmente il complesso, in particolare la parte residenziale del convento. Sul lato opposto all'ingresso del Santuario si trova il Museo degli Sguardi, esposizione delle raccolte etnografiche del Comune di Rimini.

Di un certo interesse naturalistico il bosco del Santuario, il quale rappresenta probabilmente quanto di più prossimo alla espressione spontanea della vegetazione si possa osservare nella fascia collinare riminese prospiciente la città. Anche in questo caso è evidente l'inserimento di specie non autoctone. Il bosco, di limitate dimensioni, si sviluppa su un pendio esposto in larga parte a nord-ovest in adiacenza del complesso religioso, del quale è parte storica. La componente arborea vede la roverella dominante con la partecipazione dell'acero campestre, specie forestale presente nei boschi collinari e qui abbondante, il frassino da manna e la robinia. Lo strato arbustivo è caratterizzato dall'alloro, essenza di significato simbolico. Il bagolaro e il gelso da carta si presentano particolarmente vitali. Le piante erbacee comprendono l'edera, il gigaro, l'alliaria, la melica comune, il tamaro, la campanula selvatica e il ciclamino primaverile. Il tratto di bosco posto all'estremità nord si differenzia nella composizione arborea, dominata da individui di alto fusto di leccio. Via Vasari e via delle Fonti sono strade strette, come gran parte delle vie del luogo, chiuse da siepi e scarpate dalle quali si elevano grandi querce, o dalle mura perimetrali, che lasciano intuire la ricchezza delle ville e dei giardini.

Da Piazzale Ruffi ci inoltriamo per via Covignano in direzione dell'Abbazia di Scolca. Se scendessimo in senso opposto per un breve tratto, vedremmo alla base di un'alta parete l'ingresso murato di una delle tante grotte non visitabili che perforano il sottosuolo locale. Corridoi, nicchie, volte e false architetture si succedono per centinaia di metri. Ipogei simili si trovano in varie località e hanno dato origine a leggende. Per alcuni i "frati bianchi" le avrebbero utilizzate per scopi non proprio edificanti. Per altri farebbero capo ad un collegamento sotterraneo con la città di Rimini. I più noti e visitabili complessi ipogei si trovano a Santarcangelo di Romagna. La loro funzione non è chiara: la conservazione del vino pare l'uso più probabile. Durante l'ultima guerra mondiale vi trovarono rifugio molti riminesi.

L'ombrosa strada che porta all'Abbazia di Scolca poi a Villa Belvedere permette di avvicinare la rigogliosa vegetazione subspontanea della collina. Una vegetazione dai tratti mediterranei copre i ripidi versanti. Grandi roverelle e robinie formano lo strato arboreo. La fascia arbustiva è dominata da sclerofille sempreverdi. Comuni il frassino da manna, l'olmo comune, il biancospino, il corniolo sanguinello, il caprifoglio peloso e la brionia. Il gelso da carta e l'albero di Giuda, specie dell'Asia orientale la prima, sudeuropea e asiatica la seconda, si riproducono spontaneamente. Altre specie accentuano la meridionalità della compagine: l'asparago, la rosa di San Giovanni, il ligustro, la robbia selvatica e il camedrio. La salita all'Abbazia di Scolca è premiata con una splendida panoramica sulla valle dell'Ausa, incorniciata dagli ulivi del primo piano.

L'Abbazia di Santa Maria Annunziata Nuova di Scolca fu edificata nel 1418 grazie ad una donazione di Carlo Malatesta, signore di Rimini dal 1385 al 1429. La chiesa ed il convento furono affidati agli Agostiniani di San Paolo Primo Martire d'Ungheria poi ai monaci benedettini di Monte Oliveto Maggiore. Gli Olivetani ressero l'abbazia e tutti i suoi possedimenti fino alle soppressioni napoleoniche. Con gli Olivetani l'abbazia subì ampliamenti. La chiesa primitiva fu ristrutturata e abbellita con numerose opere d'arte. La facciata che oggi vediamo reca gli stemmi di Roberto Malatesta, signore di Rimini dal 1468 al 1482. All'interno, il soffitto a cassettoni con al centro lo stemma di Carlo Malatesta è più tardo. Le due cappelle laterali, attualmente adibite a sacrestia furono realizzate agli inizi del Cinquecento. Quella di destra fu affrescata da Girolamo Marchesi da Cotignola. Giorgio Vasari dipinse nel 1548 per i monaci la pala d'altare raffigurante l'Adorazione dei Magi, oggi nel coro. Dopo la soppressione dell'Ordine degli Olivetani, avvenuta nel 1797, vi fu trasferito il titolo di parrocchia di San Fortunato dall'antica chiesa parrocchiale che si trovava più a valle. La seconda guerra mondiale causò gravi danni a tutto il complesso, in parte non più ricostruito. Vale la pena di entrare all'interno del cortile abbaziale per il valore botanico di alcune essenze. Si nota subito un enorme bagolaro. Altrettanto vetusti sono una robinia, un pino domestico, uno spino di Giuda, originario dell'America settentrionale, caratterizzato da lunghissime spine lungo il tronco, e un maestoso tiglio, vecchio di quattrocento anni. Lungo la strada che precede Villa Belvedere l'impressione è quella di passare all'interno di un fitto bosco, con le querce che aggettano sulla carreggiata. Oltre l'ingresso in disuso di Villa Belvedere, ne costeggiamo il parco, dove svettano pini, tigli, querce, vecchi allori. A destra si apre il panorama sulle pendici di San Fortunato, sulla bassa Valmarecchia e la costa.

La sommità collinare, accanto a una selva di ripetitori, ospita l'edificio conventuale di San Girolamo, oggetto di scavi archeologici e restauri. All'altezza di Villa Battaglia, dopo un ultimo sguardo all'ampio entroterra, con San Marino in primo piano, l'alta Valconca e la Valmarecchia, si devia per via Monterotondo, tra uliveti di recente impianto. Di fronte a Villa Francolini, un piccolo bosco di lecci ricorda quello delle Grazie. Seguono ancora uliveti e abitazioni fin oltre la sbarra, dove inizia lo sterrato che conduce al piazzale della Galvanina.

Covignano possiede varie sorgenti, punti di aggregazione di genti e luoghi di culto tra il VI secolo a.C. e il ll d.C. Tra queste le sorgenti del Monte Cavo e del Castellaccio. La Galvanina è però la più nota. Le testimonianze archeologiche della zona risalgono al I secolo. Alla fonte è stato dato nel tempo un aspetto monumentale, con edicola, architrave in pietra e una nicchia semicircolare al centro. In basso si trova il serbatoio per la raccolta delle acque, decorato con bocche d'acqua e mascheroni a forma di medusa. La fonte è oggi utilizzata su scala industriale. Il percorso procede ai piedi del colle, secondo i tratti viari indicati nella scheda tecnica. A Cà Palloni è possibile variare il percorso risalendo via S. Lorenzo a Monte fino a riprendere via Covignano e trovarsi nelle adiacenze dell'Abbazia di Scolca, dalla quale tornare al punto di partenza. Via della Carletta scorre ancora infossata e stretta con i versanti collinari a destra. Siepi e querce concedono prima qualche spiraglio di luce, per diradarsi e aprire poi scorci di paesaggio. Le grandi querce, una costante del territorio covignanese, meritano un cenno ulteriore. Avvolte ancora oggi da un'aura sacrale e simbolica di antichissima origine, la loro fortuna si deve da sempre all'uso del legname, alle ghiande per il pascolo suino e talvolta per l'alimentazione umana. Le piante annose in particolare godono oggi di tutela ma è indubbiamente cresciuta nei loro confronti una attenzione e un interesse anche dal punto di vista naturalistico, estetico e paesaggistico. Ricordiamo che individui secolari sono situati presso Villa Francolini, i parchi Bianchini, Francolini e Cassoli, Villa Cantelli, Villa Zavagli-Fochessati, Villa Arduini poi ancora all'incrocio di via San Lorenzo a Monte con la strada Casetti.

Concludiamo il percorso risalendo lo sterrato che continua con via delle Fonti fino a ritrovare a sinistra via Vasari poi il Santuario delle Grazie e il sottostante parcheggio.

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